La versione completa della lettera di Vito Ciancimino ad Antonio Fazio
Tra i documenti su cui domani i giudici del processo Mori chiederanno spiegazioni a Massimo Ciancimino, che ieri ha confessato ai pm che lo indagano per calunnia di avere sempre mentito nel dichiarare di spedirsi i documenti del padre da cassette di sicurezza e archivi segreti in giro per l’Europa (che invece sarebbero stati tutti conservati in uno sgabuzzino nel palazzo di casa sua), c’è anche una lettera, scritta forse nel 1993, al Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Nella lettera, di cui AgoraVox pubblica una versione finora inedita con la firma autografa (la scientifica l’ha confermato) dello stesso Don Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo parla di un fantomatico “regime” che avrebbe ideato un “piano eversivo” perpetrato con le stragi del ’92-’93. E scrive che la mediazione in corso con l’allora colonnello Mori si interruppe dopo che Borsellino, oppositore della trattativa, venne ucciso.
AGGIORNAMENTO: Nuovi interrogatori di Ciancimino. Tra i documenti consegnatigli da un presunto "puparo", l'uomo che la DIA sta provando a indentificare e che avrebbe manovrato le rivelazioni dell'avvocato palermitano, ci sarebbero anche le lettere ad Antonio Fazio “Mi precisò che voleva che io consegnassi questi documenti ai magistrati ma mi disse che non voleva essere coinvolto”. |
«Sono fermamente convinto che su ordine di questa gente si sia armata la mano della mafia per gli omicidi dell’Onorevole Sandro Lima, del giudice Falcone e del giudice Borsellino». Nel 93-94 l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino scrisse una lettera “promemoria” al neo governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio in cui, ha raccontato il figlio Massimo ai pm, «sempre vedeva l'unica persona garante, una persona che a 360 gradi avrebbe potuto garantire un equilibrio di quello che lui chiamava il sistema, una persona super partes». Il testo della lettera, in versione dattiloscritta e in copia stampata e firmata a mano, era stato consegnato ai Pm Di Matteo ed Ingroia da Massimo Ciancimino nel luglio scorso, poi depositato al processo al Generale dei Ros Mario Mori per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e sulla trattativa tra Stato e Mafia.
«Sono Vito Ciancimino, il noto», inizia così la lettera in cui il vecchio Ciancimino si racconta «all’illustrissimo presidente». La sua missiva vuole essere un «promemoria da ben conservare», soprattutto nel caso in cui Fazio decidesse di «scendere in Politica». Ma da chi l’ha avuta Don Vito questa informazione? «Amici di regime», dice lui; la notizia gli è stata «sussurrata».
È una lettera piena di misteri questa dell’ex sindaco al neo presidente, di misteri ed informazioni da prendere con le pinze. A cominciare dall’intestazione: a che si riferisce Ciancimino con quell’annotazione vergata di suo pugno che compare nell’angolo di sinistra del dattiloscritto? «A scopo di garantire al regime», si riesce a leggere. Chi sarebbe a garantire? E per chi? Ma soprattutto cos’è questo “regime” di cui Ciancimino parla senza sosta (il termine viene ripetuto 8 volte) per tutta la lettera? Si tratta forse del famigerato “quarto livello” che, secondo suo figlio Massimo, Ciancimino avrebbe voluto rivelare al giudice Caselli prima di morire?
Un regime di cui il politico siciliano faceva parte in prima persona, ma che lo ha ugualmente spedito in carcere. Vito afferma infatti di essere stato condannato «su indicazione del regime per il reato di mafia per mano di persone che a confronto alcuni mafiosi sono galantuomini».
Sarebbe quindi lo stesso Ciancimino a garantire per Fazio al “regime”? E’ per questo che il primo scrive quello che «vuole essere un promemoria da ben conservare” e «a futura memoria»?
Il “noto” racconta poi di come «già nel 1984» «questa gente» avrebbe «armato la mano giudiziaria del giudice Falcone», con lo scopo di eliminarlo dalla vita politica. Il 1984 è effettivamente l’anno dell’arresto di Don Vito a seguito delle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, secondo cui Ciancimino era «organico» alla famiglia dei corleonesi: «Ciancimino è nelle mani di Riina e Provenzano», disse il pentito a Giovanni Falcone. Fu nello stesso periodo che l’ex sindaco venne espulso dal suo partito, la DC.
«Si era decisa una vera e propria epurazione politica ai danni della Democrazia Cristiana», ma il “complotto” subì una battuta d’arresto con la morte improvvisa di Rosario Nicoletti, suicidatosi in circostanze misteriose il 17 novembre 1984. «In quel preciso momento i notabili della Dc decisero di fare quadrato intorno alla morte del loro Segretario Regionale». Ed a quanto pare sarebbero stati questi ultimi ad aver, tramite il conte Romolo Vaselli (già citato nei promemoria degli incontri con l’allora colonnello Mori, scarica il documeto), inviato a Ciancimino «il Dott. De Gennaro, noto galantuomo».
Ed è in questo termine, a prima vista del tutto elogiativo, che troviamo il secondo mistero della lettera. Quella nota di merito è da interpretare in maniera letterale, oppure Don Vito gioca con le parole, connotando il vocabolo in relazione a quanto detto prima («a confronto alcuni mafiosi sono galantuomini»)? A cosa allude Ciancimino quando afferma che la Dc gli avrebbe inviato De Gennaro per «prepararlo al triste evento» e per «controllare le eventuali reazioni ed i danni» che il suo arresto «avrebbe potuto arrecare al loro nuovo disegno»?
Quale sarebbe questo il “disegno” («il loro capolavoro», «il Capolavoro Finale» lo chiama Ciancimino) in preparazione per quell’anno? Gli interrogativi sono tanti e i dubbi legittimi. A cominciare proprio dall’anno in questione. Secondo quanto detto da suo figlio Massimo ai Pm di Palermo, Ciancimino avrebbe scritto la lettera nel novembre ’92. Ma tale data pone un problema di coerenza con la dicitura («Illustrissimo Pres. Dott. Fazio») posta in esergo alla missiva: Fazio è diventato Governatore della Banca d’Italia nonchépresidente dell’Ufficio Italiano Cambi (un ente della stessa Banca), solo nel maggio 1993. E’ più probabile quindi che la data di stesura risalga al 1993 o al 1994, e cioè quando Vito Ciancimino era già stato condannato in via definitiva.
Ciancimino è un fiume in piena, parla anche dellestragi e della trattativa tra Stato e Mafia: «Sono fermamente convinto che su ordine di questa gente si sia armata la mano della mafia per gli omicidi dell’Onorevole Sandro Lima, del giudice Falcone e del giudice Borsellino». E ancora: «dopo un primo scellerato tentativo di soluzione avanzato con il mio contributo dal Colonnello dei Ros Mori per bloccare questo attacco terroristico ad opera della mafia, ennesimo strumento nelle mani del regime, e di fatto interrotto con l’omicidio del giudice Borsellino, sicuramente in disaccordo con il piano folle».
L’ondata di sangue che ha coinvolto il ‘92-’93, dall’omicidio Lima fino alla strage di via dei Georgofili a Firenze, rappresenterebbe «solo una parte di questo lucido piano eversivo». La bozza dattiloscritta si chiude qui, con il rifiuto opposto dalla Commissione Antimafia alla volontà di testimoniare espressa da Ciancimino (rifiuto giustificato allora da dichiarazioni che secondo la stessa commissione tendevano a negare le responsabilità mafiose in vicende come lo stesso omicidio Lima e la strage di Capaci, ndr). Mentre l’altro documento consegnato da Massimo Ciancimino agli inquirenti, la versione stampata firmata dal padre che AgoraVox pubblica in esclusiva, continua ancora per una manciata di righe: «questo stesso regime che pubblicamente ho denunziato come il “Grande Architetto” è fatto di uomini delle Istituzioni i cui nomi e cognomi io conosco bene».
Nomi e cognomi che Don Vito avrebbe elencato nello stesso documento che secondo la procura di Palermo il figlio Massimo avrebbe poi deliberatamente contraffatto, inserendo il nome dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro (accuse per le quali Ciancimino Jr. si trova ora in custodia cautelare carcere).
Su quel documento e sulla lettera all’ex governatore Fazio Massimo Ciancimino dovrà deporre domani in aula al processo Mori.
Lettera che si chiude con un interrogativo che lascia spazio alle supposizioni che vedrebbero Ciancimino organico alla Gladio, l’organizzazione “Stay Behind” con sede in Italia utilizzata in funzione anticomunista: «ritengo che dopo la caduta del muro di Berlino, sia venuto a mancare il vero motivo ed anche i presupposti per i quali io stesso ho aderito a tutto questo».
L’ondata di sangue che ha coinvolto il ‘92-’93, dall’omicidio Lima fino alla strage di via dei Georgofili a Firenze, rappresenterebbe «solo una parte di questo lucido piano eversivo». La bozza dattiloscritta si chiude qui, con il rifiuto opposto dalla Commissione Antimafia alla volontà di testimoniare espressa da Ciancimino (rifiuto giustificato allora da dichiarazioni che secondo la stessa commissione tendevano a negare le responsabilità mafiose in vicende come lo stesso omicidio Lima e la strage di Capaci, ndr). Mentre l’altro documento consegnato da Massimo Ciancimino agli inquirenti, la versione stampata firmata dal padre che AgoraVox pubblica in esclusiva, continua ancora per una manciata di righe: «questo stesso regime che pubblicamente ho denunziato come il “Grande Architetto” è fatto di uomini delle Istituzioni i cui nomi e cognomi io conosco bene».
Nomi e cognomi che Don Vito avrebbe elencato nello stesso documento che secondo la procura di Palermo il figlio Massimo avrebbe poi deliberatamente contraffatto, inserendo il nome dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro (accuse per le quali Ciancimino Jr. si trova ora in custodia cautelare carcere).
Su quel documento e sulla lettera all’ex governatore Fazio Massimo Ciancimino dovrà deporre domani in aula al processo Mori.
Lettera che si chiude con un interrogativo che lascia spazio alle supposizioni che vedrebbero Ciancimino organico alla Gladio, l’organizzazione “Stay Behind” con sede in Italia utilizzata in funzione anticomunista: «ritengo che dopo la caduta del muro di Berlino, sia venuto a mancare il vero motivo ed anche i presupposti per i quali io stesso ho aderito a tutto questo».
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