di Alberto Negri
Vent’anni fa i talebani mi dicevano: “Voi possedete
l’orologio, noi abbiamo il tempo”. Il ritiro Usa dall’Afghanistan
riguarda anche noi e rivela la completa inadeguatezza della nostra
classe politica che non sa nulla del mondo e continua a sprofondare il
Paese nella retorica e in calcoli sbagliati.
Con il ritiro dall’Afghanistan cade il velo dell’ipocrisia, per gli Usa ma anche per noi.
Vent’anni dopo gli Stati Uniti, in coincidenza con l’attacco alle
Torri Gemelle dell’11 settembre, si ritireranno dall’Afghanistan con una
sola certezza: il “cimitero degli imperi”, che già liquidò inglesi
sovietici ha fatto fuori anche loro. I talebani sono ormai dei partner
con cui trattare.
E’ inutile girarci intorno: forse anche di questo
potrebbero parlare Biden e Putin se verrà confermato un vertice tra i
due per evitare nuove e pesanti tensioni da guerra fredda come in
Ucraina. Mentre affrontavano l’attacco americano vent’anni fa i talebani
mi dicevano: “Voi possedete l’orologio, noi abbiamo il tempo”. Ed è
accaduto esattamente questo.
L’Afghanistan riguarda ovviamente anche noi, pure se facciamo finta di nulla sprofondando nella solita retorica.
Riporteremo a casa i nostri 900 soldati di stanza tra Herat e Kabul, la
solita inutile missione sotto capello Nato _ in cui sono morti
tragicamente una sessantina di soldati _ con cui il nostro Paese tenta
vanamente di procurarsi una credibilità e un sostegno internazionali che
vengono regolarmente disattesi.
Il nostro contingente avrebbe più utilmente essere impiegato sulle coste libiche
dove nel 2019 il governo di Tripoli di Sarraj, da noi insediato, era
sotto attacco del generale Khalifa Haftar e dei suoi alleati, dai
mercenari russi all’Egitto, agli Emirati. Allora rifiutammo, insieme a
inglesi e americani, di dare appoggio militare a Tripoli con il
risultato che i libici si rivolsero a Erdogan, che è da tempo il padrone
della Tripolitania e di cui siamo ospiti. Erdogan ce lo ricorda ogni
momento: pochi giorni fa ha convocato ad Ankara il premier libico e 14
suoi ministri per fargli firmare nuovi accordi che consegnano la
Tripolitania ai turchi. Questo appena qualche giorno dopo la visita di
Draghi a Tripoli.
Il ragionamento è semplice e brutale: invece
di far ammazzare i nostri soldati dai talebani forse era meglio aiutare
gli alleati in Libia, sotto a casa nostra, dove ci sono interessi
economici ed energetici di primo piano. La verità è che
preferiamo sempre scegliere vie traverse: ovvero compiacere gli Stati
Uniti e gli alleati della Nato nella speranza che poi ci diano una mano,
ovvero che siano loro a intervenire a difendere i nostri interessi. Si
tratta come al solito di una pia illusione e anche di un atteggiamento
ipocrita.
Preferiamo che i nostri soldati muoiano lontano dai nostri
occhi per non dovere affrontare alla radice i problemi di politica
estera e di sicurezza sotto casa nostra. E’ un atteggiamento infantile,
certificato dai nostri esimi editorialisti, che si esaltano perché il
premier Draghi ha chiamato Erdogan un “dittatore” ma si dimenticano di
scrivere che se la Turchia è diventata padrona in Tripolitania la colpa
prima di tutto è nostra e della nostra insipienza. La sovranità, di cui
molti parlano a sproposito, non viene regalata ma conquistata e
confermata dai fatti, non dalle parole.
Purtroppo anche l’ultimo viaggio del ministro degli esteri Di Maio ribadisce questa tendenza a delegare ad altri le proprie responsabilità: il ministro afferma che il sottosegretario di stato Antony Blinken
ci ha assicurato che “la voce e la leadership dell’Italia sono cruciali
in dossier condivisi, dalla Libia alla pandemia, dall’Afghanistan alla
crisi climatica”. Ci mancava poco che Blinken estraesse dal cilindro la
famosa “cabina di regia per l’Italia in Libia”, un frase che hanno già
sentito e si sono bevuti in questi anni i governi Renzi, Gentiloni e
Conte Uno e Due, sia con l’amministrazione di Obama che di Trump. Ovvero
una balla clamorosa: gli Usa non hanno mai avuto intenzione e mai
l’avranno di assegnare all’Italia una leadership in Libia proprio perché
l’Italia non ha nessun capacità di assumersi questa responsabilità.
Erdogan,
come del resto ammette anche Draghi, è un dittatore ma ci fa “comodo”
ed è molto più utile agli Usa dell’Italia. Se la Turchia non avesse
inviato truppe e miliziani jihadisti in Libia, insieme a squadriglie di
droni, Haftar e i suoi alleati, tra cui i mercenari russi, si sarebbero
impadroniti di Tripoli.
Erdogan è servito agli americani per
contenere la Russia in Siria e anche nel Caucaso: a che cosa serve
l’Italia? A poco e niente, se non a infoltire contingenti militari in
remote parti del mondo dove non abbiamo che interessi assai relativi.
Dobbiamo invece cercare di guardare in faccia la realtà e chiederci che
cosa serve avere forze armate e aeree che non vengono impiegate neppure
per fermare le truppe, certamente non troppo scelte e assai
raccogliticce, del generale Haftar.
Dire che l’Italia per la sua Costituzione rifiuta la
guerra è un comodo paravento: l’Italia ha bombardato negli ultimi 30
anni un po’ ovunque, dall’Iraq nel ’91 a Belgrado nel ’99 per poi
colpire con raid aerei nel 2011 persino Gheddafi, il suo maggiore
alleato nel Mediterraneo che sei mesi prima riceveva a Roma in pompa
magna. Insomma quando ce l’hanno chiesto gli americani abbiamo
bombardato eccome. O forse pensiamo che quando lo facciamo per la Nato e
Washington le nostre bombe siano innocue caramelle?
Fonte: Quotidiano del sud
https://www.controinformazione.info/kabul-addio-lipocrisia-e-finita/
Berlusconi71
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