La Corte costituzionale sancisce l’incompatibilità della norma con la Costituzione, ma rimanda al legislatore, perché “l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”. Camera e Senato ora hanno tempo fino al maggio del 2022 per modificare l'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, che vieta di liberare i boss stragisti condannati all'ergastolo, se non collaborano con la giustizia
La norma che vieta di liberare i boss stragisti condannati all’ergastolo, se non collaborano con la giustizia, è incostituzionale. Lo ha deciso la Consulta, che però ha concesso un anno di tempo al Parlamento per intervenire sulla questione. Il motivo? I giudici della corte Costituzionale riconoscono che “l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata“. Tradotto: se fosse stata immeditamente dichiarata l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo si sarebbe stato spazzato via l’intero sistema antimafia. Che subirà comunque l’ennesima picconata, ma almeno si prova a evitare il rischio di riportare in libertà boss del calibro dei fratelli Graviano o di Leoluca Bagarella.
La decisione della Consulta – A spiegarlo è un comunicato stampa della Consulta. “La Corte costituzionale, riunita oggi in camera di consiglio, ha esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale“, si legge nella nota, diffusa in attesa che nelle prossime settimane sia depositata l’ordinanza. La Consulta, prosegue il comunicato “ha anzitutto rilevato che la vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro”. Dunque secondo i giudici “tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo“. Gli articoli della Carta citati sono quelli che disciminano come tutti i cittadini siano eguali davanti alla legge e le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato. La norma della Convenzione europea dei diritti dell’uomo proibisce invece “la tortura e il trattamento disumano o degradante”.
Il tempo supplementare per modificare la legge – Con questi riferimenti i giudici hanno decretato l’incostituzionalità della legge che vieta ai condannati al fine pena mai per fatti di mafia e terrorismo di accedere alla liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura. Significa che se il giudice vuole può concedere la libertà vigilata anche ai boss irriducibili, quelli che custodiscono i segreti delle stragi, a patto che abbiano scontato 26 anni di carcere. E senza che abbiano mai manifestato alcuna intenzione di collaborare con la giustizia. Il rischio è altissimo. È per questo motivo che la Consulta fa notare come “l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”. Quindi i giudici hanno deciso sì di dare una picconata – l’ennesima – a una delle principali leggi antimafia, ma concedendo un tempo supplementare alla politica. “La Corte – prosegue il comunicato – ha perciò stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi”.
Palla al Parlamento – Vuol dire che il Parlamento ha 12 mesi per modificare l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario e il decreto legge 306 del 1992, ispirato da Giovanni Falcone già con un decreto dell’anno precedente, e approvato dopo la strage di Capaci per provare a rompere la breccia di omertà di Cosa nostra, all’inizio della stagione delle bombe. Sono appunto le due norme che sbarrano la strada della libertà vigilata ai boss irriducibili che non collaborano con la giustizia. Solo che secondo la Consulta sono incostituzionali e dunque vanno riscritte. Bisognerà adesso vedere come intende muoversi il legislatore.
L’udienza pubblica e il cambio di linea del governo – L’udienza pubblica della Consulta sull’ergastolo ostativo, infatti, si era fatta segnalare anche per un cambio di linea del governo. In un primo momento l’avvocatura dello Stato aveva chiesto di considerare inammissibile la richiesta della Cassazione, cioè quella di dichiarare incostituzionale la norma che vieta ai condannati al fine pena mai per fatti di mafia e terrorismo di accedere alla liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura. Durante l’udienza pubblica, invece, l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia ha invitato la Consulta a emettere una sentenza che in gergo si chiama interpretativa di rigetto: la corte non dichiara incostituzionale la norma sull’ergastolo ostativo, ma riconosce al giudice di sorveglianza il potere di valutare a sua discrezione caso per caso. Una posizione che aveva provocato il commento del magistrato Nino Di Matteo: “Poco alla volta, nel silenzio generale, si stanno realizzando alcuni degli obiettivi principali della campagna stragista del 1992-1994 con lo smantellamento del sistema complessivo di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Giovanni Falcone“. I giudici della Consulta, comunque, non hanno scelto neanche la strada suggerita dall’avvocato dello Stato: per loro l’ergastolo ostativo è incostituzionale. Ma riconoscono che una sentenza immediatamente esecutiva avrebbe potuto fare aprire le porte del carcere anche a boss molto pericolosi.
Il caso Pezzino – In attesa delle motivazioni, dunque, si chiude così il caso sollevato all’udienza pubblica del 23 marzo scorso. Alla quale si era arrivati dopo che la Cassazione aveva sollevato eccezione di costituzionalità esprimendosi sul caso di Salvatore Francesco Pezzino, mafioso di Partinico, in provincia di Palermo. Condannato per mafia e omicidio, ha trascorso in totale 30 anni in carcere: nel 1999 aveva ottenuto la semilibertà, salvo poi perderla nel 2000 quando era finito sotto accusa di nuovo per altri reati. Considerato un “detenuto modello“, nel 2018 Pezzino ha chiesto al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila di riconoscergli la libertà condizionale, prevista per tutti i detenuti che hanno scontato 26 anni di carcere, salvo, appunto, quelli condannati per reati di mafia che non hanno collaborato con la giustizia.
Relatori, ex giudici e guardasigilli – Il giudice relatore della sentenza era Nicolò Zanon. Eletto al Csm nel 2010 su indicazione del Popolo delle Libertà, poi nominato alla Consulta da Giorgio Napolitano, Zanon ha fatto da relatore anche alla sentenza che nell’ottobre del 2019 definiva incostituzionale la parte dell’articolo 4bis sul divieto di accesso ai permessi premio, cioè il primo gradino dei benefici penitenziari, per i condannati all’ergastolo ostativo che non hanno collaborato con la magistratura. All’epoca alla Consulta sedeva anche Marta Cartabia, oggi guardasigilli di un governo che ora ha un anno di tempo per intervenire sull’ergastolo ostativo. Da quando è in via Arenula la guardasigilli non si è espressa sul tema specifico, ma è ampiamente nota la sua posizione sulla funzione riedecativa della pena. Sul fronte politico, in ogni caso, la sentenza della Consulta sembra aver scontentato tutti. “Per mafiosi e assassini l’ergastolo non si tocca, dicano quello che vogliono. E basta!”, dice Matteo Salvini. Si dicono “perplessi” invece i parlamentari del Moviment 5 stelle: “Le mafie in Italia hanno minato democrazia e diritti delle persone e continuano a farlo, infiltrando anche le pubbliche amministrazioni e le istituzioni con il voto di scambio politico mafioso. Interverremo subito a livello parlamentare, con l’obiettivo di non fare mai un passo indietro e per la tenuta dell’ergastolo ostativo”. Persino ai radicali la sentenza non piace perché, come dice Rita Bernardini, “se la norma è incostituzionale, allora la corte costituzionale avrebbe dovuto avere il coraggio di dirlo, non di aspettare un anno che il parlamento la rimuova e la renda costituzionale“.
Relatori, ex giudici e guardasigilli – Il giudice relatore della sentenza era Nicolò Zanon. Eletto al Csm nel 2010 su indicazione del Popolo delle Libertà, poi nominato alla Consulta da Giorgio Napolitano, Zanon ha fatto da relatore anche alla sentenza che nell’ottobre del 2019 definiva incostituzionale la parte dell’articolo 4bis sul divieto di accesso ai permessi premio, cioè il primo gradino dei benefici penitenziari, per i condannati all’ergastolo ostativo che non hanno collaborato con la magistratura. All’epoca alla Consulta sedeva anche Marta Cartabia, oggi guardasigilli di un governo che ora ha un anno di tempo per intervenire sull’ergastolo ostativo. Da quando è in via Arenula la guardasigilli non si è espressa sul tema specifico, ma è ampiamente nota la sua posizione sulla funzione riedecativa della pena. Sul fronte politico, in ogni caso, la sentenza della Consulta sembra aver scontentato tutti. “Per mafiosi e assassini l’ergastolo non si tocca, dicano quello che vogliono. E basta!”, dice Matteo Salvini. Si dicono “perplessi” invece i parlamentari del Moviment 5 stelle: “Le mafie in Italia hanno minato democrazia e diritti delle persone e continuano a farlo, infiltrando anche le pubbliche amministrazioni e le istituzioni con il voto di scambio politico mafioso. Interverremo subito a livello parlamentare, con l’obiettivo di non fare mai un passo indietro e per la tenuta dell’ergastolo ostativo”. Persino ai radicali la sentenza non piace perché, come dice Rita Bernardini, “se la norma è incostituzionale, allora la corte costituzionale avrebbe dovuto avere il coraggio di dirlo, non di aspettare un anno che il parlamento la rimuova e la renda costituzionale“.
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