Otto persone, appartenenti alla stessa famiglia, sono state uccise, in Afghanistan, dopo che un gruppo di uomini armati ha aperto il fuoco contro di loro, durante la preghiera, in una moschea nella provincia orientale di Nangarhar. La sparatoria è avvenuta nella serata di sabato 17 aprile, intorno alle 21:00, ora locale, nel distretto 9 della città di Jalalabad. Secondo il governatore di Nangarhar, Ziaulhaq Amarkhil, le uccisioni sarebbero collegate ad una disputa su dei possedimenti terreni.
La sparatoria è avvenuta al momento della tarawih, ovvero la preghiera straordinaria serale durante il mese del Ramadan. “Si è trattato di un attacco mirato e le prime informazioni mostrano che la ragione degli omicidi è stata una disputa sulla terra”, ha riferito Amarkhil al quotidiano Al Jazeera. “Secondo i rapporti preliminari, i cinque figli e i tre nipoti di Haji Abdul Wahab sono rimasti uccisi nella sparatoria”, ha specificato il governatore, aggiungendo che la causa principale sarebbe stata “un’inimicizia personale”. Ciononostante, sono in corso indagini per chiarire la dinamica e accertare il movente delle uccisioni. Nessuno è stato finora arrestato, ha chiarito la polizia.
Gli scontri provocati da controversie sui possedimenti terreni sono comuni in tutto l’Afghanistan. Le violenze si trasformano spesso in vendette di sangue che possono durare decenni, tramandandosi di generazione in generazione in un ciclo di omicidi senza fine. Lo scorso aprile, almeno 6 membri di una tribù sono stati uccisi e altri 20 sono rimasti feriti in scontri armati su terreni contesi nella stessa provincia di Nangarhar. I combattimenti sono durati diversi giorni. La regione, roccaforte dei talebani e dei miliziani dell’Isis, è ricca di pianure ed è una delle aree agricole più importanti del Paese.
L’Afghanistan è da anni dilaniato da violenze di vario tipo, dagli attentati dello Stato Islamico, agli attacchi dei talebani, alle offensive delle forze di sicurezza. Il livello delle minacce armate resta alto nonostante le iniziative di pace. Nel 2001, dopo gli attentati dell’11 settembre, gli Stati Uniti hanno invaso il Paese, accusato di essere la base logistica dalla quale al-Qaeda aveva pianificato gli attacchi contro gli USA e il luogo dove si era a lungo nascosto il leader dell’organizzazione, Osama bin Laden, sotto la protezione dei talebani. Dopo quasi due decenni di conflitto, un’importante svolta diplomatica era arrivata con l’accordo di pace tra gli Stati Uniti e i talebani, firmato il 29 febbraio 2020. Tuttavia, l’intesa non ha messo fine alle violenze, che sono aumentate durante e dopo le negoziazioni.
Alla luce della situazione instabile in Afghanistan e dell’aumento degli scontri, il nuovo presidente statunitense, Joe Biden, il 29 gennaio, ha affermato di voler riesaminare l’accordo con i talebani, che era stato negoziato e sottoscritto dalla precedente amministrazione, guidata da Donald Trump. Tuttavia, il 14 aprile, è stato confermato il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan entro settembre. Si tratta di un ritardo di 3 mesi rispetto alla scadenza concordata dalla precedente amministrazione con i talebani. Questi hanno reagito affermando che non parteciperanno ad iniziative diplomatiche fino a che i soldati stranieri si troveranno nel loro Paese. Da parte sua, il governo di Kabul teme che i militanti islamisti vogliano riprendere il controllo del territorio con la forza, una volta che le forze armate afghane non saranno più supportate dall’aviazione statunitense.
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Berlusconi71
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