domenica 5 ottobre 2014

“Riina mente”. Franco di Carlo racconta come avvenne l’omicidio del generale Dalla Chies

dalla chiesa-Franco Di Carlo- “Lui stava con  sua moglie, lo abbiamo seguito a distanza. Potevo farlo là, per essere più spettacolare, nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio”. 
 “A primo colpo, a primo colpo – conclude – ci siamo andati noialtri… eravamo qualche sette, otto di quelli terribili, eravamo terribili. Nel frattempo lui era morto ma pure che era morto gli abbiamo sparato là dove stava, appena è uscito fa … ta … ta .. , ta … ed è morto. Poi gli abbiamo sparato pure da morto.
Così Totò Riina, alias ‘la belva descrive l’agguato mortale che Cosa Nostra operò nei confronti del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emmanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo: un massacro.
Racconto sconcertante, quello di Riina, soprattutto la frase “gli abbiamo sparato pure da morto
Ma le cose non andarono così.
Mi trovavo in Inghilterra, quel 3 settembre 1982, il giorno della strage di via Carini e immediatamente un mio ex soldato della famiglia di Altofonte mi raccontò cosa fosse successo veramente.
Prima di tutto è bene precisare che Riina non ha partecipato alla strage, anche se vuole far credere il contrario, lui non si muoveva mai di casa. Il commando era formato da uomini d’onore agli ordini dei  Madonna,  Galatolo e  Ganci.
I mandamenti quelli di Resuttana, Acquasanta e La Noce. Oltre a Ciaculli, mandamento dove l’uomo forte era Pinuccetto Greco, grande rivale di Nino Madonia.
Quindi ci fu una specie di gara ad arrivare sul posto dell’agguato e sparare per primi.
 Il  mio soldato mi raccontò di una lite tra Greco e Madonia in quanto quest’ultimo non aveva lo aveva aspettato e Pino Greco sparò al corpo senza vita del generale Dalla Chiesa.
Non c’era nessun motivo, tengo a sottolineare, per uccidere Carlo Alberto Dalla Chiesa, non aveva nessun potere, né d’indagine, tantomeno esecutivo: era stato mandato allo sbaraglio e abbandonato.
In quel momento, con tutta la grancassa mediatica da Roma, il superprefetto di ferro veniva decritto come colui che avrebbe fatto a pezzi la mafia.
Giorni di morti ammazzati, quelli  di Dalla Chiesa a Palermo, veniva rappresentata una nuova guerra di mafia, ma tale non era, si trattava di uno sterminio di persone invise al Totuccio Riina, persone a lui vicine, sia nel passato che nel presente.
Riina e i corleonesi dovevano dimostrare, nella loro dissennatezza, che solamente loro potevano comandare, loro e non lo Stato, non comprendendo che con la morte dei politici, Michele Reina nel 1979, del mio caro amico Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, sino a Pio La Torre, e non dimentichiamo la strage di via Pipitone Federico nel 1983 in cui perse la vita il consigliere Rocco Chinnici, si stavano creando i presupposti per la distruzione di Cosa Nostra.
Solo per ignoranza si poteva forzare tanto la mano contro lo Stato, quello stesso Stato che per anni aveva cercato di ostacolare la legge La Torre, sul sequestro dei beni mafiosi, legge che infatti venne immediatamente approvata dopo la morte di Carlo Alberto Dalla Chiesa, segnando in tal senso l’inizio della fine di una parte di Cosa Nostra, quella di Riina.
Ho voluto fare chiarezza perché lo dovevo al generale Dalla Chiesa, che ho conosciuto personalmente.
L’ho incontrato un paio di volte in casa del cognato l’ingegnere Naselli, discendente di una nobile famiglia e commerciante all’ingrosso di marmi.
Io con la mia azienda ne curavo le spedizioni e i trasporti e frequentandolo avevo conosciuto l’allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, incroci curiosi ma abituali nell’ambigua Palermo.

http://www.articolotre.com/2014/10/riina-mente-franco-di-carlo-racconta-come-avvenne-lomicidio-del-generale-dalla-chiesa/

Nessun commento:

Posta un commento