venerdì 17 ottobre 2014

Addio a Marco Ansaldo, ha raccontato lo sport e insegnato ai giovani

Firma de La Stampa per 23 anni: una carriera al servizio del lettore


TORINO
Marco Ansaldo, firma de La Stampa dal 1991, è morto ieri all’età di 58 anni. Ci ha lasciato mentre camminava in una giornata di sole con i suoi amici nella campagna astigiana: il cuore ha smesso improvvisamente di battere.  
Sulle nostre pagine Marco ha raccontato 12 Olimpiadi tra invernali ed estive e 6 Mondiali di calcio. Campionati e coppe in serie, più il ciclismo e la scherma, la sua passione neanche tanto segreta.  
Alla famiglia di Marco e a tutti suoi cari giungano le condoglianze e l’abbraccio di tutta La Stampa.  

Il cuore di Marco Ansaldo si è fermato un mese dopo la pensione. Chi lo ha conosciuto non può avere dubbi: il giornalismo si è preso il meglio di quel cuore. Brutta bestia il giornalismo militante, sul campo e sui campi, anche per chi l’ha amato in maniera tanto viscerale, confondendo vita e professione. La sua è stata una carriera senza soste, onnivora, guidata dal talento per la scrittura e dalla passione per lo sport. L’uno appagava l’altra, in un intreccio spesso febbrile. Lo seguivi mentre saltava da un aereo a un treno, si sfiancava nelle trasferte, macinava chilometri in autostrada a orari improbabili, rincorreva le partite in notturna, la maledizione del calcio spezzatino. Lo prendevamo in giro, e qualcuno da parte: Marco fermati. Non potevamo immaginare che fermarsi avrebbe fatto tanto male a lui e a noi.  

Marco ha lavorato alla Stampa per 23 anni, l’età di una generazione. È stato «la» prima firma, al di là dei galloni, l’inviato sulle partite più importanti, ha seguito Olimpiadi, mondiali e europei di calcio, scriveva indifferentemente di ciclismo e pallavolo, canottaggio e sci, ma la sua passione era la scherma, condivisa con la figlia Alice, atleta di buon livello. Marco aveva una competenza larga, veramente olimpica, così rara in tempi di iper o pseudo specialisti. La sostanza del suo «mestiere» erano i rapporti personali, le lunghe telefonate, la capacità di verificare le notizie alla fonte. Non si riconosceva nel mondo dei filtri, quello in cui le società di calcio decidono quando come e se un giornalista possa parlare con un calciatore. 

Non aveva un carattere facile, soprattutto con le gerarchie della redazione. Si considerava l’arnese di un giornalismo che non esisteva più, e questo lo rendeva un uomo amareggiato, a tratti spigoloso. Ma faceva una cosa che nei giornali non va più di moda: insegnava il mestiere ai più giovani, forse per preservare la specie. Con loro era comprensivo, persino dolce. E ne faceva un’altra, altrettanto rara: scriveva per i lettori, con uno stile chiaro, mai per compiacere se stesso.  

Gli piaceva il ruolo del bastian contrario, a costo di trasformarlo in un vezzo, ma non ha mai recitato da prima donna, anche se avrebbe avuto il diritto di reclamare la parte. Il suo destino era il taccuino, non la scrivania. La sua forza quella del testimone. Purtroppo anche la fatica, cui ha pagato un prezzo altissimo: l’impossibilità di una seconda vita.  

Ciao Marco, ci mancherai.  

http://www.lastampa.it/2014/10/17/sport/addio-a-marco-ansaldo-ha-raccontato-lo-sport-e-insegnato-ai-giovani-yKEdZByGbtDbc3I4HJBAPO/pagina.html

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