1. IERI SERA, DURANTE IL MONOLOGO INIZIALE, SANTORO HA SFERRATO UN CALCIO AL “FATTO” - 2. FREGANDOSENE CHE “SERVIZIO PUBBLICO” E’ DI PROPRIETA' DI UNA SOCIETA’ FORMATA APPUNTO DA SANTORO E “IL FATTO”, IL TRIBUNO CAMPANO SI E’ TOLTO UN MACIGNO DALLO SCARPONE CONTRO IL GIORNALE DI TRAVAGLIO (SUO PARTNER FISSO DEL PROGRAMMA) - 3. HA TUONATO L'EX RE DEL TALK: “… OGNI GIORNO ‘’CORRIERE DELLA SERA’’, ‘’LIBERO’’, ‘’IL FATTO’’, PERFINO ‘’LE MONDE’’ CI SPIEGANO CHE I TALK STANNO MORENDO PER MANCANZA DI ASCOLTI. MA QUANTE COPIE VENDONO OGGI LIBERO E I GRANDI GIORNALI? E GLI AMICI DEL ‘’FATTO’’ VENDONO OGGI LE STESSE 100 MILA COPIE CHE ERANO ARRIVATI A VENDERE ANNI FA? TRANQUILLI, NON VOGLIO METTERMI A DARE LE CIFRE COME FANNO LORO OGNI MATTINA…..’’ - 4. L’IRA DI SANTORO PER UN PEZZO SUL “FATTO” IN CUI SI PONEVA UNA LAPIDE SUI TALK-SHOW
DAGOREPORT
Ieri sera, durante il monologo iniziale, Santoro ha sferrato un calcio al suo giornale di riferimento, “Il Fattoquotidiano”. Fregandosene elegantemente che “Servizio pubblico” e’ di proprieta' di una societa’ formata appunto da Santoro e “Il Fatto”, il tribuno campano si e’ tolto un macigno dallo scarpone contro il giornale di Travaglio (suo partner fisso del programma)
Così ha tuonato l'ex re del talk: “… ogni giorno ‘’Corriere della sera’’, ‘’Libero’’, ‘’Il Fatto’’, perfino ‘’Le Monde’’ ci spiegano che i talk stanno morendo per mancanza di ascolti. Ma quante copie vendono oggi “Libero’’ e i grandi giornali? E gli amici del ‘’Fatto’’ vendono oggi le stesse 100 mila copie che erano arrivati a vendere anni fa? Tranquilli, non voglio mettermi a dare le cifre come fanno loro ogni mattina…..’’
Ora, l’incazzatura di Santoro ha origine dalla lettura di un articolo di Nanni Delbecchi sul “Fatto” in cui si poneva una lapide sui talk-show.
2. ‘’DI SICURO, SANTORO APPARE SUPERATO’’ (ARTICOLO CHE INNESCATO L’IRA DI MICHELONE)
Nanni Delbecchi per "il Fatto Quotidiano" del 19 settembre 2014
Alto, magro, elegante, presente più a se stesso che agli altri. Prototipo di un ulteriore aggiornamento del software, dal sorridente direttore di agenzia al compassato gentiluomo di campagna. L’appiombo inscalfibile, alla Edmond Dantès, con cui Massimo Giannini ha risposto alla tradizionale piazzata di Renato Brunetta la sera del debutto a Ballarò la dice lunga sull’evoluzione del santorismo televisivo.
Come abbiamo l’iPhone 6, abbiamo anche il Santoro6. Difficile dire se il modello spaccherà, perché il mercato è saturo. Di sicuro, il Santoro5 appare superato. Santori di sinistra, di destra, falchi, colombe, gattopardi e ircocervi; ce n’è per tutti i gusti, e il quadro è in evoluzione. Il derby del martedì certifica che il santoro di sinistra non ha quasi più nulla dell’originaria carica popolare e piazzaiola, e ci sarebbe da stupirsi del contrario, visto che da tempo non la coltiva più nemmeno l’autentico Michele Santoro, l’uomo che ha imposto il talk come sintesi televisiva della nostra tradizione teatrale, metà commedia dell’arte e metà melodramma.
Mentre Corrado Formigli, quello che in ripresa di stagione è sgabbiato meglio, si sta smarcando sempre più dall’impianto teatrale in sé. Come sempre, sono i figli i più bravi a uccidere i padri.
Eppure il “santoro di sinistra”, sia pure in versioni geneticamente modificate, continua a monopolizzare i talk show. Perché? E perché la parte politica storicamente minoritaria è invece da sempre egemone sul piccolo schermo? Forse perché il santoro di sinistra non è mai a corto di argomenti, ma soprattutto di bersagli. Se il bersaglio naturale, le destre, appare sottotono, non c’è problema, tanto Brunetta si arrabbierà lo stesso, in automatico, ma soprattutto si può sempre sparare a zero proprio sulla sinistra, per ribadire che la sua più autentica fonte di ispirazione resta quella fratricida.
I santori di destra, invece, faticano da sempre anche perché verso i loro capi – nonché sponsor politici – nutrono un’atavica soggezione reverenziale, e anzi, tendono a omaggiare non solo i capi loro, ma anche quelli degli altri. Vespa ha tracciato la linea su cui si sono incamminati tutti gli altri, ognuno con il proprio stile. Paolo Del Debbio è un oste è di vecchia generazione, ha scelto di ispirarsi a Funari e di coltivare la mistica della “gente”: quando si collega con le piazze sembra di stare al mercato; e quando la linea ritorna in studio pure, si è solo passati a un banchetto più rumoroso.
Nicola Porro invece è convinto di avere imparato la lezione del maestro e costruisce il suo Virus come crede che Michele Santoro costruisse Samarcanda vent’anni fa: dietro il paravento del dibattito dai grandi orizzonti si nasconde una tesi precostituita e un’imboscata ai “nemici”. Giovedì scorso il tema ufficiale della prima puntata di Virus era l’allarme Isis, ma ben presto il programma si è trasformato in un processo al Movimento Cinque Stelle e ad alcuni suoi esponenti, rei di avere attaccato le scelte militari dell’Occidente e di giustificare il terrorismo.
È davvero così? Di certo nessuno dei chiamati in causa poteva replicare, a parte qualche un paio di difensori d’ufficio scelti ad arte, i professori Gianni Vattimo e Paolo Becchi. Porro se la tira da elegantone, ma sembra non conoscere il codice d’onore. Se proprio vuoi fare l’imboscata al nemico sparagli in faccia, non alle spalle.
Nessun commento:
Posta un commento