MASADA 1552 ROMANZO CAPITOLO 6 |
MASADA n° 1552 6-8-2014.
UNA SECONDA POSSIBILITA’- ROMANZO-CAPITOLO 6
La casa infestata – Sogni
premonitori – Messaggi dall’al di là - Le vite precedenti
Per una anomalia della
natura, sono nata con 4 bronchi invece di due, una malformazione bronchiale,
congenita e irreversibile, che mi ha messa a rischio per i primi 35 anni di
vita, con bronchiti croniche, crisi d’asma e allergie respiratorie, tanto forti
che mi hanno portato verso la morte.
Quando ero piccola ero
convinta che intorno ai 37 anni sarei morta. E in effetti a 35 anni le mie
funzioni respiratorie si erano così complicate per l’aggravarsi di
questa patologia che, al sanatorio di Ornago, dopo avermi esaminata per dieci
giorni, mi dissero che non c’era più niente da fare e mi diagnosticarono due
mesi di vita.
Fu un shock, ma in quello
shock, non so perché, accadde qualcosa di improvviso e guarii di colpo, e ora
sembra addirittura che i miei 4 bronchi siano diventati due come in ogni persona
normale, una cosa abbastanza incredibile visto che è cambiata la morfologia del
mio corpo, e dopo quel giorno non sono stata più malata, più nessuna bronchite,
asma, più nulla. Ma la sentenza del primario fu traumatica e modificò qualcosa
dentro di me in modo violento e totale. Credo che in quel momento il mio
radicamento alla vita abbia subìto una scossa repentina e immagino che, quando
questo accade, si liberi una parte di noi che resta solitamente come
intrappolata in uno stato coscienziale limitato e cieco, la connessione
ordinaria al proprio corpo materiale, una parte che può essere liberata e, dopo,
può aprire una condizione “altra”, la condizione di "chi vede".
Vi sono energie che possono
emergere istantaneamente a seguito di un lutto, un dolore, una malattia, un
pericolo, una depressione. Per me fu una diagnosi di morte e l’incontro con “una
casa”. Quando arriva questo evento, la vita cambia del tutto, come se il trauma
esterno ci modificasse alla base, sradicandoci dalle percezioni abituali e
gettandoci in una configurazione nuova e inaspettata.
Fu allora che il mio punto
di coscienza si spostò e cominciai ad avere delle percezioni che non avevo mai
avuto prima e che non sapevo come etichettare. Poiché non avevo alcuna
cognizione del paranormale, queste nuove percezioni mi destabilizzavano e mi
gettavano nel più grande sconforto.
A quel tempo abitavamo
davanti alle ciminiere Falk di Sesto S. Giovanni (Milano) e l'aria rossa di
vapori ferrosi non era proprio adatta a una asmatica in condizioni gravi; il
primario ci disse che, per prolungare la mia vita anche di poco, sarebbe stato
salutare trasferirsi a sud dove l’aria fosse migliore, e così mio marito
interruppe una prestigiosa carriera e ci trasferimmo in fretta e furia a
Firenze.
Cercammo una casa in
affitto, cosa non facile in tempi brevi, ma, curiosamente, si mostrò subito
libera e disponibile una vecchia villetta d’inizio secolo..
Vederla e rifiutarla fu
tutt’uno. Perché io quella casa l’avevo sognata e aveva qualcosa che mi metteva
disagio. Era un appartamento al primo piano, molto grande, dai soffitti
altissimi, con due salotti e molte camere, un immenso corridoio centrale lungo
dieci metri ed enormi finestre strette e alte. Tubi dell'acqua e fili elettrici
a vista, vecchi pavimenti di mattonelle esagonali rosse. Mio marito fu costretto
a lasciarla perdere, vista la mia avversione, ma due mesi dopo non avevamo
trovato nient’altro e la vecchia casa era sempre lì che aspettava, libera e
disponibile, fatto questo molto curioso, vista la carenza di alloggi, così che
alla fine mi arresi ed andammo ad abitare in Via del Ghirlandaio,
a Firenze.
Marzia, mia figlia, aveva 5
anni e si fece venire una bella tosse allergica mostrando con vari tic, incubi
notturni e sintomi vari, di non gradire la nuova abitazione e i cambiamenti
sottili che avvertiva confusamente in me e tutt’attorno.
I due anni che seguirono
furono i più tragici della mia vita, un cognato morto di cancro alla testa, la
suocera morta e poi il suocero sempre di cancro, un cognato in carcere a
Volterra, la Digos in casa.... un assembramento di problemi dolorosi cui
partecipai confusamente, ripiegata su me stessa, sempre più convinta che ‘io’
stavo morendo e impegnata solo nella mia morte. Un vero incubo!
Ma l’incubo più grande fu la
casa. La casa era inquietante per vari fenomeni che fingevo di non vedere anche
perché il pensiero della morte mi occupava totalmente, ma i fenomeni
continuavano fittamente: finestre che si spalancavano all'improvviso, luci che
si accendevano a metà notte, sussurri, fruscii, suoni non identificati,
schianti e scricchiolii, oggetti che si spostavano…
La bambina odiava quelle
stanze vaste, odiava la propria camera, e, la sera, attraversava sempre correndo
il lungo corridoio un po' spettrale, cercando di starmi sempre vicina. Si
lamentava che durante la notte sentiva rumori strani. Era come se per tutta la
notte qualcuno "non proprio camminasse ma strascicasse". Mia madre, che dormì
una volta nella sua camera, confermò la cosa e chiese: "Ma cos'è che si trascina
con pena tutta la notte?"
Per me, che ero entrata in
una situazione irreale, le giornate erano strane e faticose e le notti
lunghissime per l'insonnia e l'agitazione nervosa. Avevo il terrore di
addormentarmi; se chiudevo gli occhi, sentivo delle forme oblunghe, come dei
gonfi lombrichi lunghi un metro, biancastri, a mezz'aria, che volevano
succhiarmi la vita attaccandosi alla mia gola, forme vampiriche che si nutrivano
della mia energia. Allucinazioni forse.
Ero diventata attentissima
al mio corpo, mi sembrava improvvisamente che ci fossero molte posizioni che non
potevo prendere come rituali che non dovevo assolutamente eseguire. Per esempio
stavo attenta a non unire le mani per pregare, come se questo atto, in apparenza
semplice, fosse analogo all'infilare una spina in una presa e a produrre un
contatto o passaggio di corrente, fosse un atto convogliatore di energia! Fu
allora che cominciai a visualizzare la mia mano destra come qualcosa di caldo e
rosso da cui usciva energia e la mia mano sinistra come qualcosa di blu e freddo
che attirava energia. E le due mani insieme erano come due poli elettrici che
potevano costituire un arco voltaico per una qualche forma di corrente non
identificabile. Da allora le mani mi diventano sempre elettriche e bollenti
quando ho accanto qualcuno che sta male.
Soffrivo di insonnia e la
notte mi incamminavo spesso verso il bagno nel lungo corridoio illuminato
dall'azzurro della luna che irrompeva dai finestroni alti e non schermati.
Mi sembrava, e la cosa mi
spaventava, di essere "una cipolla". L'immagine era irreale e sconcertante....
Ero dunque una cipolla, cioè un'entità formata da strati o veli, così sottili da
non essere quasi visibili, sempre più sottili e trasparenti verso le parti più
esterne. E sentivo che per me era diventato molto facile spostarmi verso questi
strati esterni così impalpabili, ma questo passaggio era molto pericoloso per
il mio insieme perché comportava un pericolo di disgregazione, dunque di morte.
Associavo l'idea della morte a questo passaggio da uno strato della cipolla
all'altro, e allo sciogliersi dei suoi veli; vedevo la cipolla come un
universo, come se i livelli o strati fossero una condizione universale e capivo
che la possibilità di uno spostamento del mio punto di coscienza da un livello a
un altro poteva comportare la fine di quella unione temporanea che qui io chiamo
vita. C'era la possibilità rischiosa di una perdita dell'insieme, sarei ancora
esistita, sarei stata un'altra cosa ma non avrei potuto più essere umana come
prima. Spostandomi, avrei perso il centro o cuore della cipolla, in una parola,
avrei perso il mio nucleo fondamentale, il mio punto vitale, il punto di spillo
che teneva insieme tutte le mie configurazioni, e dopo sarei diventata un’altra
cosa, ma non sapevo cosa e ciò mi terrorizzava.
Oggi so che stavo percependo
i tanti corpi dell'energia, i livelli vibrazionali di cui siamo formati, sempre
più sottili verso l'esterno e sentivo la morte per ciò che probabilmente è:
perdita di coesione di questi particolari strati che messi insieme formano la
cosa umana e passaggio ad una forma di essere diversa da quella della
materialità che ci definisce.
Questa immagine dell'uomo
come cipolla, che mi sembrava allora quasi bizzarra e sconveniente, l'ho poi
trovata in seguito citata tante volte da mistici e sensitivi che ora non ci
faccio più caso, in Lobsang Rampa, in Yogananda Paramahansa, nel maestro tolteco
Don Juan ecc. E mi ha prodotto un grande sollievo leggerne, quasi un senso di
ilarità, perché sapere che altre persone avevano percepito la mia stessa
immagine mi dava senso e dignità, mi restituiva a un contesto umano accettabile
e non tanto irrazionale da ritenersi folle. Quella immagine degli strati o
livelli vibrazionali l'ho sentita nella mia pelle e nella mia paura prima di
sapere delle comunicazioni delle entità che ne parlano e prima di leggere la
spiegazione che ne dà padre Francoise Brune che era un medium.
Quello che percepivo non
riguardava solo la struttura energetica della mia cipolla ma l'universo intero,
l'Essere, nelle sue varie possibilità, come 7 o 9 anelli di conoscenza o di
essenza, in cui si scandiva l'organizzazione dell'ENERGIA.
Quando poi ho letto dei 7 o
9 corpi del lamaismo tibetano, ho ritrovato in una cultura lontanissima dalla
mia lo stesso concetto. Ma la conoscenza diretta del fenomeno è sempre stata la
mia guida più certa. Solo ciò che si sperimenta si conosce realmente. La vita è
un tipo di conoscenza molto diversa da quella scientifica. L'osservatore e
l'osservato si identificano e questo dà un colore, uno stato emozionale e un
modo di essere e di capire che nessuna operazione esterna può riprodurre.. Non
si conosce per certo che ciò che si sperimenta e non si sperimenta per certo
che ciò per cui si è pronti a livello evolutivo, cioè nel cammino della
trasformazione dell'essere.
Credo sia stato allora che è
nata in me l'idea che "il porsi" sia qualcosa non di fisico ed esterno ma di
interiore e interno e che ci sono dei modi di “porsi” della nostra
consapevolezza che producono uno slittamento dell’io coscienza su piani diversi
dell’essere. Non mi è facile spiegare in cosa consiste questo mutamento, è uno
spostamento, uno slittamento, come un cambio di prospettiva, che si realizza non
per nostra scelta o volontà, almeno all'inizio, ma perché qualcosa ha sballato
le radici del nostro albero, come se la vita fosse il radicamento di una grossa
quercia a un terreno noto e sostanzioso di conoscenze, percezioni, paradigmi,
imprinting, e poi arrivasse la grande botta che scatafascia la pianta e ne
estrae le radici e la piega in una posizione così inusuale che tutta
l'esperienza si rovescia e si trasforma completamente e comincia a crescere in
altri campi.
Anche Platone diceva che
l’uomo è un albero rovesciato che ha le radici in cielo. Ma bisogna capire fino
in fondo cos’è questo estraneamento totale e che non si tratta di una mera
metafora, ma di una esperienza fuori dall’ordinario.
Per quanto io non sappia
spiegare cosa avvenne, comunque qualche alchimia ci fu. Io la chiamai
"spostamento".
Ma di tutto questo fu
responsabile “la casa”.
La casa reagiva stranamente
a me, sopravvissuta temporaneamente alla mia morte, e a mia figlia, spostata dal
suo ambiente di certezze e perciò in crisi, troppo piccola per elaborare
razionalmente gli eventi consci e inconsci che si proiettavano su di lei (la mia
malattia, le mie paure, l'agitazione del padre, il trasloco, la casa
inquietante, gli altri eventi terribili che colpirono la mia famiglia..).
La creatura umana, specie se
bambina, esige sempre il massimo di sicurezza e ripetizione e conformità e
delicatezza, sia emotiva che ambientale.
Ma entrambe fummo sradicate
e messe a confronto con qualcosa di inesplicabile.
Un giorno, eravamo in uno
dei due salotti, Nicoletta guardava Uri Geller alla televisione che piegava i
cucchiai e mi chiese: "Mamma, Mamma, fai anche tu la strega!". “Pronti!” Punto
le mani verso il grande tendaggio della finestra e dico: "Cadi! Cadi! Cadi!" e
poi ridendo: "Vedi? Non succede niente!". Non ho nemmeno finito che tutto il
tendaggio, bello grande, mi cade addosso. Sarà colpa dei muri vecchi che non
tengono, sarà colpa della nuova installazione..
Più tardi mio marito dirà
che i sostegni non sono crollati, in quanto i chiodi non hanno ceduto, ma sembra
che il tubo si sia graziosamente sfilato dall’alto e tutto il baldacchino mi
sia, poi, caduto sulla testa.
La mattina dopo sono nel
secondo salotto, chinata, che innaffio le piante, anche qui un grande tendaggio
altissimo che prende tutta la parete si sfila verso l'alto e mi cade addosso.
Non mi faccio niente, a parte lo sbalordimento. Di nuovo sembra che il bastone
si sia sollevato dai supporti per venirmi a cercare.
Nella vecchia casa
l’impianto elettrico non sembra funzionare bene, perché le luci si accendono di
colpo quando vogliono loro, di solito a metà notte, e allo stesso modo i
finestroni si spalancano di colpo e le porte non stanno chiuse, è tutto un
accendersi e cigolare, e poi ci sono i rumori strani, ma si sa, le case
vecchie...!
Poi cominciano gli
elettrodomestici, le radio, i meccanismi elettrici… si accendono di colpo
inspiegabilmente, anche se le spine sono staccate, e la cosa è soprattutto
terribile quando le spine sono staccate.
Un giorno in una delle
camerette, quella che uso come studio e dove tengo la macchina da cucire, mentre
sono in cucina sento che la macchina si è messa a cucire da sola a velocità
pazzesca. Corro strabiliata... Non posso nemmeno staccare la spina perché è già
staccata.
Il giorno dopo è la volta
del giradischi, si accende di colpo e ne esce un urlo tremendo altissimo,
sofferente, (non c'è disco, non c’è spina), poi tutto va a fuoco in una gran
nuvola nera, puzzolente di zolfo... forse è un altro contatto... ma la cosa è
fortemente spettacolare, a parte il giradischi da buttare e di nuovo le
considerazioni sulla spina staccata. E poi quell'ululato umano da pelle
d'oca....
Poi mi ritrovo seduta sempre
nella stanza della macchina da cucire che uso come studio, una stanza lunga e
stretta e io sono sotto la finestra a un piccolo tavolo, in cima alla stanza,
tre metri dietro di me o più, c'è un pesante armadio di campagna, massiccio, di
quelli di una volta, con le due ante che si incastrano nei fori con due pioli.
Un'anta, molto pesante tra l'altro, si stacca e, volteggiando nell'aria,
attraversa la stanza e viene a cadermi addosso. Tutto questo non è piacevole.
Anche qui ci può essere una causa materiale, forse il piolo è uscito dal suo
foro, ma non è chiara la traiettoria perché sono troppo lontana. Tre metri. Le
distanze non tornano. E comunque è sconvolgente sentirsi colpita da cosa che ti
volano addosso.
Nel frattempo sogno la casa
come era un tempo, il bagno è diverso e in cucina non ci sono queste mattonelle,
è come potrebbe essere prima di una eventuale ristrutturazione. La casa ha
un'aria dimessa e trascurata, vedo una coppia di anziani, vestiti di scuro,
silenziosi, come due ombre tristi. In una camera intravedo una rete di letto con
il materasso messo a doppio come fanno a volte in campagna i contadini quando in
una stanza non ci dorme più nessuno. Sono sicura di aver visto la casa come era
tempo prima e mi confermano che certe ristrutturazioni sono recenti. Il sogno mi
dice che in quella casa è morto un figlio.
Io ho sempre dato molta
importanza ai sogni e tuttora aiuto gli altri a interpretarli. Sono una
visionaria in questo senso, non solo perché ho delle visualizzazioni a occhi
aperti, più o meno consistenti, e spesso visioni telepatiche, ma anche perché
uso i sogni come materiale utile per la vita e ho sviluppato una certa pratica
interpretativa.
A volte il sogno resiste ai
tentativi di decodificazione del razionale, e si palesa dopo diversi mesi o
anni, ma per me è una fonte di conoscenza simile a quella dei miei amati libri,
sognare è il mio libro segreto e qualche volta non è un libro personale ma
universale.
Prima di andare in quella
casa, prima addirittura di sapere che le mie condizioni erano gravi e di
decidere di trasferirmi da Milano, avevo sognato che andavo a stare a Firenze in
una casa molto antica vicina al Lungarno, da cui si poteva vedere Ponte Vecchio,
così come poi avvenne. C'era un lungo e grande corridoio molto alto (come
infatti poi era veramente) e sulle pareti tracce sbiadite di dipinti
indecifrabili (figure di persone). La casa sembrava un museo e infatti era
questa la frase fissa dei visitatori: "Questa casa sembra un museo". Le tracce
dei resti sulle pareti nella realtà non c’erano ma fanno pensare a tracce
mnestiche di antiche vite precedenti incorporate nel luogo e captabili per
psicometria ambientale. Nel sogno andavo a fissare le acque minacciose dell'Arno
dal ponte S. Niccolò (quella strada era praticamente il proseguimento del ponte
S. Niccolò). Io ho una simbologia onirica legata al fiume, che sento come il mio
inconscio, e le mie precedenti vite presentano due morti per affogamento. Nel
sogno c'erano dei subacquei che tiravano su dalle profonde acque fangose una
grossa cassa in cui era imprigionato il mago Houdini.
Il sogno era predittivo con
molti particolare esatti. Diceva: "Andrai a stare a Firenze in un preciso luogo
e ti si svilupperà una nuova personalità. La casa avrà sulle sue pareti tracce
di vite precedenti e tu riuscirai a captarle. Dalle profondità del tuo inconscio
sarà tirata alla superficie la tua energia profonda ma essa ora è prigioniera e
tu sarai malata finché non riuscirai ad esprimerla. Altrimenti sarai come
Houdini, che era incatenato in una cassa piena d'acqua, ma non riuscì poi a
liberarsi in tempo e per questo morì. Se tu non libererai la tua energia in
tempo, la sua forza prigioniera ti soffocherà (la morte per soffocamento nei
miei liquidi bronchiali)."
La liberazione delle forze
paranormali o di qualunque altra energia simile, collegata alla minaccia della
morte in due modi (se le liberi, perché sono pericolose, se non le liberi,
perché ti soffocheranno) è diventata un mio problema cronico.
E sono arrivata ad
ipotizzare che quando uno ha una determinata energia e la soffoca, questa farà
di tutto per uscire, prendendo le forme della malattia mentale o fisica o
perturbando la vita in ogni modo finché non sarà riconosciuta.
Ci ho messo 20 anni per
rimuginare questi fatti e dieci per riuscire a parlarne e questo la dice lunga
sulle mie riserve sull’argomento.
Una notte, sempre in quella
casa, mi alzo come al solito per andare in bagno e devo percorrere al lume
della luna tutto il lungo corridoio spettrale. Alla mia sinistra c'è il portone
massiccio che dà sulle scale e che si chiude non a scatto come le porte moderne
ma con una lunga sbarra che tiene fissata per angolo contro il muro la mezza
porta e con un’altra sbarra orizzontale a scorrimento. Ma la porta è totalmente
aperta. Non fa piacere alzarsi di notte e trovare la porta di casa completamente
spalancata, non quella porta almeno. Dunque guardo da ogni parte se è entrato un
ladro, sono agitata, ma... niente. Non c'è spiegazione plausibile. Chi ha alzato
le spranghe e le sbarre e perché? Chi ha spalancato il pesante portone e
come?
Arriva l'ultimo episodio in
un crescendo di agitazione: è sempre notte e sempre io mi alzo per vagare nella
grande casa allunata ma, come sono sulla soglia della camera, qualcosa di
pesante mi colpisce fortemente all'inguine, così forte che, dal dolore, svengo..
Beh, si può pensare a un dolore intervenuto in un momento tra il sonno e la
veglia e proiettato all’esterno ma era tutto così esterno e tangibile e così
violento..... Che cosa mi ha colpito e perché?
Faccio un sogno: "Sono nella
cameretta dell'armadio che vola e della macchina da cucire che cuce da sola,
sono seduta davanti al tavolino, e un giovanotto si sostiene, quasi levitando,
reggendosi alla spalliera della mia sedia. Lo vedo con grande chiarezza. E'
abbastanza alto, sui 27 anni, ha i capelli bruni e ricciuti con la brillantina
come si usava negli anni '50, è messo bene, nel senso che porta il vestito
buono, blu, ed è pettinato con cura, ma i suoi pantaloni sono in parte vuoti,
per cui non si sostiene sui suoi piedi ma sta come sospeso per aria con le sue
gambe sfracellate. Mi dice il suo nome e cognome, che è morto suicida e dice
anche il nome di un cimitero vicino a Firenze dove il suo corpo è seppellito.
Dice che è morto gettandosi dalla finestra e che sua sorella non ha colpa di
quello che è successo. Mi ripete insistentemente: "Diglielo ad Amanda di non
piangere, che non ha colpa, dillo anche alla bambina!". Credo che la bambina sia
sua nipote. Ho un flash di loro che tornano a casa nel momento in cui si compie
la sciagura. Ripete queste parole più volte e sembra angosciato di quello che ha
fatto e del dolore che ha provocato ai suoi. E' tutto molto reale e molto
scioccante. Dopo quel sogno "ogni fenomeno scompare e nella casa non succede più
nulla", ma proprio più nulla... Penso che lo strascicamento che sentivamo poteva
somigliare al movimento di un corpo che si è fratturato le gambe e dunque non
può camminare, ma naturalmente poteva trattarsi dell’impianto di riscaldamento
difettoso, anche se noi la notte lo spegniamo. Il colpo all'inguine così
doloroso poteva simulare l'urto di un corpo che cade violentemente sul selciato,
come potrebbe trattarsi di un comune malore. E poi io abito a un primo piano,
non ci si butta da un primo piano. Anche se forse si torna là dove si è vissuto
a lungo. E’ tutto così incerto e nello stesso tempo così tangibile. Penso anche
che questa drammatizzazione legata al suicidio mi riguarda personalmente perché
molte volte nella mia vita sono stata depressa al punto da pensare di gettarmi
dalla finestra. Credo che ognuno abbia una sua morte preferita, magari pensa al
gas o a spararsi o a prendere delle pillole, per me c’era solo la finestra.
Dunque uno psicoanalista può spiegare facilmente il tutto come una proiezione
dell’immaginario.
Dopo quel tempo pauroso,
nella casa infestata, io guarii totalmente, almeno il mio corpo guarì e i miei
bronchi gravemente malformati dalla nascita, tornarono misteriosamente normali.
Non ne avevo più quattro come avevo avuto dalla nascita, ma due,
come tutto le persone normali. Un miracolo laico, se così si può dire, visto che
non posso associarlo a luoghi di culto o a preghiere.
Ma se il mio corpo guarì, la
mia psiche uscì da queste esperienze compromessa e passai i sette anni
successivi in una spaventosa depressione, in cui il pensiero della morte
mi era tetra compagna e in cui non ci fu giorno che non pensassi al
suicidio.
In quel lungo tempo sarebbe
tornato il mio amico suicida, attraverso la scrittura automatica, a ripetermi di
non fare quello che pensavo perché lui si era ucciso ma non avrebbe dovuto e
nemmeno io avrei dovuto farlo.
Molti anni dopo, a Pavia, un
pomeriggio d'estate in cui non sapevo che fare, provai a fare la scrittura
automatica con una leggera estraneazione e il ragazzo suicida rapidamente tornò
e mi disse molte cose, fece da intermediario anche ad altre anime tutto morte in
modo violento, venne per es. uno spagnolo che era stato ucciso a tradimento e
che parlava in spagnolo. Forse quelli che hanno curato poco la propria vita,
suicidi o morti ammazzati, sono in una fascia di vibrazioni simili e possono
contattarsi per analogia. Forse l'energia che ci struttura si posiziona
automaticamente per propria vibrazione al posto che le compete nell'universo sia
di qua che di là e là e conosce solo ciò che può e comunica solo con ciò che è.
Siamo corsie di scorrimento di informazioni analogiche, ognuna nella sua banda
di frequenza, siamo energia che si connette, al di là della vita e della morte
con altra energia. Una persona autistica diceva: "Dopo morti saremo un'impronta
di energia dell'universo". Questa energia può, a modo suo, comunicare e
comunicarsi e ci unisce, vivi e morti, in una stessa corrente
condivisa.
Al ragazzo suicida, quando
riemerse, ma ormai ero a Pavia, fuggendo dalla casa infestata, chiesi in
scrittura automatica varie cose anche sulla serie di efferati delitti relativi
al mostro di Firenze. Non se ne conosceva l'assassino e credo che non si conosca
con certezza nemmeno oggi ed ebbi strane risposte che spedii diligentemente al
procuratore Vigna che capeggiava, allora, la polizia di Firenze. Per pudore
mandai il tutto in forma anonima. Le mie informazioni contenevano anche un nome
e quel nome poi riemerse nelle indagini, ma era di una persona ormai morta che
aveva portato il suo segreto con sé.
L’autore dei miei scritti
automatici rispondeva alle mie domande. Disse che l’omicida lavorava in un
ospedale presso Firenze come paramedico e me ne fece anche lo schizzo. Magro,
sottile, con un camice bianco e la cravatta.
Disse che da bambino aveva
avuto un amore possessivo verso la madre ed era stato geloso del suo compagno al
punto da non sopportare i loro abbracci e da interporsi tra di loro. Un giorno
lo aveva accoltellato e la madre si era assunta la colpa, finendo in una clinica
psichiatrica. Diceva anche che la verità non si sarebbe mai saputa e che lui
avrebbe scritto tutto alla sorella prima di suicidarsi gettandosi in un lago. Ma
io non ho poi abbastanza elementi per dire se in questo ci fosse qualcosa di
vero.
So che la polizia riceve
spesso messaggi di sensitivi (avvenne anche per il rapimento di Moro) ma io non
avrei potuto dirle più di quel che avevo scritto e, per paura, non ho mai
indagato su questi responsi, per quanto abbia ricevuto dati precisi, nomi e
numeri di telefono e indirizzi. Dico a tutti che solo i riscontri danno valore
ai fatti ma io personalmente non ho mai verificato nulla, sono come paralizzata
dall’enorme paura di trovare dei fatti reali che convalidino le mie
comunicazioni medianiche. Preferisco pensare che i miei siano sogni da visionari
e temo che qualcosa corrisponda a realtà, così lascio tutto in sospeso in una
specie di limbo, una zona inquieta dove non amo avventurarmi ma che non posso
nemmeno rimuovere. Del resto nell’elenco di nomi vittime di quei terribili fatti
era apparso anche il mio e questo mi spaventò a morte facendomi interrompere
ogni esperimento.
La cassa di Houdini era per
metà fuori dell’acqua, ma io non la tiravo fuori del tutto. Non avevo abbastanza
coraggio da poter guardare la mia stessa morte.
Immagino che quel che
accadde sia stato un esempio di psicometria ambientale. Forse certi luoghi
restano impregnati dell’energia di chi ci visse, forse le esperienze umane,
specie quelle connesse alla morte, restano attaccate, come tracce sottili, non
solo agli oggetti ma anche agli ambienti in cui sono accadute e in certe
occasioni qualcuno è in grado di percepirle, così come si percepirebbe una
trasmissione televisiva tridimensionale.
Le percezioni qualche volta
sono storiche e puntuali, qualche volta solo simboliche.. Nel mio caso non ci
sono riscontri obiettivi, abbiamo solo la testimonianza di uno sconvolgimento
coscienziale, che nell'ordine della scienza può non essere significativo o
trovare spiegazioni naturali e logiche.
Nell'ordine emotivo quello
che è successo è stato un evento forte della mia vita che ha segnato un
mutamento radicale nella mia sensibilità e nei miei interessi. Non so dire se si
siano aperti dei canali nuovi oppure se tutto è stato un gioco del mio
immaginario ma parte del mio scetticismo ha cominciato a incrinarsi e adesso mi
trovo proprio a cercare di capire qualcosa di uno strano mondo invisibile e
misterioso: l'ignoto che ci circonda o l'ignoto che siamo o l'ignoto che noi
creiamo perché, se siamo spirito, come tutto è spirito, allora veramente non
c'è nessuna differenza tra una realtà sostanziale e un miraggio della nostra
mente.
Dopo le comunicazioni
sconvolgenti arrivate con la scrittura automatica, la mia insicurezza era
aumentata enormemente e avevo paura. Leggevo quello che veniva scritto dalla mia
mano automaticamente e poi mi guardavo alle spalle e l'ignoto mi inquietava.
Non ho mai trovato divertente o interessante quello che mi capitava e l’unica
sentimento era una paura panica, senza controllo.
Ho continuato a pensare, a
mo’ di difesa, che quello che mi succedeva fosse un'autoillusione, in cui ero
colpevole complice o incolpevole vittima.
Alla fine del lungo periodo
dei messaggi automatici, chiesi dubbiosamente all’intelligenza che sembrava
comunicare con me: "Ma devo proprio credere a tutto questo?" e la risposta la
lascio valutare a voi, perché è un delizioso rompicapo. La voce rispose:
"Credi a tutto, ma come a un sogno".
Io non ho dato molto credito
mai alla reincarnazione, ma quando a 34 anni mi hanno dato per spacciata per
gravi disturbi respiratori dovuti a questa malformazione bronchiale congenita e
irreversibile, ho ricevuto un tale shock dalla notizia che, in seguito, ho avuto
tre ricordi nitidissimi che non so dove situare e che avevano l’aspetto di
allucinazioni, in cui io ero altre persone che avevano altre vite. Non so che
cose fossero ma mi sconvolsero. Posso pensare che il mio immaginario volesse
proteggermi dalla paura della morte, regalandomi tre esperienze di altre vite. E
posso testimoniare che quelle tre "visioni" furono una cosa diversa dai sogni, e
furono connotate da una fortissima impressione.
"Sono un bambino di sette o
otto anni, scuro di pelle, olivastro, con capelli scuri, lunghi e grevi, come
fosse di un’isola della Melanesia. Quasi nudo, con qualcosa intorno ai fianchi.
Corro con piacere grandissimo su una spiaggia lunga e arcuata, come una falce di
luna, bianchissima, là dove inizia il mare. E’ caldo, il mare e il cielo sono di
turchese. So che in qualche modo il mare mi è proibito, perché rischio troppo e
sono piccolo, ma il suo richiamo è tropo grande. Mi vedo che nuoto sott’acqua
con grandissimo piacere (io non so nuotare e non ho mai messo la testa
sottacqua), tengo le braccia aderenti al corpo, taglio l’acqua come fossi
anch'io un pesce e fendo dei branchi di pesciolini piccolissimi argentati,
mentre i capelli mi vanno tutti indietro. Poi è come se fossi una presenza
neutra e senza corpo che sta in alto. Guardo in modo neutro una scena che mi
riguarda: il bambino è morto affogato e un uomo lo porta in braccio, il corpo
cade giù, cadono i capelli bagnati. L'uomo sale degli scalini naturali fatti un
po’ di roccia un po’ di radici che vanno dal mare a un piccolo villaggio. Le
case sono aguzze, di legno grigio, tutte storte e misere. Arriva molta gente.
Una donna grida e piange con i capelli sconvolti. Forse è mia madre".
Questa è la prima morte per
affogamento.
"Nella seconda visione sono
una ragazza di 17 anni, russa, potrei chiamarmi Sonia. Non sono granché bella,
di altezza media, senza nessun carattere speciale. Ho un vago innamoramento per
un giovane che ha un nome che suona come Alecsiei o Alioscia, forse è uno della
guardia, perché lo penso in divisa, più grande di me, che ho visto qualche
volta, ma non credo mi ricambi.. Mi piacciono le canzoni molto sentimentali,
quelle che si suonano con una specie di chitarra rotonda. Io stessa suonicchio
il pianoforte non molto bene, questo fa parte della mia educazione perché sono
di famiglia benestante. Ho un abito bianco lungo, non molto largo, con delle
gale in quadrato sul davanti del corpetto. Porto una fascia alta in vita col
fiocco dietro. I capelli sono un po' ricci, castani, legati dietro, molto
comuni.
Siamo nel 1917 in una città
che si chiama allo stesso tempo Pietroburgo e Pietrogrado, mi sembra che questa
cosa del doppio nome sia importante. E' novembre ma non fa ancora freddo. Il
cielo è bigio.
Vedo la nostra sala da
pranzo, grande e un po' austera, la famiglia è seduta attorno a un tavolo
rettangolare. Dicono che ci sono disordini in città, io chiedo se abbiamo
distribuito ai poveri il pane secco come di solito. Ma sentiamo tumulti. Io sono
in piedi e vado sulla veranda. Ci sono dei vasi grandi con delle felci. Vedo una
folla di gente molto povera, portano abiti grigi e scuri, molte barbe, sono
silenziosi e disperati. Mi accuccio in terra dietro le felci. Poi non vedo più
nulla. Ma so che quella gente uccide tutta la mia famiglia e che io vengo
affogata nel fiume. Posso vedere il fiume dall'alto, un fiume molto ampio con
ampie curve, dal nome breve, di due sillabe.
Di altro posso dire che
quando ero piccola, tutte le mie bambole si chiamavano Sonia, che chiedevo a mia
madre, che era sarta, di cucirmi delle casacche bianche abbottonate sulla
spalla, col collo alla coreana. A 14 anni ho letto con morbosità Dostoevskij e
mi interessava particolarmente la vita borghese dei salotti. La musica della
balalaika mi fa piangere ancora. In un convegno a Riccione ho comprato una
cassetta di voci medianiche dove una signora canta vecchie romanze norvegesi e
russe; per quanto la registrazione sia penosa l’ho sentita un’infinità di volte
per lo struggimento che mi procura.
I miei incubi infantili
quando avevo la febbre alta erano sempre scene di affogamento, affogavo in un
fiume gelato e sentivo l'acqua fredda saturarmi la gola.
La paura dell'affogamento
"in fiume" è sempre stata tanto forte da impedirmi di imparare a nuotare. A
Pavia camminavo con terrore sul marciapiede opposto ai canali, dove peraltro
l'acqua è profonda solo poche decine di cm., ma ciò bastava a darmi un terrore
fobico.
Ricordo delle scene confuse,
come degli spezzoni: il giorno di Natale andavamo in slitta in chiesa, vedo il
riflesso rosa delle fiaccole sulla neve azzurra. Sento i campanelli. Era
bellissimo.
Oggi Pietroburgo si chiama
Leningrado. Io ci sono stata nel ‘78. Ho visto la bella città color pastello,
barocca e neoclassica, molto simile alle città europee. Ho visto la Neva, ampia
e con larghe curvature. Ho cercato invano qualcosa che avesse un significato per
la mia memoria. Sono andata giù sul fiume in battello in un crepuscolo rosa. Non
ricordavo nulla, non ho trovato la mia casa o qualcosa che le somigliasse, ma
quando sono ripartita avevo una gran voglia di piangere.
Nella terza memoria non vivo
una morte ma un momento di grande crisi. Sono un uomo alto e corpulento, con
spalle a scivolo, tra i 40 e i 45 anni, un inglese, di pelo biondo rossiccio. Le
mie iniziali sono O.W., il che farebbe pensare a Oscar Wilde, ma non credo che
Oscar Wilde avrebbe portato quegli abiti perché erano troppo rozzi. Porto un
abito grossolano di lana, forse di tweed, e un panciotto con orologio a catena.
Sono chiuso in una piccola stanza. I mobili sono al minimo: un letticciolo, un
piccolo tavolino con materiale da scrivere, una sedia, una stufa di ghisa nera a
botticella (per quanto mi sembri strano che ci sia una stufa in una prigione).
La finestra è piccola e con sbarre. Si vede una campagna mossa a collinette
d'erba, senz’alberi, nessuna forma di vita.
Vivo un momento di grande
crisi. Sono stato accusato di un delitto che l agente considera orribile e
faccio un grave esame di coscienza, ma sono anche distrutto dalla disperazione e
dall'abbandono. La mia vita è stroncata. Dico parole molto belle e accorate che
ora non sono in grado di ripetere, penso che ho voluto provare tutto, anche
cose non consentite dalla morale, qualcosa che riguarda un adolescente, ma non
per cattiveria, quanto per "provare tutto, per conoscere tutto. Per amore della
bellezza". Sembra che questo amore della bellezza sia molto importante. Di tante
parole che dico continuo ancor ora a ripetere una frase: "Volevo sentire la
stilla della vita che scendeva nel calice". Le dico immaginando di essere
una calla, fiore leggermente femmineo, che sembra una vulva delicata e spessa,
color crema. Le parole hanno una grande vivezza visiva, come di persona per cui
le esperienze percettive sono estremamente importanti e che è in grado di
gustare sfumature sottili della percezione. La parola che mi viene in mente è
“squisito”.
Non so se questo personaggio
sia veramente Oscar Wilde, che fu rinchiuso in carcere per atti di sodomia con
un adolescente e la cui vita fu distrutta dal processo e dalla condanna sociale.
Ma ho saputo che veramente la calla era il suo fiore preferito, leggendo la sua
autobiografia.
Cose forse non
significative: la mia passione infantile per gli aforismi, la scelta, come fiabe
preferite di ‘Il gigante egoista’ e ‘Il principe povero’, che sono fiabe di
Oscar Wilde, il mio odio per le commedie teatrali...ma probabilmente sono cose
senza importanza.
Oggi sono io che metto in
stato di rilassamento le persone per far loro ricordare vite precedenti e la
cosa avviene, in genere, senza molta fatica, anche se non sempre le vite
rievocate hanno degli eventi di grande importanza, ma, si sa, il mondo è fatto
da miliardi di umani le cui vite sono nate e si sono perdute senza che la storia
ne abbia molto risentito.
Non tutti, poi, riescono ad
entrare in uno stato alfa, stato diverso dall’ipnosi dove resta la coscienza ma
in cui le onde del cervello si fanno lunghe e lente, a cavallo tra la veglia e
il sonno e tale che al risveglio il soggetto ricorda tutto e aggiunge altri
particolari alle risposte che io ottengo con le mie domande.
Ricordo una giovane e bella
signora che non poteva avere figli, per quanto tutti nella sua
famiglia fossero prolifici e per quanto sia lei che il marito fossero giovani e
sani.
L’ho fatta stendere sul
divano, coprendola con una copertina leggera e l’ho fatta respirare prima con
tre respiri profondissimi e rapidi, poi con respiri sempre più lenti, mentre
chiamavo ogni parte del suo corpo, partendo dai piedi, affinché divenisse
pesante e calda. Arrivati alla testa, le facevo focalizzare lo sguardo interno
verso il centro della fronte. E le chiedevo: “Vai dove nasce il tuo
problema!”
Di colpo è diventata
piccolissima, tre anni forse, era nella sua casa di nascita, parlava in modo
incerto come una bambina piccola e mostrava uno stato confusionale di grande
paura, piangeva con lacrime vere, rivivendo un episodio traumatico della sua
infanzia. C’era nella sua famiglia un fratellino down, amatissimo da tutti, e
improvvisamente, un giorno, lo avevano trovato morto nel suo lettino. La morte
aveva sconvolto la famiglia. Nell’agitazione che era seguita nessuno si era
curato della bambina di tre anni che era rimasta abbandonata e piangeva,
incapace di rielaborare il trambusto che vedeva in casa.
La bimba era andata in giardino, si era rannicchiata per terra, contro il tronco di un albero e si era messa a piangere, turbata e spaventata, non riusciva a capire cosa stava succedendo, non poteva elaborare il concetto della morte e l’ignoto che era balzato sulla sua famiglia in modo improvviso e traumatico l’aveva lasciata sola e abbandonata.
La bimba era andata in giardino, si era rannicchiata per terra, contro il tronco di un albero e si era messa a piangere, turbata e spaventata, non riusciva a capire cosa stava succedendo, non poteva elaborare il concetto della morte e l’ignoto che era balzato sulla sua famiglia in modo improvviso e traumatico l’aveva lasciata sola e abbandonata.
Come la visione finì, la
giovane donna riprese la sua voce di adulta, si alzò dal divano confusa e col
viso pieno di lacrime. Scappò via in fretta e non l’ho vista mai più. Ma da sua
sorella ho saputo che poco dopo è rimasta incinta e ora ha due bambini. Il
ricordo traumatico rivissuto aveva riannodato il filo della sua vita, e rivivere
tutto e piangere quello che era successo aveva sbloccato qualcosa di lei e aveva
reso possibile la maternità.
In un altro caso sembrava
che il problema fosse l’impossibilitò quasi panica di seguire una dieta. La
signora era carina e grassottella e forse qualche chilo in meno le avrebbe
giovato ma, ogni volta che iniziava una dieta, doveva interromperla per il grave
stato di disagio, gli incubi e il malessere che ne conseguivano.
Il raggiungimento dello stato alfa fu veloce e immediatamente cominciò a parlare. Rispondeva alle mie domande con voce impastata e bassissima tanto che facevo fatica a capirla. Anche qui avevo chiesto di andare all’origine del problema.
Era un uomo, un inglese, e si trovava prigioniero in un campo giapponese nella giungla. Faticosamente, quasi senza forze, mi descriveva il campo e le condizioni dei prigionieri. I soldati erano crudeli, seviziavano i prigionieri e li costringevano ad assistere a scene di esecuzione. L’uomo era magrissimo e stava praticamente morendo di fame. Ogni tanto i giapponesi arrivavano con un camion e ci facevano salire un gruppo di prigionieri dicendo che ne avevano bisogno per dei lavori nella giungla, ma tutti sapevano che andavano alla morte perché non tornavano mai più. L’inglese si era salvato ogni volta nascondendosi dentro un barile per l’acqua.
Lentamente, inesorabilmente, quell’uomo morì davanti ai miei occhi di inedia. E’ davvero estraniante vedere una graziosa e giovane signora grassottella che muore davanti ai tuoi occhi di fame.
Il raggiungimento dello stato alfa fu veloce e immediatamente cominciò a parlare. Rispondeva alle mie domande con voce impastata e bassissima tanto che facevo fatica a capirla. Anche qui avevo chiesto di andare all’origine del problema.
Era un uomo, un inglese, e si trovava prigioniero in un campo giapponese nella giungla. Faticosamente, quasi senza forze, mi descriveva il campo e le condizioni dei prigionieri. I soldati erano crudeli, seviziavano i prigionieri e li costringevano ad assistere a scene di esecuzione. L’uomo era magrissimo e stava praticamente morendo di fame. Ogni tanto i giapponesi arrivavano con un camion e ci facevano salire un gruppo di prigionieri dicendo che ne avevano bisogno per dei lavori nella giungla, ma tutti sapevano che andavano alla morte perché non tornavano mai più. L’inglese si era salvato ogni volta nascondendosi dentro un barile per l’acqua.
Lentamente, inesorabilmente, quell’uomo morì davanti ai miei occhi di inedia. E’ davvero estraniante vedere una graziosa e giovane signora grassottella che muore davanti ai tuoi occhi di fame.
La sua anima spiccò in alto,
era fredda e indifferente, guardava il campo dall’alto e me lo descriveva.
Scopriva per la prima volta che il campo non era in un luogo inaccessibile della
giungla come avevano loro fatto credere ma abbastanza vicino a una città.
dall’alto ne vedeva i templi con pagode dorate, ma ormai nulla aveva più
importanza.
Ora potevamo capire come mai
la reincarnazione di un inglese morto di fame non poteva accettare nessuna
dieta.
Un altro caso che ricordo fu
quello di una signora molto bella e molto ricca che viveva come fosse povera e
aveva un attaccamento anormale con la sopravvivenza e l’attaccamento alle cose
materiali.
La sua visione fu
lunghissima, una intera vita, e molto sofferta, la più lunga visione che abbia
mai sentito …
Viveva in una cittadella che
sembrava medievale, con vicoli stretti e bui, maleodoranti, in salita e case che
quasi si toccavano. Era una donna molto bella ma molto disgraziata, che aveva
passato i primi anni vivendo come una mendicante. Poi un contadino l’aveva presa
e l’aveva fatta lavorare, dandole tre figli maschi, la picchiava e le faceva
fare la fame e anche i tre figli cresciuti avevano calcato le orme della
violenza paterna, per cui non aveva conosciuto altro che fame, botte e miseria.
Poi il contadino l’aveva venduta, ancora bella, a un signorotto, con cui
finalmente si era tolta la fame, ma la vita di maltrattamenti era continuata.
Era stata una vita lunghissima e infelice dove le note costanti e tragiche erano
la violenza, il bisogno, la mancanza di autonomia.
Io facevo le domande, leri rispondeva con una voce bassa e a malapena udibile.
Nessuna meraviglia che nella sua vita attuale, benché fosse ricca, ci fosse un tale attaccamento alla roba, al denaro, alla sopravvivenza. In quella donna bella e ricca continuava a vagare l’anima di una mendicante del medioevo.
Io facevo le domande, leri rispondeva con una voce bassa e a malapena udibile.
Nessuna meraviglia che nella sua vita attuale, benché fosse ricca, ci fosse un tale attaccamento alla roba, al denaro, alla sopravvivenza. In quella donna bella e ricca continuava a vagare l’anima di una mendicante del medioevo.
Davvero non so come queste
immagini debbano esser valutate. Se pure il protagonista sembri trarne grande
ispirazione, non c’è poi modo di averne un qualsiasi riscontro e le relazioni
che queste storie sembrano avere con la storia attuale non sono sufficienti a
permettere valutazioni.
Potrebbero essere solo
fantasie della nostra parte immaginativa, o forme simboliche tratte
dall’inconscio, oppure, come crede qualche miliardo di persone, potrebbero
avvalorare l’ipotesi di vite precedenti e di un’anima che passa da un corpo a un
altro, o di un kahrma, di un compito che perdura.
Jung credeva che ognuno di
noi appartenesse a una famiglia di anime, non tutte incarnate, che portavano
avanti un compito. E devo dire che questa idea che ognuno di noi, e non da solo,
ha un compito da portare avanti mi piace moltissimo, più dell’idea che siamo
nati per comprare, consumare e fottere.
Senza dubbio, pensare che la
morte che verrà non sarà definitiva ma rinasceremo ancora ci è di qualche
conforto, e senza alcun dubbio le tre ‘memorie’ di vite precedenti che ho avuto
mi hanno facilmente convinta che la morte non esiste e che continueremo a
rinascere, fino almeno a quando la nostra sostanza spirituale non abbia
raggiunto una qualche specie di purificazione. Del resto i mondi sono tanti e
non siamo obbligati ad affollare questo.
Quando ero piccola pensavo
di non essere nata nel pianeta giusto. Soffrivo enormemente del corpo che avevo,
trovavo ridicolo e grottesco che per spostarsi non dovessimo traslarci in tempo
reale ma occorresse mettere un piede davanti all’altro, o che, per comunicare,
fossimo obbligati a parlare o a scrivere e la comunicazione non avvenisse
telepaticamente. Avevo accessi di pianto per questa ridotta condizione umana,
che consideravo punitiva e inferiore, e battevo i piedi per terra chiedendo di
tornare là da dove ero venuta. Mi immaginavo un mondo immateriale, dove le
comunicazioni erano sottili e i legami straordinari. E mi sentivo sola, diversa,
chiusa e imprigionata. Essere nata sulla Terra era una punizione anche se non
riuscivo a immaginare la colpa. Solo nei sogni riuscivo a riprendere qualche
brandello della mia esistenza primitiva, e solo attraverso i viaggi fuori del
corpo sono tornata ad essere quella che ero.
Quando ero bambina, vivevo in un mondo solitario e parlavo con dei piccoli esseri che vivevano sotto le mattonelle, avevo un compagno silenzioso che mi accompagnava ovunque e nella mia camera, a volte, vedevo sollevarsi negli angoli grandi bolle evanescenti e pallide che svanivano in alto.
Quando ero piccola…..
Quando ero bambina, vivevo in un mondo solitario e parlavo con dei piccoli esseri che vivevano sotto le mattonelle, avevo un compagno silenzioso che mi accompagnava ovunque e nella mia camera, a volte, vedevo sollevarsi negli angoli grandi bolle evanescenti e pallide che svanivano in alto.
Quando ero piccola…..
..
Nessun commento:
Posta un commento