L’assoluzione di Berlusconi ripristina un po’ di giustizia nella giustizia?
DA DAVIDE MURA
Silvio Berlusconi è stato assolto da un’accusa davvero infamante. Forse la più pesante. Un’accusa che lo ha portato in primo grado a una condanna davvero “esemplare”: 7 anni di reclusione e l’interdizione a vita dai pubblici uffici. Poi è arrivata la Corte d’Appello che ha demolito la sentenza: per quanto riguarda la prostituzione minorile ha stabilito che il fatto non sussiste, mentre per quanto riguarda la concussione, il fatto non costituisce reato. In altre parole, ha travolto il teorema giudiziario che messo alla berlina pubblicamente l’ex presidente del Consiglio, creando quel clima di profonda delegittimazione politica che, a ridosso della grave crisi economica, lo ha portato persino a dimettersi nel lontano 2011, spianando la strada a una sequela di governi “tecnici” o di “salvezza nazionale”, non legittimati direttamente dal voto popolare1
Debbo sgombrare il campo dai facili entusiasmi dei berlusconiani della prima e dell’ultima ora: Berlusconi non è ancora fuori pericolo. Trattasi pur sempre di una sentenza di secondo grado. E quasi mai accade che un ribaltamento giudiziario così inatteso non abbia poi determinato un’impugnazione della sentenza in Cassazione. Dunque, siamo solo al termine del secondo atto. Manca il terzo, e sarà quest’ultimo a stabilire in via definitiva il destino dell’ex premier, proprio come accadde per il processo per evasione fiscale.
In ogni caso, qualche riflessione intermedia si può fare. Sicuramente questa sentenza reintegra un po’ di giustizia nella giustizia. Offre uno spiraglio di maggiore obiettività nei provvedimenti giudiziari che coinvolgono da vent’anni a questa parte Silvio Berlusconi, poiché a mio sommesso parere era evidente l’inconsistenza dei profili di reità nelle sue condotte legate al caso Ruby. La Corte d’Appello, al di là dei tecnicismi sull’applicabilità o meno della legge Severino al reato di concussione contestato a Berlusconi, non ha fatto altro che accertare proprio questo: il fatto non costituisce reato. Telefonare alla Questura e chiedere che Ruby fosse affidata a Nicole Minetti non era concussione né per costrizione e tanto meno per induzione.
Relativamente all’accusa (infamante) di sfruttamento della prostituzione minorile, la Corte d’Appello pare accogliere la tesi della irrilevanza penale del fatto. Ancora si ignorano le motivazioni, ma per quanto è dato conoscere attraverso la cronaca giudiziaria, due possono essere le direttive:l’assenza di un qualsivoglia risvolto sessuale; l’ignoranza dell’ex Premier sulla vera età della giovane. Perciò si può ben dire che anche su questo fronte è stata ripristinata una giustizia più equa e meno strillata.
Ora non resta che attendere le motivazioni per scoprire le ragioni che hanno indotto i giudici dell’appello a riscrivere la sentenza di primo grado, dando un finale (provvisorio) diverso a una storia politico-giudiziaria che si trascina ormai da diversi anni. Poi si vedrà se la Procura Generale impugnerà o meno in Cassazione. Purtroppo – ripeto – le probabilità che ciò accada sono altissime, quasi scontate. In gioco, del resto, c’è la credibilità di un impianto accusatorio che, volente o nolente, ha condizionato pesantemente la politica italiana nell’ultimi quattro anni.
- Compreso il Governo Letta, nonostante nel mentre, ci siano state le elezioni politiche, che tra l’altro hanno visto ancora una volta il Cavaliere trionfare. ↩
http://www.criticalibera.it/assoluzione-berlusconi-ripristina-giustizia-nella-giustizia-19795/
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