E venne il giorno che i magistrati ebbero pure i loro “praticanti”…
DA DAVIDE MURA
L’impressione tremenda è che da quando al governo ci sia la sinistra con la stampella NCD, gli input di riforma della magistratura si siano arenati in un mesto chiacchiericcio di corridoio. In un castello di buone intenzioni senza alcuna reale concretezza progettuale.
Semmai, seppure sottotraccia, si sta assistendo a un rafforzamento delle istanze conservatrici in seno al corpo magistratuale. Nessuno parla più di separazione di carriere e funzioni o di riforma del CSM, e il flebile vociare sulla responsabilità civile ci riporta a uno schema ben conosciuto e che ha già miseramente fallito: paga lo Stato per gli errori dei magistrati, quando e se questi venissero (mai) accertati. Per non parlare poi della riforma del processo penale: dalla carcerazione preventiva fino alle intercettazioni. Silenzio assoluto.
Insomma, niente di nuovo, tutto uguale a prima. Anzi di più. Ora, grazie al Parlamento, a metà strada tra il grillismo e il piddismo, spuntano pure gli stagisti dei magistrati che potranno accedere al concorso in magistratura senza ottenere un titolo intermedio (es. il titolo di avvocato): potranno parteciparvi dopo 18 mesi di stage in tribunale, con il parere positivo del magistrato di affidamento. Per farla breve: il corpo della magistratura rinnova se stessa arruolando “praticanti” neolaureati (o più correttamente “stagisti”), evitando così di attingere dal mondo dei professionisti e di chi ha già maturato una certa esperienza e confidenza con il diritto.
Il che garantisce alla magistratura persino una curiosa “indipendenza” nella selezione dei propri colleghi, formandoli direttamente, sempre ammesso che uno stage di 18 mesi in un tribunale possa mai formare un futuro magistrato! L’impressione infatti è che una simile corsia veloce non garantirà affatto la sufficiente formazione per affrontare un compito così gravoso e importante. Soprattutto perché l’accesso agli stage è determinato dal voto di laurea e non dalle effettive conoscenze acquisite con lo studio e l’esperienza, e persino con un sostanzioso esame di Stato.
Eppure, il Governo avrebbe avuto una ben’altra fonte dalla quale attingere i futuri magistrati, vista la cronica carenza di organico. Quei 250 mila avvocati che una riforma approvata nel 2012 intende sfoltire, mandandone a casa una buona parte: titoli ed esperienze buttati al maceroin nome di un certo elitarismo della professione legale e di una certa ottusità ideologica.
D’altro canto, a onor di cronaca, da qualche parte ho letto una difesa della nuova disciplina: trattavasi di una stagista che ha affermato che la formazione nell’ambito degli stage è migliore di quella ottenuta negli studi legali. Dubito fortemente che sia così. Un po’ perché la formazione negli studi legali, pur durando comunque 18 mesi, è a tutto tondo: attività di studio, aggiornamento professionale, approccio alla pratica, attività di cancelleria, problem solving, relazioni umane; e un po’ perché al termine della pratica vi è prima un colloquio intermedio per acquisire il titolo di patrocinatore legale e poi un esame di Stato teorico-pratico piuttosto impegnativo per acquisire l’abilitazione professionale, al quale segue normalmente qualche altro anno di esperienza nei tribunali e poi il concorso in magistratura. Diciamo che la preparazione di un titolato non è quella di uno stagista. Ma è qualcosa di più. Ed è un vero peccato che lo Stato italiano non riesca a valorizzarlo.
http://www.criticalibera.it/venne-giorno-che-magistrati-ebbero-pure-loro-praticanti-19949/
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