martedì 24 giugno 2025

C’ERANO UNA VOLTA GLI ANTIFASCISTI

 


e c’era, contro di loro, una banda di criminali che si aggirava per Brescia e la sua provincia.

Era comandata da un noto fascista, Ferruccio Sorlini, che guidava un branco di sbirri dell’Ufficio Politico Investigativo (UPI) del Partito Nazionale Fascista, oltre ad altri camerati delle Brigate Nere.

Tutti ben armati con i nuovi mitra Beretta (FNAB-43) costruiti in Val Trompia e in dotazione solo ai reparti speciali della RSI. Avevano mezzi, armi e la disponibilità dell’intero archivio politico della questura dove erano stati schedati, per vent’anni, tutti gli antifascisti bresciani.


Il 13 novembre 1943, sono a caccia con la bava alla bocca, assetati di morte.

La notte prima, venerdì 12, tre gruppi GAP del Partito Comunista hanno compiuto un attentato contro il comando militare fascista della città, dentro la scuola “Pastori”. Un sergente della milizia fascista è morto e un milite semplice è rimasto ferito.

L’attentato è la risposta partigiana all’attacco avvenuto martedì 9 novembre su alla Croce di Marone dove si stavano concentrando le diverse formazioni partigiane in via di costituzione; nonché i prigionieri alleati evasi dai campi di prigionia dopo l’8 settembre.

Alle 3,30 della notte, la banda fascista sale a Sarezzo in val Trompia, con due camion e un’auto. Vanno diretti alla casa del militante comunista Luigi Gatta. Lo tirano giù dal letto e lo caricano su uno dei camion. Lo portano lì vicino, in località Crocevia. Lo fanno scendere e cominciano a bastonarlo come fossero una squadraccia del '21. Lo picchiano così forte da lasciarlo a terra con parecchie ossa fratturate. Ridono sul corpo martoriato e, prima di ripartire in missione di morte, lo finiscono con una raffica dei loro mitra ultimo modello. Il cadavere di Luigi resta in mezzo alla strada che tutti lo vedano. Solo più tardi verranno a prenderlo per portarlo in Piazza Rovetta a Brescia, insieme agli altri massacrati in quella notte di rappresaglie e di orrore.

Altri compagni, avvisati, scappano nella notte su per le montagne delle valli circostanti nel tentativo disperato di unirsi alle formazioni partigiane. Gina (Giulia Lonati),11 anni, gira freneticamente con la sua bicicletta da uomo a portare la notizia della rappresaglia in corso. Suo padre, Angelo Lonati, guerrigliero del GAP di S.Eufemia, è riuscito a sfuggire alla cattura insieme al fratello Casimiro. Sua madre, Domenica, l'ha messa sulla bicicletta e le ha indicato chi avvisare. È una bambina e anche se fosse fermata non susciterebbe sospetti. Lei pedala nella notte buia di paura, bussa alle porte e sussurra, a occhi spalancati e col fiato sempre più corto, che bisogna scappare subito. Per tutta la vita ricorderà quella notte di sangue e terrore.


I carnefici, intanto, tornano in città.

Vanno subito a casa di Arnaldo Dall’Angelo, operaio di 38 anni, anche lui militante del Partito Comunista clandestino; già attivo giovanissimo con gli “Arditi del popolo” nel 1921. Confinato, po, nell'isola di Ponza. Lo trascinano fuori casa e a colpi di pugnale lo spingono fino alla vicina piazza Rovetta, in pieno centro. In piazza, lo scaraventano a terra e lo finiscono con una raffica alla nuca. 

Lo lasciano lì in piazza in attesa degli altri cadaveri che la banda si procurerà come trofei.

Subito dopo, vanno a cercare il comunista Giuseppe Andrini, già al confino fra il 1926 e il 1935. Per errore, trovano Guglielmo Perinelli, 61 anni, e lo scambiano per Andrini. Appena apre la porta lo ammazzano con la consueta raffica. Poco male per i carnefici. Era un operaio e aveva simpatie comuniste.

La prossima vittima designata abita vicino a piazza Rovetta. Si chiama Rolando Pezzagno. È un anarchico che è stato confinato nell’isola di Ustica. Fa l’ambulante in piazza del Mercato e non sta mai zitto. La sua lingua corre veloce e non ha paura di dire quello che pensa quando incontra la gente al mercato. Le sue sono da sempre parole di libertà e di ribellione contro lo Stato e la dittatura. 

È un piacere per i fascisti tirarlo fuori da casa e ucciderlo su un marciapiede di via S. Faustino, all’angolo con la piazza dove stanno accumulando gli ammazzati. Aveva 57 anni.

Un’altra vittima selezionata, Mario Donegani, operaio comunista di 40 anni, rimane leggermente ferito a un braccio da una raffica e cade svenuto. I fascisti lo prendono a calci e, nel buio, lo credono morto. All’alba, si riprenderà e, quasi incredulo, riuscirà a scappare. Si unirà alla 122° Brigata d’Assalto Garibaldi che va costituendosi sulle montagne della Val Trompia e nei dintorni di Brescia, per iniziativa del militante comunista Giuseppe Gheda e di altri; al comando del triestino Giuseppe Verginella, nome di battaglia "Alberto", combattente delle Brigate Internazionali in Spagna. La Brigata sarà composta da circa cento partigiani sottoposti a continui e durissimi rastrellamenti dei nazifascisti e si troverà, più volte, a rischio di totale sbandamento e annientamento. A Brescia sono stanziati alcuni Ministeri della RSI: dell’Economia corporativa, gli Esteri, le Finanze e l’Agricoltura. C’è il ministro della Giustizia, Piero Pisenti, e il suo gabinetto; il Ministero dell’Interno è disseminato qui e là nella provincia, oltre cha a Verona. E a Salò c’è Mussolini!

 I partigiani che continuano ad attaccare vanno decisamente eliminati.

Il comandante Verginella, tradito, verrà catturato il 24 dicembre 1944 a Provaglio d’Iseo. Torturato nel carcere di Brescia e, il 10 gennaio 1945, fucilato per strada a Lumezzane. Giuseppe Gheda cadrà il 19 aprile 1945, su al Sonclino, durante un assalto solitario, a raffiche di mitra e lancio di granate, contro una postazione di mitragliatrici naziste per rompere l’accerchiamento e permettere alla Brigata di sfuggire alla cattura. Con lui, cadranno altri 17 compagni. Mario Donegani, scampato miracolosamente all’esecuzione in Piazza Rovetta, sarà catturato ormai senza più colpi nel caricatore e subito ucciso dopo aver resistito a un rastrellamento della X° Mas e dei nazisti. Era il 26 ottobre 1944.

Il nuovo comandante della Brigata, Luigi Guitti, nome di battaglia "Tito Tobegia", che ha visto cadere tanti compagni, alcuni seviziati in modo orribile dopo la cattura, fra l’11 e il 13 maggio 1945, andrà con gli altri partigiani della Brigata a prendere i fascisti riconosciuti come torturatori, carnefici, stupratori, spie. In totale, 39 assassini per la maggior parte delle Brigate Nere e della Divisione San Marco. La resa dei conti indispensabile avrà luogo fra S. Eufemia, quartiere periferico di Brescia, e il comune di Botticino. 


Prima, nella notte del ’43, i corpi degli antifascisti massacrati vengono lasciati in Piazza Rovetta fino a mezzogiorno perché l’intera popolazione bresciana li veda e ne tragga monito.

Il giorno seguente,14 novembre, per Brescia gira un volantino clandestino:

 “Bresciani, l’infame rappresaglia effettuata dai fascisti sui poveri innocenti deve essere inesorabilmente punita. Il sangue

di queste vittime della feroce bestialità fascista chiede vendetta. Ogni cittadino scolpisca nella mente questi delitti”

I più decisi sono già in montagna o in giro come gappisti. Gli indecisi capiranno, davanti a quei corpi straziati dai mitra, dai pugnali, dai manganelli, dai pugni e calci, che è giunta l’ora dell’azione!

A Brescia e provincia la guerra antifascista andrà oltre il 25 Aprile. Molti fascisti saranno snidati casa per casa. In alta Val Camonica ci si batterà contro i nazisti in fuga verso i passi montani sino al 1° maggio. Fino alla resa dei conti del 13 maggio!

Brescia è medaglia d’argento alla Resistenza.


Il 28 maggio 1974, altri 8 antifascisti verranno massacrati da una bomba fascista di Ordine Nero in Piazza della Loggia a due passi da Piazza Rovetta, durante una manifestazione antifascista. 102 saranno i feriti. 

Una vendetta preparata fin dal maggio 1945.


MAI DESMENTEGA’

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