venerdì 12 luglio 2013

Il non-lavoro è un modo di fare la rivoluzione? No, di viverla

Stralci da un’intervista di Claudia Benatti a Philippe Godard, saggista francesce, autore di «Contro il lavoro» (Elèuthera), pubblicata dall’ultimo numero del mensile Terra nuova. Su questi temi suggeriamo la lettura dell’articolo «Il fiorire della vita, il lavoro e la decrescita» di Paolo Cacciari e di due libri straordinari: uno più datato ma attualissimo, «Disoccupazione creativa» (Boroli) di Ivan Illich, l’altro appena uscito, «Crack capitalism» (Derive Approdi) di John Holloway.
Il lavoro impedisce l’invenzione e la sperimentazione di rapporti più ricchi e articolati, ci priva della gioa del saper fare tante attività diverse, e di farle non perché dobbiamo, ma perché ci sembra giusto e necessario (…). La maggior parte degli uomini non si è dedicata spontaneamente al lavoro inteso come produzione di beni destinati a mercati anonimi e sconosciuti, destinati cioè ad alimentare l’economia monetaria. È stato con l’avvento degli Stati moderni e del capitalismo che gli esseri umani sono stati trasformati nella meteria prima destinata a una macchina che trasforma il lavoro in denaro (nella foto, un mural cileno).
L’esaltazione del lavoro presenta, per chi detiene il potere, l’enorme vantaggio ideologico di riunire sotto lo stesso vessillo sfruttatori e sfruttati. Si finisce così per considerare il lavoro come un valore; ma se così è, allora significa che questa società considera anche il processo di produzione-consumo un valore fondamentale, prospettiva di per sé agghiacciante. Peraltro è un giochino che permette di schiacchiare le libertà, che si riducono solo a quelle necessarie al valore del lavoro: poter produrre e consumare liberamente. Il lavoro, dunque, è divenuto un modello di società all’intern della quale non ci resta che il consumo.
Il sindacalismo per i diritti del lavoratori? Non libera dal lavoro, vuole semplicemente sostituire il lavoro per i padroni con un lavoro collettivo per la comunità in senso astratto. Tutti quanti, nessuno eslcuso, negano invece la possibilità di una cooperazione spontanea, umana e pacifica; il sistema capitalista si adora per renderla sempre meno realizzabile (…).
Capitalisti, comunisti, persino anrchici, ci hanno sempre raccontato che la tecnica, a seconda della direzione che le sarebbe stata  data, avrebbe potuto essere messa al servizio dell’emancipazione anziché dell’oppressione. Illusi sono anche i moderni ecologisti soft, che sperano e credono che la tecnoogia, sinonimo di miracolosa efficacia, di massima produttività e minimo consumo, possa salvarci dal mondo abbrutito, abbrutente e inquinato. Eppure la storia ci ha insegnato che i balzi tecnologici sono sempre accompagnati da un aumento dellla pressione sugli essere umani, una maggiore limitazione delle loro livertà, un’accentuazione del dominio e della repressione contro chiunque contesti questi meccanismi. (…) Ormai bisogna andare oltre anche ladecrescita, occorre una critica radicale a tutto ciò che ci rende servi.
Quelli che noi consideriamo «selvaggi», dedicano mediamente alla produzione di cibo non più di tre i quattro, massimo cinque ore al giorno; produzione peraltro interrotta da frequenti pause. Il resto è per le relazioni, per se stessi e per la comunità. E non vivono nella miseria, come vorrebbero farci credere, sono invece nella società dell’abbondanza. È la nostra società contemporanea ad aver creato carestie e povertà su larga scala. Ed è la nostra società ad avere talmente interiorizzato il lavoro da non poterlo più mettere in discussione, se non rimettendo in discussione il senso stesso della vita. Ebbene, è ora di farlo.
Per liberarsi occorre smettere di produrre. La nostra unica scelta è tra il lavoro e la liberazione. Di fronte a un input tanto drastico, molti si spaventano. Invece no, non ci si deve spaventare. (…) Possiamo inventarci un’esistenza diversa, dalla quale bandire il lavoro. Il non-agire è tutto il contrario del non-intervento. Non è un ritirarsi dal mondo, bensì una critica verso qualsiasi azione contro l’ambiente. Non è un modo di fare la rivoluzione, ma di viverla.

Nessun commento:

Posta un commento