I percorsi misteriosi delle speranze
Coltivare e proteggere la speranza, senza la quale tutto diventa privo di senso, significa anche riconoscere i nostri limiti, quelli propri della condizione umana, e aprirsi alla sorpresa, al fascino dell’inatteso. La società, nel suo insieme, è il risultato di un’infinità di fattori e condizioni del tutto imprevedibili. Anche per questo, non abbiamo bisogno di perfezione né di progetti costituenti ma di speranze che, con la potenza della ribellione, diventano un flusso sociale che prova a rimettere nelle mani delle persone il proprio destino.
di Gustavo Esteva
In mezzo al disastro che dilaga intorno a noi, devo ricorrere ancora una volta a una riflessione significativa di John Berger: «Nominare l’intollerabile è già di per sé la speranza. Quando qualcosa viene percepito come intollerabile è necessario fare qualcosa. L’azione è soggetta a tutte le vicissitudini della vita. Però la pura speranza risiede in primo luogo, in forma misteriosa, nella capacità di nominare l’intollerabile in quanto tale: e questa capacità viene da lontano, dal passato e dal futuro. Questa è la ragione per la quale la politica e il coraggio sono inevitabili».
Berger si riferisce chiaramente alla politica, all’azione cosciente e organizzata che si occupa del bene comune, non al gioco politichese dei partiti e del governo che sono parte dell’intollerabile. E si riferisce al coraggio, allo sforzo impetuoso dell’animo, al valore, alla degna rabbia, come direbbero gli zapatisti, non ad esplosioni irrazionali di ira che stanno creando situazioni ugualmente intollerabili.
Come generare speranza? Come fare perché la constatazione dell’intollerabile non porti alla paralisi o alla disperazione? Quale è il cammino misterioso al quale Berger allude?
Si conferma sempre più che «la speranza radicale è l’essenza dei movimenti popolari», come sosteneva Douglas Lummis. Ogni movimento sociale si costruisce a partire dalla speranza che l’azione comune potrà ottenere ciò che si sta cercando. Però è necessario distinguere con chiarezza la speranza dall’aspettativa. L’aspettativa esprime l’arroganza di pretendere che si possa pianificare e controllare il futuro, ciò che si tramuta spesso in meccanismo di manipolazione e controllo.
Negli anni Quaranta si parlava della «rivoluzione delle aspettative crescenti», per alimentare i desideri collettivi con promesse di miglioramento proprie del consumismo che consentì l’espansione capitalista. È una «rivoluzione» che si auto-distrusse. Un’espressione attuale dell’intollerabile è la frustrazione che produce il fallimento di aspettative lungamente accarezzate e alimentate, la frustrazione del giovane diplomato che non trova lavoro nel campo per il quale ha studiato, quella del lavoratore che ha impegnato la vita intera nell’aspettativa di una vecchiaia serena che oggi gli viene erosa…
La speranza è altra cosa. Suppone il riconoscere i propri limiti, quelli che sono propri della condizione umana, ed aprirsi alla sorpresa, al fascino dell’inatteso. Implica, ad esempio, prendere coscienza che la «società nel suo insieme» è il risultato di una infinità di fattori e di condizioni interamente imprevedibili. Sbaglieremmo se, per metterci in movimento, esigessimo di disporre di un progetto perfetto di società che contribuiremo a creare con la nostra azione. Però questa speranza radicale, cosciente dei propri limiti ma anche della sua potenzialità, è la speranza dalla quale oggi dipende la sopravvivenza della razza umana.
Come suggeriva Illich più di quarant’anni or sono, abbiamo la necessità di riscoprirla come forza sociale in un momento in cui alla base della società ribollono inquietudini e quando un numero crescente di persone giunge al momento radicale che porta a dire: «Non obbedisco più, non mi sottometto, non sono disposto ad accettare passivamente questo destino atroce che ci viene imposto».
Siamo incalzati da una molteplicità di poteri diffusi, di carattere mafioso, che ci tolgono ogni tranquillità e non ci lasciano vivere in pace. Viviamo sotto la minaccia costante che quanto desideriamo e abbiamo svanisca nell’aria, che alcuni di questi poteri ci tolgano l’impiego, la casa, la terra, i diritti e le garanzie consacrate dalla legge, la sicurezza, la salute, la vita stessa…
Contro tutto questo leviamo in alto la speranza, che non è, come diceva Vaclav Havel, la convinzione che qualcosa accadrà secondo certe modalità, bensì la convinzione che qualcosa abbia un senso, indipendentemente da ciò che avverrà.
La speranza radicale è alimentata dalla convinzione, solidamente fondata sull’esperienza storica, che nessun potere può rendere impossibile ciò che speriamo quando si strappa il filo della storia e un popolo dice con fermezza: Ora basta! Non tollereremo oltre!
(da La Jornada del 10 giugno 2013 – traduzione di Aldo Zanchetta – su www.kanankil.it)
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