Documenti di Don Vito Ciancimino: "Fu deciso di salvare Di Pietro e non Borsellino"
"Mancino e Rognoni non sono all’altezza della trattativa. Molti dei politici italiani che hanno pianto Falcone parlavano con Cosa nostra. Di Pietro era condannato con Borsellino ma qualcuno potrebbe avere voluto salvare". Lo avrebbe affermato, in due documenti dattiloscritti, l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Le carte sono state prodotte da Massimo Ciancimino e depositate agli atti del processo Mori dai pm Ingroia e Di Matteo. La polizia scientifica non ha ancora depositato le perizie sulla loro autenticità (su uno, finora inedito, dei due non sono presenti annotazioni a penna o matita). Su queste carte i pm hanno già interrogato Ciancimino junior, che martedì prossimo verrà sentito al processo.
«Una cantina che per fortuna non è stata mai perquisita ma era messo in mezzo a caciare varie, non lo vedevo da anni, neanche mi ricordavo». Massimo Ciancimino questo documento l'ha ritrovato per caso, dice, durante un trasloco, dopo anni che se l'era spedito dagli archivi del padre a Parigi. Ai magistrati di Palermo l’ha consegnato questo febbraio, insieme a una serie di ritagli di giornale sulla strage di Capaci. Nell'intestazione del foglio – un dattiloscritto che il figlio di Vito Ciancimino attribuisce al padre – si legge «Promemoria incontro colonnello». «Il colonnello – racconta Massimo Ciancimino – è Mori», cioè Mario Mori, oggi generale, sotto processo, insieme al colonnello Mario Obinu, per la mancata cattura diProvenzano nel 1995 e indagato per concorso esterno in associazione mafiosa con l'accusa di essere stato il mediatore della trattativa tra Stato e mafia negli anni delle stragi.
Secondo Vito Ciancimino, presunto autore del documento, «lo stupore della nostra classe Politica alla notizia della morte del Giudice Falcone» fu pura ipocrisia. Molti politici sapevano benissimo che Cosa nostra avrebbe «alzato il tiro» perché «da anni continuavano a parlare con questa gente, anche in maniera autonoma", ma Don Vito avrebbe «preferito soggetti ben più autorevoli e Super Partes». Parla anche dell'omicidio Lima: «Non capisco perché continuava a discutere di fantasie, azzeramenti di processi e altre minchiate varie. Eppure Lima lo avevo incontrato di recente e mi era apparso molto tranquillo». E conclude: «Ora correte ai ripari tramite mio figlio Massimo che fine hanno fatto tutti gli altri vostri canali diretti?»
Questo documento, finora inedito, è stato depositato poche settimane fa proprio al processo Mori, in corso davanti al tribunale di Palermo che martedì prossimo chiederà spiegazioni allo stesso Massimo Ciancimino, oggi in custodia cautelare in carcere accusato di avere falsificato un documento per calunniare l'ex capo della polizia De Gennaro, su questo e altri due dattiloscritti tra cui uno annotato a penna in apparenza da Don Vito - che il figlio asserisce esserne l'autore - intitolato "Appunti per incontro. A futura memoria".
Si tratta di un documento di due pagine, la cui autenticità non è stata ancora comprovata dalla polizia scientifica, in cui Vito Ciancimino lamenta di avere «lanciato messaggi per poter essere ascoltato» sin dai tempi del delitto Mattarella e, inesaudito, di avere anche «scritto a tutte le commissioni antimafia (ne conservo copie)». Parla dell’attentato a Falcone, che rivela di avere incontrato più volte senza scorta. E di un «piano folle messo a punto per la destabilizzazione del nostro sistema politico-affaristico» (cui «anche io Vito Ciancimino in parte ho contribuito a tutto questo in tutti questi anni») che «ha avuto inizio con l’inchiesta di tangentopoli». E si chiede: «Anche Borsellino aveva intuito il terribile disegno, forse ancora prima del suo collega Falcone aveva intravisto scenari inquietanti. Anche lui come Di Pietro era messo in conto. Perché Di Pietro è stato avvisato, a chi serve che vada avanti? In questa logica si sta consumando il tutto».
Antonio Di Pietro, nell’intervista rilasciata oggi ad AgoraVox racconta che ricevette un’informativa del Ros che avvertiva di un pericolo concreto sia per lui che per Borsellino ma arrivò troppo tardi: Borsellino era già morto, non Di Pietro che ebbe il tempo di proteggersi e allontanarsi per un mese con la moglie, in Costa Rica, con un nome di copertura. L’ex pm spiega tutto con l’incedere delle indagini, nel ’92, sull’asse Milano-Palermo, in collaborazione tra il pool di Mani Pulite e il pool antimafia di Borsellino sul tema mafia-appalti nate dalle dichiarazioni del pentitoAngelo Siino, l’uomo di Cosa nostra dalle amicizie eccellenti (da politici come Salvo Lima agli imprenditori che contano), “Ministro dei lavori pubblici” dell’organizzazione, che inventò la tangentopoli siciliana. E forse è proprio nelle deposizioni di Siino ai pm di Caltanissetta, durante le inchieste sulle stragi, che si trova la chiave di lettura di quelle riflessioni di Don Vito (“Perché Di Pietro è stato avvisato, a chi serve che vada avanti? In questa logica si sta consumando il tutto”). Siino ha raccontato che nel biennio ’92-’93 i vertici di Cosa nostra (Madonia, Pippo Calò e Brusca, che ha confermato il racconto di Siino) lo spinsero con insistenza a intraprendere una collaborazione “pilotata" con i magistrati per raccontare le collusioni tra mafia, politica e imprese negli anni ottanta allo scopo esclusivo di destabilizzare con le sue dichiarazioni il mondo politico e imprenditoriale di allora. Soprattutto la Democrazia cristiana siciliana e nazionale, che, come ricorda oggi Antonio Di Pietro su AgoraVox, da quegli scandali uscì travolta.
Don Vito Ciancimino continua (avrebbe continuato) a battere a macchina i suoi sospetti: «Cosa nasconde la richiesta del mio amico di incontrarci all’estero?», poi racconta: «Ho fatto leggere al colonnello (presumibilmente Mori, ndr) l’articolo pubblicato dal settimanale Il mondo lo scorso Agosto» (pubblicato il 3 agosto 1992, dunque il dattiloscritto risale a dopo Via D’Amelio, dopo il mese di agosto ‘92). Un’intervista di Gianni Barbacetto a Leoluca Orlando che denuncia l’inerzia dello Stato nel contrastare le collusioni tra affari, mafia e politica, rilasciata a caldo due settimane dopo la strage che uccise Borsellino. «Mi ha risposto che Roma ha voluto questo, non ha alcun potere. Come pensa di controllare gli esiti dei miei Processi. Ne Mancino ne Rognoni sono in grado».
Secondo Vito Ciancimino, presunto autore del documento, «lo stupore della nostra classe Politica alla notizia della morte del Giudice Falcone» fu pura ipocrisia. Molti politici sapevano benissimo che Cosa nostra avrebbe «alzato il tiro» perché «da anni continuavano a parlare con questa gente, anche in maniera autonoma", ma Don Vito avrebbe «preferito soggetti ben più autorevoli e Super Partes». Parla anche dell'omicidio Lima: «Non capisco perché continuava a discutere di fantasie, azzeramenti di processi e altre minchiate varie. Eppure Lima lo avevo incontrato di recente e mi era apparso molto tranquillo». E conclude: «Ora correte ai ripari tramite mio figlio Massimo che fine hanno fatto tutti gli altri vostri canali diretti?»
Questo documento, finora inedito, è stato depositato poche settimane fa proprio al processo Mori, in corso davanti al tribunale di Palermo che martedì prossimo chiederà spiegazioni allo stesso Massimo Ciancimino, oggi in custodia cautelare in carcere accusato di avere falsificato un documento per calunniare l'ex capo della polizia De Gennaro, su questo e altri due dattiloscritti tra cui uno annotato a penna in apparenza da Don Vito - che il figlio asserisce esserne l'autore - intitolato "Appunti per incontro. A futura memoria".
Si tratta di un documento di due pagine, la cui autenticità non è stata ancora comprovata dalla polizia scientifica, in cui Vito Ciancimino lamenta di avere «lanciato messaggi per poter essere ascoltato» sin dai tempi del delitto Mattarella e, inesaudito, di avere anche «scritto a tutte le commissioni antimafia (ne conservo copie)». Parla dell’attentato a Falcone, che rivela di avere incontrato più volte senza scorta. E di un «piano folle messo a punto per la destabilizzazione del nostro sistema politico-affaristico» (cui «anche io Vito Ciancimino in parte ho contribuito a tutto questo in tutti questi anni») che «ha avuto inizio con l’inchiesta di tangentopoli». E si chiede: «Anche Borsellino aveva intuito il terribile disegno, forse ancora prima del suo collega Falcone aveva intravisto scenari inquietanti. Anche lui come Di Pietro era messo in conto. Perché Di Pietro è stato avvisato, a chi serve che vada avanti? In questa logica si sta consumando il tutto».
Antonio Di Pietro, nell’intervista rilasciata oggi ad AgoraVox racconta che ricevette un’informativa del Ros che avvertiva di un pericolo concreto sia per lui che per Borsellino ma arrivò troppo tardi: Borsellino era già morto, non Di Pietro che ebbe il tempo di proteggersi e allontanarsi per un mese con la moglie, in Costa Rica, con un nome di copertura. L’ex pm spiega tutto con l’incedere delle indagini, nel ’92, sull’asse Milano-Palermo, in collaborazione tra il pool di Mani Pulite e il pool antimafia di Borsellino sul tema mafia-appalti nate dalle dichiarazioni del pentitoAngelo Siino, l’uomo di Cosa nostra dalle amicizie eccellenti (da politici come Salvo Lima agli imprenditori che contano), “Ministro dei lavori pubblici” dell’organizzazione, che inventò la tangentopoli siciliana. E forse è proprio nelle deposizioni di Siino ai pm di Caltanissetta, durante le inchieste sulle stragi, che si trova la chiave di lettura di quelle riflessioni di Don Vito (“Perché Di Pietro è stato avvisato, a chi serve che vada avanti? In questa logica si sta consumando il tutto”). Siino ha raccontato che nel biennio ’92-’93 i vertici di Cosa nostra (Madonia, Pippo Calò e Brusca, che ha confermato il racconto di Siino) lo spinsero con insistenza a intraprendere una collaborazione “pilotata" con i magistrati per raccontare le collusioni tra mafia, politica e imprese negli anni ottanta allo scopo esclusivo di destabilizzare con le sue dichiarazioni il mondo politico e imprenditoriale di allora. Soprattutto la Democrazia cristiana siciliana e nazionale, che, come ricorda oggi Antonio Di Pietro su AgoraVox, da quegli scandali uscì travolta.
Don Vito Ciancimino continua (avrebbe continuato) a battere a macchina i suoi sospetti: «Cosa nasconde la richiesta del mio amico di incontrarci all’estero?», poi racconta: «Ho fatto leggere al colonnello (presumibilmente Mori, ndr) l’articolo pubblicato dal settimanale Il mondo lo scorso Agosto» (pubblicato il 3 agosto 1992, dunque il dattiloscritto risale a dopo Via D’Amelio, dopo il mese di agosto ‘92). Un’intervista di Gianni Barbacetto a Leoluca Orlando che denuncia l’inerzia dello Stato nel contrastare le collusioni tra affari, mafia e politica, rilasciata a caldo due settimane dopo la strage che uccise Borsellino. «Mi ha risposto che Roma ha voluto questo, non ha alcun potere. Come pensa di controllare gli esiti dei miei Processi. Ne Mancino ne Rognoni sono in grado».
«Oggi nonostante tutte le cautele e le controindicazioni suggerite dai miei legali, (che non stimo), sto continuando nella strada suggerita da mio figlio Massimo»: ovvero, mediare la trattativa tra Cosa nostra e i vertici delle istituzioni. «Ho aderito alla richiesta fatta dal Colonnello Mori lo scorso giugno. Mori mi dice di essere stato autorizzato ad andare avanti per la mia strada».
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