Tutte le volte che non capiva quello che dicevano i tedeschi, prendeva bastonate, calci e pugni. Aveva la "I" di italiano attaccata addosso quindi passibile di ogni angheria in quanto traditore.
Riccardo aveva 17 anni quando venne bastonato per la prima volta. Era a Dachau con il padre, ambedue partigiani triestini. I tedeschi li avevano messi a lavoro in turni diversi, così non si incrociavano mai. Riuscirono a farlo solo una sera, quando il padre si sentì male e lui riuscì a trovarlo e caricarselo in spalla per portarlo in quello che doveva essere una sorta di “ospedale" del lager.
Morì lì, da solo, la mattina seguente. Per rivederlo, Riccardo dovette “incamminarsi verso su”, come raccontò dopo, nella speranza di capire dove era stato messo il suo corpo. Lo trovò alla fine: i tedeschi l’avevano gettato in una fossa comune, assieme a tanti altri di ogni nazionalità e fede. Tutti – come raccontò anni dopo – “abbracciati l’uno all’altro”.
Riccardo Gorup-Goruppi, partigiano triestino, si spegneva tre anni fa in questo giorno, a 94 anni. Il dolore, immenso, che quest’uomo può aver provato nel vedere il corpo di suo padre in una fossa comune, non lo possiamo neanche immaginare. L’orrore, che va oltre l’umana comprensione, è realmente qualcosa di non comprendibile.
Come per altre testimonianze, quel nostro non poter immaginare quel dolore lo dobbiamo anche a uomini come lui, che nei decenni a venire non ha mai smesso di raccontare che cosa accadde in quei campi e fino a chi livelli di crudeltà può arrivare l’essere umano.
All’uomo, al testimone, al partigiano Riccardo, anche quest'anno il ricordo di tutti.
Leonardo Cecchi
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