Dal disastro nucleare del 2011 sono
stati stoccati 1,34 milioni di tonnellate d'acqua radioattiva, che
saranno ora riversati nell'Oceano
Un rischio calcolato, un male necessario. La dispersione dell'acqua di Fukushima nell'Oceano Pacifico è stata per anni un tema dibattuto, un'ipotesi ventilata da studiosi e ingegneri che alla fine hanno ottenuto nel 2021 il via libera dal governo per lo sversamento nell'ambiente marino delle prime migliaia di metri cubi d'acqua inquinata. Il riversamento è iniziato alle prime luci dell'alba (ora italiana) di giovedì 24 agosto e proseguirà per i prossimi 17 giorni per un totale di 7.800 metri cubi d’acqua, una quantità corrispondente circa a tre piscine olimpioniche. Anche se l'operazione, portata avanti dalla Tokyo Electric Power Company Holdings (Tepco), il gestore dell’impianto nucleare di Fukushima Daiichi, durerà anni. Ma cosa comporta una simile decisione per l'ambiente e perché non era possibile rimandarla?
An Rong Xu//Getty Images
Perché la dispersione dell'acqua di Fukushima era necessaria?
Nonostante le numerose proteste da parte delle associazioni ambientaliste e del settore ittico, in forte crisi dal 2011, da quando cioè il terremoto marino di scala 9.1 del Tōhoku ha causato il più grave incidente nucleare della storia dopo Černobyl del 1986, gli esperti hanno spiegato la necessità e l'inevitabilità di riversare l'acqua radioattiva nell'Oceano. Lo tsunami di 12 anni fa ha infatti distrutto i sistemi di raffreddamento dell'impianto di Fukushima Daiichi e causato la fusione di tre reattori, con la liquefazione delle barre di combustibile contenenti uranio. Per mettere in sicurezza l'area ed evitare l'ulteriore surriscaldamento del combustibile liquefatto ad altissima radioattività e potenziali esplosioni che avrebbero causato la fuoriuscita di materiale radiattivo, i tecnici hanno iniziato a pompare acqua marina sui nuclei fusi per raffreddarli. Da allora a tutt'oggi l'acqua pompata, a cui prima prima dell'isolamento della zona si aggiungeva anche l'acqua piovana, viene contaminata al ritmo di 130 tonnellate al giorno. I tecnici della Tepco la raccolgono, la filtrano con un processo denominato "sistema avanzato di trattamento dei liquidi" ("advanced liquid-processing system") e la immagazzinano in serbatoi da mille metri cubi l'uno.
La dispersione nel Pacifico delle acqua tossiche di Fukushima è iniziata il 24 agosto.
In 12 anni sono stati accumulati in apposite cisterne 1,34 milioni di tonnellate d'acqua, l'equivalente di quasi 540 piscine olimpioniche. Ma gli esperti hanno calcolato che lo spazio di stoccaggio si esaurirà a inizio 2024 e che per questo è necessario procedere ad un lento e graduale smaltimento. Un'operazione che dovrebbe durare 40 anni, a cui pare non esserci alternativa, anche perché considerata dal Giappone come la via più sicura. Se un terremoto o uno tsunami colpissero nuovamente la centrale e i suoi serbatoi la dispersione fuori controllo nell'Oceano avrebbe conseguenze inimmaginabili. Il piano del governo invece prevede che il rilascio avvenga a una velocità massima di cinquecentomila litri al giorno e che l'acqua della centrale, prima di essere pompata nell'Oceano attraverso un tunnel sottomarino, venga diluita con acqua di mare. In questo modo, spiega l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, gli effetti sarebbero "trascurabili" sia per le persone che per l'ambiente. Discorso simile dovrebbe valere per il carbonio-14, che come scrive Nature "ha attualmente una concentrazione pari a circa il 2% del limite massimo stabilito dalle normative, che si ridurrà ulteriormente con la diluizione dell’acqua di mare".
Che sostanze verranno disperse nell'ambiente?
Su 64 elementi radioattivi, il sistema di filtraggio Alps di Tepco riesce ad eliminarli tutti tranne il carbonio-14 e il trizio. Per quest'ultimo, in particolare, che è una sostanza che in quantità minime è presente naturalmente nel mare, non esiste ancora la tecnologia adeguata e l'unica soluzione sarebbe quello di prevedere un apposito sistema di stoccaggio che ne consenta la conservazione per almeno 100 anni, il tempo necessario al decadimento di questo isotopo. Ma molti esperti sono contrari sia per il rischio di dispersione involontaria sia per lo spazio che sarebbe necessario per la conservazione di tutto questo materiale radioattivo per così tanti anni.
La protesta di alcuni attivisti contrari alla centrale di Fukushima nel decimo anniversario del disastro nucleare.
Quali sono i rischi per la salute?
Da qui la decisione di prevedere un rilascio graduale e controllato del trizio. "La Tepco afferma che la concentrazione di trizio risultante è di circa 1.500 becquerel (una misura della radioattività di una sostanza) per litro, circa un settimo delle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per il trizio nell’acqua potabile" spiega uno studio su Nature citato dal Corriere della Sera. Dal momento che il limite per l'acqua potabile raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è di 10.000becquerel per litro e che il rilascio previsto dovrebbe essere di appena 0,06 g, ne consegue che 22 terabecquerel di trizio all’anno sia "una vera e propria goccia nell’oceano" rispetto alla quantità di isotopo presente naturalmente nel Pacifico, secondo l'agenzia media The Conversation. Una quantità trascurabile che, se rilasciata con i tempi e i modi indicati, non dovrebbe avere un effettivo impatto sull'ambiente.
I dati non convincono però le associazioni ambientaliste. Secondo Greenpeace non sono stati adeguatamente calcolati i rischi radiologici di queste sostanze tossiche che, per quanto diluite e controllate, saranno immesse nell'ambiente ed entreranno in contatto con l'ecosistema marino e con l'uomo. Come scrive Il Post, "il trizio è considerato poco pericoloso per la salute umana perché sebbene possa avere degli effetti sulle molecole del Dna non può penetrare attraverso la pelle. Può tuttavia essere inalato o ingerito se si trova nell’acqua o nel cibo". Secondo l'Aiea si tratterebbe, come dicevamo, di quantità trascurabili. Ma questo non ha fermato le proteste di quanti lavorano nel settore ittico oltre che di molti Paesi che si affacciano sull'Oceano Pacifico come Corea del Sud e Cina, che ha già imposto il divieto totale di importazione di pesce proveniente dal Paese confinante. Adesso tutti gli occhi sono puntati sul Giappone.
Nessun commento:
Posta un commento