Il famoso caso "Ghersi" sbugiardato.
Sintesi tratta dalle pp, 33-40 del libro "Mal di Pansa".
Uccisa... perché aveva fatto il compito a casa
Uno dei cavalli di battaglia, specie negli ambienti neofascisti, è la vicenda di Giuseppina Ghersi.
Pansa utilizza strumentalmente un suo fantasioso interlocutore, tale Morsi, in La destra siamo noi (2015, pp. 22-23), per fargli raccontare la vicenda a suo modo:
“… Mi è rimasta nella memoria la sorte di una ragazzina di tredici anni: Giuseppina Ghersi, studentessa delle magistrali, figlia di due commercianti di frutta e verdura che gestivano un banco al mercato di Savona. I genitori non avevano la tessera del Partito fascista repubblicano, ma tutti sapevano che erano tifosi di Mussolini. Bastò questo per spingere dei partigiani comunisti a rapire la ragazzina. E a scaraventarla in un inferno indescrivibile”.
Fu così che “i rapitori decisero subito che Giusep-pina aveva fatto la spia per i tedeschi e i fascisti” ma, inutile porsi dubbio alcuno: “Era un’accusa assurda e senza nessun fondamento”.
Non mancano nemmeno i macabri dettagli: “… La ragazzina venne sequestrata e condotta in una scuola elementare della frazione di Legino, trasformata in campo di concentramento. Qui fu rapata a zero. La testa le venne cosparsa di vernice rossa. Poi qualche partigiano la pestò a sangue e la stuprò, forse non da solo”.
Un parente, infine, l’avrebbe vista “in condizioni pietose, e implorava di essere aiutata. Ma nessuno fu in grado di salvarla [sic! N.d.A.]”. Il libello chiude il racconto così: “I partigiani la condussero nei pressi del cimitero di Savona in località Zinola, e la freddarono con una raffica di mitra. I genitori se la cavarono, però vennero isolati, poiché la loro figlia era accusata di essere una spia di Salò…”. Di grazia, ma non erano loro stessi noti per essere “tifosi di Mussolini”? E non era questo, secondo quanto asserito dallo stesso Morsi, il primo motivo dell’uccisione della figlia?
Il revisionista, invero, ne aveva parlato anche ne Il Sangue dei vinti dove però, magicamente, si riferi-va di “... una famiglia agiata [sic! N.d.A.], commer-cianti in ortofrutticoli...” (Pansa, 2003, p. 148). Ergo gli stessi erano benestanti, ma secondo il libello di 12 anni dopo essi stessi semplicemente “gestivano un banco al mercato di Savona...”.
La narrazione diventa ancora più convulsa: “... Un loro parente, Attilio M., 33 anni, operaio, aveva la tessera del partito. Lui, anziché esser rapito, fu ucciso subito, il 25 o il 26 aprile. Forse era proprio costui all’origine del sequestro di Giuseppina” (p. 148). Quindi abbiamo la terza fantomatica spiegazione della sua uccisione (in soli due libri). E perché secondo talune ricostruzioni? “… Durante la guerra civile la ragazzina poteva aver visto qualcosa che non doveva vedere e l’aveva riferito all’Attilio. In seguito, qualcuno era stato arrestato. E qualcun altro era morto” (p. 148). Tutto molto offuscato... Nonostante questo bailamme di versioni, questa storiella è stata una di quelle più rimbalzate per mettere all’indice la presunta violenza partigiana.
Ma è il gruppo di storici Nicoletta Bourbaki (2017a) a voler mettere la parola fine a questa “frot-tola”. Partiamo da “un blog interamente dedicato al caso Ghersi – e di chiaro stampo neofascista – dove l’esposto che Giovanni Ghersi [il padre N.d.A.] avrebbe presentato (citiamo) ‘il 29 aprile del 1949’ è in piccola parte trascritto e in grande parte parafrasato. Trascrizioni apparentemente complete sono presentate in una discussione sul forum ‘Patriottismo’ e, corredata dalla foto di un manoscritto, sul blog di Nicolick... [che, per inciso, pare sia stato nel passato espulso financo dalla sezione locale della lega bossiana N.d.A.]”. Altre info le si desumono dal video dei cd “Ragazzi del Manfrei” con “un altro esposto, quello della madre di Giuseppina, che il 27 gennaio 1949 si era presentata alla Questura di Savona e aveva fatto dichiarazioni davanti a un funzionario. Un testo presentato come la trascrizione dell’esposto della madre si può leggere su Il Giornale”.
Per completare il quadro si segnala anche “… la testimonianza di Stelvio Murialdo… del quale si dice che ‘riconobbe’ il cadavere di Giuseppina, visto il 30 aprile 1945 al cimitero di Zinola. Detta così, fa sembrare Murialdo molto vicino agli eventi e alla vittima. In realtà, Murialdo non conosceva Giuseppina, quindi non poté riconoscerla quel giorno…”.
E’ proprio questo teste che, secondo Il Giornale del 2008 in “Cercando Valentino”, ricorda:
“... Era un cadavere di donna molto giovane; erano terribili le condizioni in cui l’ avevano ridotta, evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane età. Una mano pietosa aveva steso su di lei una SUDICIA COPERTA GRIGIA [maiuscole nel testo originario N.d.A.] che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia…”.
In verità “Murialdo afferma [anche N.d.A.] di avere riconosciuto la ragazzina soltanto ‘alcuni anni dopo’ (non dice mai quanti), vedendo la foto sulla lapide e chiedendo ai genitori, che erano lì in visita, se quella fosse ‘la ragazzina uccisa a fine aprile’”. Si badi che Murialdo risulta essere nato il 22 Giugno 1935; facendo un rapido conto, a quel tempo non a-vrebbe avuto nemmeno dieci anni!!! E in ogni caso “... nelle prime righe Murialdo scrive: ‘… affido alla carta la memoria di un tragico evento che mi volle occasionale testimone di quel martirio’”. Acutamente, sempre il gruppo Nicoletta Bourbaki, si interroga: “Murialdo ha testimoniato pubblicamente sul caso Ghersi a partire dal 1950, quand’era adolescente, o lo ha fatto per la prima volta nel 2008 dopo ‘oltre sessant’anni’?”
Non bastasse ciò, altre aporie clamorose affiorano:
“L’Albo dei caduti e dispersi della Repubblica So-ciale Italiana, un elenco curato dalla nostalgica Fondazione RSI che mette insieme i nomi ‘provenienti da ogni possibile fonte di ricerca’ (testuale), riporta sotto il nome Giuseppina Ghersi: ‘Nascita: 12/7/31, Savona Qualità: Volontaria Reparto o ruolo: ONB-suo tema lodato dal DUCE, C. Zinola Data, luogo o evento in memoria: 30/4/45, SV, carcere Legino – nip. V. Mongolli -sev.’”. Vedremo poi se è vero.
“In rete si trova anche la scansione di un dattilo-scritto datato 26 marzo 1945, in cui il Corpo Volon-tari della Libertà – il coordinamento militare della Resistenza – trasmette ai partigiani un elenco di spie. Una ‘Signorina Ghersi’ compare nella seconda riga della seconda pagina. Foglio 1 – Foglio 2”.
Ergo, tutt’altro che quel giglio di campo incolpevo-le di cui si parla anche nei libercoli pansiani.
A questo punto il lettore infarcito di letture anti-resistenziali mi opporrà: E la fotografia che gira o-vunque sul web di una ragazzina, la Ghersi, marchiata con la lettera M? Ebbene anche qui trat-tasi di un clamoroso abbaglio:
“… La foto è stata scattata a Milano il 26 aprile 1945… È stata esposta all’Istoreto (Istituto piemontese per la storia della resistenza e della società contemporanea) di Torino, in occasione della mostra La lunga liberazione, 1943-1948 e si può vedere nella relativa galleria fotografica. Si tratta della pubblica esposizione di una collaborazionista, forse di un’ausiliaria della RSI” .
Giuseppina Ghersi, more solito, non c’entra alcun-ché.
Ma anche negli esposti “vi notiamo diverse con-traddizioni, sia tra le due versioni sia tra l’esposto e altri documenti disponibili”. Innanzitutto la data (il 26, 27 o il 30 Aprile? Qualcuno riferisce anche di Settembre); c’è confusione anche sul luogo del decesso (nel cimitero di Zinola o in una via cittadina?). Ciò è essenziale perché “nel cimitero di Zinola… si svolge il ‘riconoscimento’ da parte di Murialdo”.
Tra l’altro “nell’esposto Ghersi [che è stato diffuso su internet N.d.A.] afferma chiaramente che la natura del sequestro suo e della sua famiglia non è politica ma estorsiva”, mentre “nella trascrizione presente su ‘Patriottismo’ si legge...: ‘La casa me la spogliarono di quanto tenevo soldi, oro, argento e altro […] tutto ciò finché rivelassi dove tenevo celati oro e soldi; loro non volevano politica perché a detta faccenda non ero interessato ma oro e soldi.’”. Ciliegina sulla torta (si fa per dire) “nel racconto di Murialdo, scritto molti anni dopo ... i Ghersi figurano come vittime di furto, ma sono dati per arrestati ‘con la cervellotica accusa di aver avuto rapporti commerciali con i nazifascisti’. Murialdo chiede alla famiglia come mai fu uccisa Giuseppina, e riferisce la risposta: ‘l’accusa ufficiale era spionaggio’”. Confusione totale.
C’è ancora un punto da chiarire e che giustifica il titolo di questo nostro paragrafo. Ci riferiamo ad un “tema scolastico di Giuseppina che avrebbe ricevuto l’encomio del Duce” e che sarebbe stato la causa dei fatti successivi. La prova? Il solito Murialdo che, con inverosimili contorsioni dialettiche, racconta: “La zia [di Giuseppina] azzardò [questa N.d.A.]... ipotesi... poteva essere questo, la sua condanna a morte! ”. Ci sarebbe altresì “una comunicazione del segretario particolare del duce”. Vuole il caso però che “la co-municazione non risulta passata attraverso la scuola, ma attraverso il Gruppo Femminile Fascista Repubblicano. In essa non si menziona alcun tema, e si fa invece riferimento – molto freddamente – a una ‘lettera’ scritta da Giuseppina’...”.
Morale della favola niente tema, niente premio. Ma almeno lo stupro è sicuro?
“Nei loro esposti [del 1949 N.d.A.], stando alle trascrizioni, né il padre [Giovanni N.d.A.] né la madre di Giuseppina fanno alcun riferimento a uno stupro subito dalla figlia. Si descrive un pestaggio e si riferisce di aver saputo dell’uccisione soltanto in seguito. La madre sa riferire solo quanto era stato detto a lei e a suo marito ‘da fascisti poi uccisi’, cioè che la figlia era stata ammazzata”.
E quindi da dove nasce anche questa “falsità” che gira in rete ed è stata diffusa come veritiera anche da quotidiani nazionali di primissimo piano, oltre che ritenuta possibile dallo stesso Pansa? “A evocare lo stupro è il solito Murialdo, che nel 2008 scrive di avere immaginato la violenza sessuale ascoltando la zia di Giuseppina, quella che presuntamente l’avrebbe vista poco prima che morisse...”. Ecco le parole, sempre della zia, secondo il Murialdo: “Era ridotta in uno stato pietoso; mi disse [mia zia N.d.A.] di aver subìto ogni sorta di violenza… (a questo punto [mia zia N.d.A.] tacque per pudore su tante nefandezze che la decenza lascia solo intuire”.
Murialdo immagina ciò che la zia di Giuseppina avrebbe voluto dirgli! E questa sarebbe la prova! Va beh magari il nostro revisionista con il tempo avrà capito che era una fake news, no? Nient’affatto! Nel “Bestiario”, sul giornale “a tutta destra” La Verità del 17.09.2017, non lascia ma raddoppia. Passa dal “forse” al sicuro: “qualche partigiano la stuprò, forse non da solo”. Un fatto di numeri, insomma; se era da solo il Resistente stupratore o più d’uno!
La storica Claudia Cernigoi (2018) ha dato la mazzata finale alla vicenda Ghersi: “…Nella foto posta sulla tomba di Giuseppina, la ragazza sembra molto più matura dei 13 anni dichiarati”. Il saggi-sta, come visto, aveva scritto che a “13 anni” era “studentessa delle magistrali alla 'Rossello’...” (Pan-sa, 2003, p. 95); il tutto ripetuto anche su La destra siamo noi (Pansa, 2015, p. 20). Ma la Cernigoi (2018), per l’appunto, ribatte che “sembra difficile a tredici anni” lo potesse essere e si mostra “il carteg-gio alla ‘camerata Pinuccia Ghersi’, dove, nell’attestato che le viene inviato… leggiamo l’intestazione: ‘alla Giovane Italiana Pinuccia Gher-si’”. Si dà il caso però che, ex art. 75 del regolamento del Partito fascista, “relativamente alla ‘leva fasci-sta’, risulta che la qualifica di ‘giovane italiana’ spettava al compimento del 17° anno di età”!
Nondimeno la data di nascita non risulta né sulla lapide della tomba, dove c’è effigiato il solo “1931”, né nel certificato di morte, risalente al 1949, dove è specificato solo “di anni tredici”. Quest’ultimo, tra l’altro, reca come data di morte il 26 Aprile, incredi-bilmente il giorno prima del suo sequestro che se-condo il padre sarebbe avvenuto appunto il 27!
Una data di nascita c’è, ovvero 12.7.31. Ed indovi-nate dove la troviamo?
Nell’albo dei caduti della RSI!
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