giovedì 17 novembre 2022

Il maratoneta

 


Quando due mostri sacri si incontrano nello stesso film può succedere di tutto. E John Schlesinger nel girare nel 1976 il thriller politico “Il maratoneta”, va sul sicuro. Il protagonista è una delle star del momento, Dustin Hoffman, che ha già diretto nel mai troppo celebrato “Un uomo da marciapiede”. Un film fondamentale, se non uno dei pilastri, della New Hollywood. L’altro è sir Laurence Olivier: attore di formazione teatrale, mito in patria, due Oscar nel 1949 per “Amleto”, un matrimonio alle spalle con la sfortunata Vivien Leigh, la Rossella di “Via col vento”.


Il film racconta di un ragazzo, Hoffman, che si allena per la maratona di New York ma per colpa del fratello, un uomo dei servizi segreti, viene messo nei guai e inseguito da un ex criminale nazista. A fare questa parte è un Olivier inquietante tanto da ottenere una nomination all’Oscar come migliore attore non protagonista. La scena del trapano sui denti infatti è un cult di crudeltà e disturbo per gli occhi dello spettatore.


Ma una battuta da ricordare viene pronunciata fuori dal set. Un giorno, prima di iniziare a girare, Hoffman non si trova. A un certo momento la troupe lo vede arrivare sudatissimo. L’attore racconta di essersi svegliato presto per andare a correre a Central Park. Ossessionato dal metodo insegnato all’Actors Studio da Lee Strasberg, Hoffman si vuole immergere totalmente nella parte. È la stessa scuola dei De Niro, dei Pacino, dei Brando. Così Olivier, vestito di tutto punto e senza un capello fuori posto, si avvicina al collega e chiede: “Ma perché ti sei messo a correre in lungo e in largo?”. E Hoffman, quasi stupito, spiega al collega che si deve immedesimare nel personaggio. 

Laurence Olivier ha espresso notoriamente il suo disprezzo per il metodo di recitazione durante le riprese del film del 1976. Esasperato dalle lunghezze che il suo co-protagonista Dustin Hoffman avrebbe fatto per il suo ruolo, ad un certo punto quando Hoffman in crisi perché non riusciva in quel momento a trovare le motivazioni psicologiche che muovevano il personaggio, lo apostrofò con una frase rimasta nella storia: “Giovanotto, non potrebbe semplicemente recitare?”.

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