1. MARCO GIUSTI IN DIFESA DI MARCO MULLER: “NON C’È UN FILO DI GLAMOUR, NON C’È ALLEGRIA” (FABRIZIO RONCONE, “CORRIERE”). CAPIRAI CHE GLAMOUR E CHE ALLEGRIA C’ERA CON BETTINI E VELTRONI, VISTO LA FINE CHE HA FATTO IL PD ROMANO E TUTTI I SOLDI CHE SI ERANO BUTTATI ALLORA PER FARE ARRIVARE DI CAPRIO E SCORSESE A ROMA” - 2. E COMUNQUE, RICORDA “VARIETY”, MARCO MULLER, È COSTRETTO A CAMBIARE ANCORA UNA VOLTA LA MISSIONE DEL FESTIVAL E PUÒ DISPORRE DI UN BUDGET DI SOLI 7 MILIONI DI EURO CONTRO I 14 CHE AVEVA BETTINI CON I SUOI TRE DIRETTORI. E TUTTI RICORDIAMO IL DISASTRO CHE FU IL PRIMO FESTIVAL DI ROMA NELLE PAGINE DEI GIORNALI STRANIERI. O NO? - 3. “VARIETY” LO DIFENDE ANCHE QUEST’ANNO: “MALGRADO TUTTI GLI IMPEDIMENTI, O FORSE PROPRIO GRAZIE A QUESTI, MULLER POTREBBE AVER TROVATO LA FORMULA GIUSTA PER ROMA” -
Luciano di Bacco per Dagospia
Marco Giusti per Dagospia
Festival di Roma. Secondo giorno. E già piovono attacchi, piuttosto pretestuosi, dai giornali italiani. “Non c’è un filo di glamour, non c’è allegria” (Fabrizio Roncone, “Corriere”). Capirai che glamour e che allegria c’era con Bettini e Veltroni, visto la fine che ha fatto il Pd romano e tutti i soldi che si erano buttati allora per fare arrivare Di Caprio e Scorsese a Roma.
E poi il pubblico dei romani e dei cinematografari sempre quello è, e cosa abbiano da stare allegri di questi tempi non si capisce proprio. “Meno male che c’è Er Monnezza” (Federico Pontiggia, “Il Fatto). Nessun romano dice Er Monnezza. E comunque l’arrivo di Tomas Milian proprio per il pubblico, romano e non, è davvero un grande evento. Come lo è stato Joe Dante che ieri sera ha presentato “Operazione paura” di Mario Bava davanti ai fan dell’horror italiano.
O oggi Jean Pierre Jeunet che si è scagliato contro lo strapotere di Harvey Weinstein che gli ha distrutto il lancio del suo film da 33 milioni di dollari, “Lo straordinario viaggio di T.S. Pivet”, in America. O il megaevento 3D della canonizzazione dei tre papi prodotta da Sky. O l’arrivo di Clive Owen per il lancio della serie di superculto della HBO “The Knick” con un chirurgo che opera strafatto di oppio e cocaina in un ospedale dalle cure sperimentali degli anni 10.
E comunque, come ricorda “Variety”, al suo terzo e ultimo mandato, Marco Muller, è costretto a cambiare ancora una volta la missione del festival e può disporre di un budget di soli 7 milioni di euro contro i 14 che aveva Bettini con i suoi tre direttori. E tutti ricordiamo il disastro che fu il primo Festival di Roma nelle pagine dei giornali stranieri. O no?
“Variety” difende Muller anche quest’anno: “Malgrado tutti gli impedimenti, o forse proprio grazie a questi, Muller potrebbe aver finalmente trovato la formula giusta per Roma”, conclude il suo articolo Nick Vivarelli. Qualcuno gli scrive, da Roma, che si tratta della triste fine di un festival con un direttore già pronto a andarsene. Chissà, certo non è elegante tutto questo livore da parte dei giornalisti italiani per un festival che ci sembra, malgrado le ristrettezze di quest’anno e i nuovi indirizzi dei commissari politici, comunque pieno di film e di eventi interessanti.
Stamane sono passati per la stampa, oltre alle prime due puntate di “The Knick”, il dramma sull’Alzheimer “Still Alice” di Richard Glatzer e Wash Westmoreland con Juliane Moore e Kristen Stewart, l’opera prima “Last Summer” di Leonardo Guerra Seràgoli, sceneggiato dal disegnatore Igort e dalla scrittrice giapponese Banana Yoshimoto, con Rinko Kikuchi protagonista, e questo delizioso “Lo straordinario viaggio di T.S.Pivet” di Jean-Pierre Jeunet che è stato accolto con un’ovazione dai ragazzini presenti in sala.
Girato con un 3D ultravirtuoso, e una costruzione visiva impressionante dal regista di “Il mondo di Amelie”, il film è tratto da un libro di Reif Larsen, “The Selected World of T.S.Pivet”, che lo stesso Jeunet assieme a Guillaume Laurant hanno sceneggiato per il cinema. T.S., la T sta per il glorioso capo indiano Tecumseh, e la S per Sparrow, passerotto, è un bambino di 10 anni, interpretato dal prodigioso Kyle Catlett, che vive con i suoi genitori, un padre cowboy, Calum Keith Rennie, e una mamma scienziata, una strepitosa Helena Bonham Carter, e la sorella maggiore, Niamh Wilson, in un ranch nel Montana.
Piccolo inventore, ha costruito una macchina a moto perpetuo che gli ha fatto vincere il premio Baird dallo Smithsonian Institute di Washington. E dovrebbe andare a prenderlo, rivelando così di avere solo 10 anni. Ma non è il suo unico problema, visto che in un incidente, avvenuto solo un anno prima, è morto il suo fratello gemello, Layton, del tutto diverso da lui e molto legato al padre. T.S. deciderà di intraprendere da solo, su un treno merci, come al tempo degli hoboes e dei vagabondi, il viaggio per Washington e per il suo premio.
Nel corso del viaggio, come in tutti i grandi romanzi d’avventura, capirà qualcosa di profondo su di sé e la sua famiglia. E farà pace coi suoi sensi di colpa nei riguardi del fratellino. Girato da Jeuneut dopo “L’esplosivo piano di Bazil”, molto meno riuscito, e dopo la lunga e inutile lavorazione per “Vita di Pi”, che ha poi dovuto rinunciare a girare per problemi di budget con la Fox, è un film che cresce poco a poco negli occhi dello spettatore, forse anche per i troppi effetti curiosi e a sopresa che il regista fa esplodere in ogni scena.
Ma il suo cuore, e la reale tristezza di T.S., bambino saggissimo che deve superare un lutto così profondo come al morte di un gemello, alla fine sono più forti di ogni effetto speciale e di ogni prodigio fotografico. Kyle Catlett e Helena Bonham Carter sono commoventi e il film, che è stato comprato per l’Italia da Federica e Fulvio Lucisano che dovrebbero distribuirlo nei primi mesi del 2015, merita un’uscita immediata in sala. “Last Summer” è invece opera prima di un italiano, Leonardo Serra Seràgoli, che ha studiato e vive a Londra da anni.
Con un cast tecnico di primissimo ordine, montaggio di Monika Willi, fotografia di Gianfilippo Corticelli, costumi di Milena Canonero, musiche di Asaf Sagif, oltre al duo di sceneggiatori più che bizzarro, Igort e Banana Yoshimoto, che lo affiancano alla scrittura, è una specie di thriller sentimentale ultrararefatto tutto costruito su una barca, disegnato dalla celebre architetta Odile Decq, e di proprietà delo stesso regista.
La storia vede una giovane giapponese, la Rinko Kikuchi di “Babel”, che ha perso l’affidamento del figlio, il piccolo Ken Brady, e ha solo quattro giorni per dargli uno straziante addio nello yacht del ricchissimo ex marito occidentale che non vedremo mai. Film di grandi silenzi e di ricercata eleganza visiva, ha il limite di voler esser fin troppo giusto nella ricerca di particolari e di abiti alla moda.
Non c’è niente di fuori posto. Si vede anche che Leonardo Serra Seràgoli ha fatto studi accurati di cinema e ha in testa qualcosa di internazionale in testa. Rispetto a tante opere prime italiane ha più scuola e grandi ambizioni. Certo, magari rischia qualche volta di soffocare nella ricerca di stilosità a tutti i costi e la sua protagonista non ha mai un vestito o una borsetta non firmata. Troppo.
Se possiamo dargli un consiglio, magari si dovrebbe sporcare un po’. Ne migliorerebbe anche come ispirazione. Domani gran giornata horror con takashi Miike, l’imperdibile “As the Goods Will”, e “Lucifer” del belga Gust Van den Berghe. Ma c’è anche il più che divertente “Buoni a nulla” di Gianni Di Gregorio.
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