martedì 18 marzo 2014

Il tempo dell’autogestione

di  Claudio Tognonato
Esi­stono ancora le imprese recu­pe­rate in Argen­tina? Con­ti­nuano a pro­durre in modo effi­ciente? Sono un feno­meno che tende a scom­pa­rire o ci sono nuove atti­vità recu­pe­rate? Anche in Ita­lia ci sono fab­bri­che occu­pate? Sono nume­rose?  Molte sono le domande e le curio­sità sulla moda­lità di que­ste espe­rienze di recu­pero nate in Argen­tina come rispo­sta alla crisi esplosa nel 2001.
Per ripren­dere la tema­tica e ridare attua­lità al feno­meno Comune-info, Altra­mente, Labo­ra­to­rio urbano Reset e A Sud hanno pro­mosso un incon­tro allo Scup di Roma dal titolo «Forme di resi­stenza, auto-organizzazione e recu­pero. Espe­rienze a con­fronto, dall’Argentina all’Italia, per una con­ver­sione eco­lo­gica dell’economia e della società». L’occasione è stata offerta dalla pre­senza in Ita­lia di Fabio Resino (vice­pre­si­dente della Con­fe­de­ra­zione nazio­nale delle Coo­pe­ra­tive di lavoro dell’Argentina e mem­bro di Facta), che ha fatto il punto sulla situa­zione delle imprese auto­ge­stite in Argen­tina.
La sto­ria di que­ste rin­no­vate forme di orga­niz­zare il lavoro parte in modo spon­ta­neo dalla base come alter­na­tiva alla disoc­cu­pa­zione e alla chiu­sura a catena dell’industria locale. Il passo del neo­li­be­ri­smo lasciò die­tro di sé terra bru­ciata, disoc­cu­pa­zione dila­gante e fab­bri­che chiuse. Per i lavo­ra­tori la crisi eco­no­mica era vis­suta come crisi del lavoro, crisi dei diritti, povertà e soli­tu­dine. I gio­chi dell’economia finan­zia­ria ave­vano distrutto l’economia reale e pro­dut­tiva, al punto che più che pro­durre, con­ve­niva impor­tare i pro­dotti dall’estero. Tutto appa­ren­te­mente pro­ce­deva liscio fino a quando si svuo­ta­rono le casse. Senza più rispar­mio la crisi eco­no­mica si tra­sforma in crisi gene­rale e tutto pre­ci­pita.
resino-harispeNon vi erano più argini e il fal­li­mento finì per rove­sciare il governo, i par­titi e i sin­da­cati. In que­sto clima di rivolta popo­lare sono nate alcune forme di orga­niz­za­zione per dare rispo­sta al crollo gene­ra­liz­zato:i pique­te­ros, i cace­ro­la­zos, le assem­blee popo­lari, il true­que e le occu­pa­zioni delle fab­bri­che. Sono ormai pas­sati molti anni e le varie rispo­ste sono rien­trate nei canali isti­tu­zio­nali, restano però le fab­bri­che ancora auto­ge­stite.
Fabio Resino ci con­ferma che non sono poche, tra le 200 e le 260, le imprese riu­nite in diverse fede­ra­zioni che poi hanno dato vita a una forma con­fe­de­rale, la Facta. Un salto qua­li­ta­tivo che man­tiene unite le diverse espe­rienze e con­sente a quelle pic­cole, che ancora oggi con­ti­nuano a nascere, di non sen­tirsi deboli e iso­late.
Il governo, attra­verso il mini­stero del lavoro ha aperto un pro­gramma di appog­gio che sostiene le atti­vità nate dalle prime occu­pa­zioni. È stata anche modi­fi­cata la legge che regola il fal­li­mento e che ora mette gli ope­rai al primo posto tra i cre­di­tori. Quando l’azienda chiude spesso una parte impor­tante del suo debito è nei con­fronti dei pro­pri dipen­denti, che in caso di recu­pero, pos­sono uti­liz­zarlo per l’acquisto di stru­menti e mac­chi­nari che gli con­sen­tano di con­ti­nuare a pro­durre. La grande sfida è pas­sare dalla con­di­zione di lavo­ra­tore dipen­dente alla gestione di un’intera atti­vità, dalla disoc­cu­pa­zione al governo del pro­prio futuro. Una sfida che si dif­fonde coin­vol­gendo ogni aspetto della vita.
20121010-empresas-recuperadas-recibirn-asistencia-para-fortalecer-la-produccinIn Argen­tina, in que­sti anni, l’esperienza è matu­rata e si è radi­cata diven­tando anche un effi­cace stru­mento di lotta, per­ché il movi­mento ope­raio sa che esi­stono le fab­bri­che recu­pe­rate. Gli ope­rai di un’azienda che chiude sanno anche di subire un fal­li­mento di cui non sono respon­sa­bili, per cui invece di abban­do­nare il posto di lavoro pro­pon­gono l’autogestione.
Anche in altri paesi dell’America Latina sono nate espe­rienze di que­sto tipo: in Uru­guay ci sono 34 imprese riu­nite in una fede­ra­zione. Nel 2011 il governo ha creato una linea di cre­diti per le imprese auto­ge­stite e a fine otto­bre 2013 il pre­si­dente Pepe Mujica ha pro­mosso un incon­tro tra alcuni rap­pre­sen­tanti delle fab­bri­che argen­tine e l’Arnert, l’associazione delle recu­pe­rate dell’Uruguay. Mujica ha voluto par­te­ci­pare alla riu­nione, pre­ci­sando che per loro «l’economia di auto­ge­stione non è un pal­lia­tivo ma una opzione per supe­rare l’attuale sistema eco­no­mico». Espe­rienze ana­lo­ghe di coge­stione e auto­ge­stione si regi­strano anche nel Vene­zuela, con la par­te­ci­pa­zione dello Stato che pro­pone diverse forme alter­na­tive di pro­prietà.
E in Ita­lia? Le fab­bri­che recu­pe­rate sareb­bero 32, ma si pensa che siano molte altre quelle che vivono la pro­pria avven­tura in soli­tu­dine, iso­late da altre espe­rienze ana­lo­ghe. Ogni occu­pa­zione o recu­pero segue un per­corso con una moda­lità par­ti­co­lare, le forme sono diverse, il rap­porto con la pro­prietà varia insieme alle con­di­zioni e dif­fi­coltà in cui si trova l’azienda. All’incontro erano pre­senti anche alcuni rap­pre­sen­tanti delle Offi­cine Zero, i lavo­ra­tori degli ex Wagon Lits che hanno occu­pato ormai da più di due anni la ex fab­brica vicino alla sta­zione Tibur­tina. La loro situa­zione è dif­fi­cile, ci sono 33 per­sone che resi­stono anche gra­zie all’appoggio dell’adiacente cen­tro sociale Strike e alla soli­da­rietà del ter­ri­to­rio.
L’attività ha perso la sua impronta ori­gi­nale, che ora si è con­ver­tita pro­po­nen­dosi come can­tiere manu­ten­zione e rici­clo, ma anche come luogo in cui con­di­vi­dere il pro­prio mestiere e il pro­prio spa­zio di lavoro (co-work). Prima, rac­conta Anto­nio, la crisi era per set­tori. Ora è gene­ra­liz­zata e non c’è più il sin­da­cato.
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La rispo­sta delle Offi­cine Zero rompe l’isolamento: «Da soli era­vamo morti, ora anche se non è facile orga­niz­zarci ci sen­tiamo vivi». In Ita­lia il punto debole è l’assenza di un’organizzazione cen­tra­liz­zata, manca una fede­ra­zione in grado di met­tere insieme i punti di forza e le debo­lezze. È stata que­sta la chiave mae­stra dell’esperienza argen­tina, in ogni recu­pero imman­ca­bil­mente si davano appun­ta­mento le altre imprese che ave­vano già intra­preso que­sta scelta. La somma di quelle pic­cole realtà diven­tava in ogni occa­sione una pre­senza deter­mi­nante. La soli­da­rietà è indi­spen­sa­bile per scon­fig­gere l’individualismo della società di mer­cato. Una soli­da­rietà che va costruita con il ter­ri­to­rio, con il con­te­sto per­ché le fab­bri­che non sono isole e pos­sono inte­ra­gire con la società sta­bi­lendo alleanza e radi­can­dosi nei quar­tieri. Un nuovo patto tra la comu­nità e un’economia soli­dale.
L’occupazione delle fab­bri­che, che ini­zia come una rispo­sta dispe­rata, si svi­luppa andando oltre la difesa del posto di lavoro, come recu­pero della pro­pria dignità, per­ché nella lotta si gua­da­gna il diritto a un lavoro degno. Le imprese cer­cano nuove forme di orga­niz­za­zione del lavoro in un mondo sem­pre più inter­con­nesso. La con­cor­renza è forte ma per abbas­sare i costi di pro­du­zione non è neces­sa­rio pas­sare attra­verso la dimi­nu­zione del costo del lavoro, deve dimi­nuire invece il tasso di pro­fitto. Si tratta di un pro­getto carico di uto­pia, indi­spen­sa­bile e pieno di rea­li­smo, per­ché chi intra­prende que­sto per­corso vuole sem­pli­ce­mente lavorare.

Fonte: il manifesto

http://comune-info.net/2014/03/imprese-recuperate-e-autogestione/

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