Il fratello dell’ex assessore veneziano. «Decise tutto tre mesi fa». Il procuratore: «Nessuna inchiesta, Bisso è morto in Svizzera»
Vittorio Bisso durante le cure (archivio)
DOLO - La chiamata per la fine del dolore è arrivata dalla Svizzera giovedì scorso per Vittorio Bisso, dirigente dei Comunisti Italiani ed ex assessore di Dolo ammalato di Sla. «Proprio quel giorno era morto nostro cugino Landino - racconta il fratello Sergio -. Quando gliel’ho detto, sa cosa mi ha risposto? Me ga fregà. Perché aveva finito di soffrire prima di lui. E’ l’ultimo sorriso che gli ho visto fare». Si spezza la voce al ricordo, ma il lutto non deraglia i principi nella famiglia Bisso: «siamo da sempre di sinistra e impegnati. Di sinistra e sportivi. Avrei fatto la stessa scelta di mio fratello. Vittorio non ce la faceva più. Gli ultimi giorni parlava con un filo di voce, non riusciva a mangiare, non aveva la forza di vedere gli amici, una processione di gente ogni giorno. Da cinque mesi non poteva neanche pigiare un tasto del computer, lui che ci stava sempre attaccato. A volte non voleva neanche me accanto a lui. Quando giovedì è arrivata la telefonata dalla Svizzera era pronto, non vedeva l’ora. Era tre mesi che ormai aveva deciso».
Quattro giorni per accomiatarsi dagli oggetti e dai luoghi familiari, lunedì è volato verso la Dignitas in Svizzera, associazione che aiuta il suicidio assistito. Lo hanno accompagnato la moglie Marisa Piovesan e il figlio Davide per l’ultimoabbraccio. Vittorio era lucido, consapevole, testimoniano gli amici. La sclerosi laterale amiotrofica consuma velocemente le capacità del corpo, non la dignità né la determinazione. Martedì alle 9,40 Vittorio Bisso, 54 anni, è morto. Sabato alle 11 allo Squero di Dolo ci sarà la commemorazione pubblica tra amici, politici, cittadini. E sarà l’ultimo capitolo di questa vicenda, visto che ieri il procuratore capo di Venezia Luigi Delpino ha assicurato che non ci saranno code giudiziarie: «La vicenda è avvenuta in Svizzera, quindi non è di nostra competenza - ha spiegato -. Non ci sarà alcuna autopsia». Né, tanto meno, verrà valutata l’ipotesi di un’istigazione al suicidio. Oggi la moglie, l’avvocato Massimilano Stiz e il partito terranno una conferenza stampa.
«Ora non me la sento di parlare», ha spiegato mercoledì ai giornalisti al suo ritorno a casa. Infermiera, nei mesi della malattia diagnosticata ad agosto del 2010 «ha sempre capito profondamente le evoluzioni del male e come cambiava la percezione di Vittorio. Una donna eccezionale », annuisce Renato Darsié, storico esponente del Pdci. Percezioni che mutano veloci con la malattia, dalla tenacia di sottoporsi alle cure ortodosse alla speranza per quelle sperimentali, ma sempre col fermo proposito «di non finire intubato in un letto a guardare un soffitto», spiega il fratello Sergio. «L’ho accompagnato anche in Thailandia per una terapia con le staminali, tutto inutile. Tanti soldi se ne sono andati, ma se sei malato non ci badi».
Ma c’è anche quel capitolo: «I lavori di ristrutturazione dell’appartamento per portare la camera da letto al piano terra, tutta l’attività di fisioterapia; per non parlare dei viaggi della speranza: tutto a carico della famiglia», scandisce il segretario del Pdci Francesco Di Cataldo. «Quando ha cominciato a peggiorare rapidamente - continua il fratello Sergio - si è buttato a capofitto su questa cosa della Svizzera. Tutto da solo ha fatto, come quella volta che si mise in testa di costruire lo stadio a Dolo e ci riuscì. Del resto, dall’inizio aveva sempre detto pubblicamente che lui non voleva finire come Piergiorgio Welby». «Mi confessò di essere ammalato la notte di Capodanno del 2011 - ricorda l’ex consigliere regionale Nicola Atalmi -. Aveva il terrore che lo intubassero per una crisi improvvisa e tenessero in ospedale così, lucido e inerme per vent’anni». Perciò a febbraio aveva designato la moglie come amministratore di sostegno, per evitare che altri prendessero scelte che non avrebbe più potuto esprimere. Non c’è stato bisogno, la telefonata dalla Svizzera è arrivata prima. «Ci inchiniamo alla dignità e alla forza del compagno Vittorio Bisso», il saluto del partito. «La sua scelta così forte deve indurre ad affermare finalmente il diritto delle persone di decidere le cure che vogliono o non vogliono ricevere senza dover andare fuori dall’Italia», il commiato del segretario del Pd di Venezia Michele Mognato.
DOLO - La chiamata per la fine del dolore è arrivata dalla Svizzera giovedì scorso per Vittorio Bisso, dirigente dei Comunisti Italiani ed ex assessore di Dolo ammalato di Sla. «Proprio quel giorno era morto nostro cugino Landino - racconta il fratello Sergio -. Quando gliel’ho detto, sa cosa mi ha risposto? Me ga fregà. Perché aveva finito di soffrire prima di lui. E’ l’ultimo sorriso che gli ho visto fare». Si spezza la voce al ricordo, ma il lutto non deraglia i principi nella famiglia Bisso: «siamo da sempre di sinistra e impegnati. Di sinistra e sportivi. Avrei fatto la stessa scelta di mio fratello. Vittorio non ce la faceva più. Gli ultimi giorni parlava con un filo di voce, non riusciva a mangiare, non aveva la forza di vedere gli amici, una processione di gente ogni giorno. Da cinque mesi non poteva neanche pigiare un tasto del computer, lui che ci stava sempre attaccato. A volte non voleva neanche me accanto a lui. Quando giovedì è arrivata la telefonata dalla Svizzera era pronto, non vedeva l’ora. Era tre mesi che ormai aveva deciso».
Quattro giorni per accomiatarsi dagli oggetti e dai luoghi familiari, lunedì è volato verso la Dignitas in Svizzera, associazione che aiuta il suicidio assistito. Lo hanno accompagnato la moglie Marisa Piovesan e il figlio Davide per l’ultimoabbraccio. Vittorio era lucido, consapevole, testimoniano gli amici. La sclerosi laterale amiotrofica consuma velocemente le capacità del corpo, non la dignità né la determinazione. Martedì alle 9,40 Vittorio Bisso, 54 anni, è morto. Sabato alle 11 allo Squero di Dolo ci sarà la commemorazione pubblica tra amici, politici, cittadini. E sarà l’ultimo capitolo di questa vicenda, visto che ieri il procuratore capo di Venezia Luigi Delpino ha assicurato che non ci saranno code giudiziarie: «La vicenda è avvenuta in Svizzera, quindi non è di nostra competenza - ha spiegato -. Non ci sarà alcuna autopsia». Né, tanto meno, verrà valutata l’ipotesi di un’istigazione al suicidio. Oggi la moglie, l’avvocato Massimilano Stiz e il partito terranno una conferenza stampa.
«Ora non me la sento di parlare», ha spiegato mercoledì ai giornalisti al suo ritorno a casa. Infermiera, nei mesi della malattia diagnosticata ad agosto del 2010 «ha sempre capito profondamente le evoluzioni del male e come cambiava la percezione di Vittorio. Una donna eccezionale », annuisce Renato Darsié, storico esponente del Pdci. Percezioni che mutano veloci con la malattia, dalla tenacia di sottoporsi alle cure ortodosse alla speranza per quelle sperimentali, ma sempre col fermo proposito «di non finire intubato in un letto a guardare un soffitto», spiega il fratello Sergio. «L’ho accompagnato anche in Thailandia per una terapia con le staminali, tutto inutile. Tanti soldi se ne sono andati, ma se sei malato non ci badi».
Ma c’è anche quel capitolo: «I lavori di ristrutturazione dell’appartamento per portare la camera da letto al piano terra, tutta l’attività di fisioterapia; per non parlare dei viaggi della speranza: tutto a carico della famiglia», scandisce il segretario del Pdci Francesco Di Cataldo. «Quando ha cominciato a peggiorare rapidamente - continua il fratello Sergio - si è buttato a capofitto su questa cosa della Svizzera. Tutto da solo ha fatto, come quella volta che si mise in testa di costruire lo stadio a Dolo e ci riuscì. Del resto, dall’inizio aveva sempre detto pubblicamente che lui non voleva finire come Piergiorgio Welby». «Mi confessò di essere ammalato la notte di Capodanno del 2011 - ricorda l’ex consigliere regionale Nicola Atalmi -. Aveva il terrore che lo intubassero per una crisi improvvisa e tenessero in ospedale così, lucido e inerme per vent’anni». Perciò a febbraio aveva designato la moglie come amministratore di sostegno, per evitare che altri prendessero scelte che non avrebbe più potuto esprimere. Non c’è stato bisogno, la telefonata dalla Svizzera è arrivata prima. «Ci inchiniamo alla dignità e alla forza del compagno Vittorio Bisso», il saluto del partito. «La sua scelta così forte deve indurre ad affermare finalmente il diritto delle persone di decidere le cure che vogliono o non vogliono ricevere senza dover andare fuori dall’Italia», il commiato del segretario del Pd di Venezia Michele Mognato.
Monica Zicchiero
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