«Chiede scusa
con sette anni di ritardo e lo fa solo perché stavolta lo abbiamo
stanato e di lui si occuperà una commissione disciplinare ma sono sette
anni che insulta Federico». Non si commuove Patrizia Moretti di fronte
ai dispacci di agenzia che registrano le scuse di Paolo Forlani, uno dei
quattro agenti condannati in via definitiva per l'omicidio colposo di
suo figlio diciottenne.
Forlani era
tornato ai clamori delle cronache per alcuni commenti su facebook in
cui, continuando a dichiararsi innocenti, provava a rimettere sotto
processo lo stile di vita del ragazzo incappato nel violentissimo
controllo di polizia del 25 settembre 2005 ma, soprattutto, insultava
Patrizia Moretti, «faccia da culo» e «comunista di merda» assieme a
chiunque non abbia creduto alle versioni ufficiali della questura di
Ferrara smentite in tre processi e in un'inchiesta ad hoc.
"Voglio
chiedere perdono, per quel mio contegno estemporaneo ed assurdo - aveva
scritto Paolo Forlani, probabilmente consigliato da un legale - alle
persone che ho citato nei miei messaggi; non è per le conseguenze che
potrà portare questo mio atteggiamento che chiedo scusa, ma per la reale
presa di coscienza dell'errore commesso qualche giorno fa, unito
all'esigenza di riprendere quel contegno silenzioso e rispettoso che ho
mantenuto sempre, dal settembre 2005 sino a questi giorni". "Quelle mie
espressioni sono state il frutto di una pressione che è gravata su di me
per sette anni, durante i quali invano ho cercato di esprimere le mie
ragioni; così, dopo l'ennesima e decisiva sconfitta mi sono lasciato
andare ad un comportamento irragionevole, in preda alla rabbia verso chi
non mi ha mai ascoltato e non ha capito quanto dolore avessi provato
per la tragedia che era successa in via Ippodromo, rispetto alla quale
avevo sempre protestato la mia assenza di responsabilità".
In verità, gli
agenti condannati, specie all'inizio, non hanno sentito l'impellente
bisogno di discolparsi. Di fronte al pm si avvalsero della facoltà di
non rispondere e solo nella prima udienza del processo, il 24 ottobre
del 2007, uno di loro lesse una dichiarazione spontanea al presidente,
dei quattro imputati. Poche parole e lette da una voce diversa da quella
registrata mentre spiegava alla Centrale che l'avevano «pestato di
brutto per mezz'ora». Quella voce ha detto di «comprendere il dolore
della famiglia Aldrovandi» ribadendo la «piena correttezza del
comportamento di quella mattina». Disse anche di aver fiducia che il
processo fugherà «tutte le ombre» maturate in due anni di «calvario
giudiziario». Patrizia e Lino Aldrovandi dissero di sentirsi, di fronte
ai quattro, nei panni di Federico. Cioè di sentirsi male.
E che le prime parole degli imputati sono parse loro «fredde, senza anima, senza corpo. In linea con la loro condotta fin qui».
Checchino Antonini da Globalist
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