Era una figura di spicco della comunità islamica in Italia. Andrea Riccardi lo ricorda come un appassionato sostenitore del dialogo tra le religioni e le culture
Ci ha lasciato oggi l'ambasciatore Mario Scialoja, consigliere del Centro culturale islamico che ospita la grande moschea di Roma, figura di spicco della comunità islamica in Italia e primo direttore dell'ufficio italiano della Lega Musulmana Mondiale. A dare la notizia è stata l'Unione della comunità islamiche italiane (Ucoii) esprimendole condoglianze per «l'improvvisa scomparsa». Il direttivo dell'Ucoii fa sapere che «la morte del fratello hajji Mario Scialoja ci colpisce dolorosamente. Con la sua personalità e il coraggio sempre dimostrato nel testimoniare la sua scelta religiosa, è stato e rimane un esempio per tutti i musulmani in Italia».
Già diplomatico italiano, Scialoja era nato a Roma il 29 luglio 1930. Il suo ultimo incarico è stato quello di ambasciatore in Arabia Saudita dal 1994 al 1996. Si era convertito all'Islam alla fine del 1988, quando era vice rappresentante permanente dell'Italia presso l'Onu a New York, con il rango di ambasciatore. Al termine della sua carriera, aveva deciso di dedicare i suoi ultimi anni al servizio della Comunità musulmana in Italia.
Il ministro per la Cooperazione e l'Integrazione, Andrea Riccardi lo ricorda così: «Figura di spicco della comunità islamica in Italia, appassionato e intelligente sostenitore del dialogo e della convivenza tra le religioni e le culture». Per Zingaretti un uomo di pace: «Un uomo che in tutta la sua vita non ha mai smesso di lottare per affermare la pacifica convivenza tra le culture, le religioni e i popoli. Il suo valido esempio dovrebbe diventare per chi governa un modello da seguire e da imitare per favorire il dialogo e la pace. Alla sua famiglia va la vicinanza mia e di tutta la Provincia di Roma».
I funerali si svolgeranno domani alle 11 presso la grande moschea di Roma. «Invitiamo gli esponenti della nostra comunità - si legge nella nota dell'Ucoii - a unirsi a noi nell'esprimere il cordoglio e i sentimenti di vicinanza alla famiglia di questo nostro fratello che ha avuto tanta importanza nella storia della nostra istituzione, all'interno della quale ha ricoperto numerose cariche».
http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=24708
IN RICORDO DI MARIO SCIALOJA
La notizia della perdita di Mario
Scialoja, già ambasciatore in Arabia Saudita, e poi figura di primo
piano della comunità musulmana in Italia, non può che essere accolta con
dolore e profondo rammarico, nella consapevolezza che con la sua
scomparsa la società italiana e il dialogo interreligioso perdono un
protagonista di grande spessore. In suo ricordo, riproponiamo la
seguente intervista, da lui concessa tempo fa a Nuccio Franco
***
Mario Scialoja, romano, ex ambasciatore e
dirigente della sezione italiana della Lega musulmana mondiale. E’ tra i
maggiori e più influenti esponenti della comunità islamica.
Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio
presso il Centro culturale islamico della Grande Moschea di Roma del
quale è componente del CdA ed abbiamo affrontato alcuni tra i principali
temi concernenti l’Islam, in primis quello relativo al fenomeno delle
conversioni.
Dottor Scialoja,quello della
conversione, rappresenta un fenomeno sociologico certamente degno di
attenzione, sintomatico di un processo di ricerca, promosso da un forte
desiderio di conoscenza che sfocia in un percorso personale e spirituale
complesso. Da quanto tempo è avvenuta la conversione e quali sono state
le ragioni alla base della scelta di abbracciare un credo diverso da
quello d’origine? Quali sono state le tappe fondamentali del suo
personale cammino di avvicinamento alla nuova religione?
La mia conversione all’islam è avvenuta
alla fine del 1988, all’età di 58 anni quando ero Rappresentante
Permanente Aggiunto con il rango di Ambasciatore alle Nazioni Unite a
New York. Non c’è stata nessuna particolare ragione a determinare questo
mio avvicinamento all’Islam, nessun evento in particolare così come
nessuno che abbia cercato di influenzarmi. Ho cominciato leggendo il
Corano e sono stato attratto dal rapporto diretto tra i fedeli ed il
Signore, senza intermediari dove per tali intendo non la gerarchia
ecclesiastica ma anche questo mondo di santi e sante in Paradiso ai
quali ci si rivolge in preghiera e che fanno miracoli cui non ho mai
francamente creduto. In sostanza, si è trattato di una scelta
esclusivamente personale e consapevole che non ha cambiato la mia vita
dal punto di vista pratico, nella quotidianità personale e
professionale. Anzi, ho mantenuto tutte le amicizie che avevo, sia in
seno alla chiesa cattolica che tra gli ebrei. Devo confessare che quando
ho deciso di rendere pubblica la mia conversione in un primo momento ho
temuto per quelle che sarebbero potute essere le reazioni da parte del
Ministero. Nulla di tutto questo. Soprattutto dal punto di vista
professionale, forse avessi fatto un passo del genere negli anni ‘60
l’esito sarebbe stato diverso. Pensi che all’epoca un divorziato non
poteva essere accreditato quale Ambasciatore presso la Santa Sede a
Roma. Sono stato a New York per sei anni dopodiché mi sono trasferito a
Riyad quando ero ormai già formalmente musulmano da sei anni. Ciò non ha
avuto assolutamente alcuna influenza sulla mia scelta salvo concedermi
la possibilità di poter fare più facilmente il pellegrinaggio alla Mecca
Tra le conversioni definite
“relazionali” si parla esplicitamente di quelle avvenute per motivazioni
non strettamente religiose. Un passo successivo o un diverso approccio è
quello rappresentato dalle conversioni “razionali”, culmine di un
cammino di ricerca. In quale di questi ambiti si inserisce la Sua
esperienza ?
Assolutamente nell’ambito razionale,
anche se devo dire che la maggior parte delle conversioni in Italia di
persone di sesso maschile avviene per motivi relazionali, cioè per poter
sposare una ragazza musulmana.
Una volta compiuto il passo, come ha vissuto la nuova appartenenza religiosa nei suoi tratti distintivi e fondamentali, cos’è cambiato a seguito di questo percorso nel quotidiano vissuto, in famiglia, al lavoro?
Come già detto non è cambiato nulla. Mia
moglie è rimasta cattolica ed ha accettato serenamente la mia scelta.
Anzi, per un certo periodo ha ricominciato ad andare a messa cosa che
non faceva ormai da tempo. Devo dire però che durante la nostra
permanenza a New York per un periodo era piuttosto seccata ma
semplicemente perché le amiche le paventavano la possibilità che potessi
diventare poligamo. E’ bastato rassicurarla (sorride, ndr).
La conversione, è un passaggio che segna differentemente i percorsi biografici femminili e quelli maschili?
Dal punto di vista dottrinale e della
pratica religiosa non ci sono differenze tra uomo e donna. L’unico
distinguo potrebbe essere ricercato nel fatto che in caso di matrimonio,
la donna di fede islamica non è obbligata ad abbracciare quella del
marito. Al contrario, l’uomo deve necessariamente convertirsi. La
difformità, in questo caso, va ricercata nel fatto che la posizione
predominante all’interno della famiglia è appannaggio degli uomini ed i
figli devono essere allevati nell’Islam. Per quanto ci riguarda, onde
evitare problemi, qui al Centro Islamico Culturale d’Italia siamo molto
attenti e scrupolosi nel verificare la sussistenza di tutte le
condizioni per un matrimonio valido. In particolare, per evitare casi di
bigamia, quando uno dei nubendi è cittadino italiano chiediamo che
venga esibito un certificato di matrimonio civile per poi procedere a
redigere il contratto di matrimonio islamico.
Alla luce della Sua
esperienza,cos’è per Lei l’Islam oggi ma, soprattutto, quali sono gli
aspetti di somiglianza e di diversità fra la Sua ex religione e l’Islam?
Qual è e come vive il rapporto individuo – collettività?
Nell’Islam c’è un rapporto meno stretto
con la collettività, nel senso che in esso manca quella che nella
religione cattolica è l’autorità centrale, sia un’autorità religiosa
vera e propria in grado di dettare dottrine officiatorie valide erga
omnes, sia un’autorità a livello locale. In sostanza, ognuno di noi vive
la fede individualmente, partecipando ad attività sociali, di
beneficenza o altro su base meramente volontaria e non sulla spinta di
una struttura organizzata. E’ un rapporto molto informale basato sulla
volontà di ciascuno. Non esiste il dogma dell’infallibilità pontificia,
come quello dei cattolici che fu dettato da ragioni esclusivamente
politiche volte a compensare la perdita del potere temporale. La
differenza fondamentale risiede nel fatto che per l’Islam Gesù è un
profeta seppur particolare nel senso che è stato l’unico ad essere stato
concepito miracolosamente da una vergine e che non è morto ma è stato
assunto in cielo. Direi che le similitudini sono tante, soprattutto per
quanto concerne la visione dell’al di là, la resurrezione della carne il
giorno del giudizio l’inferno ed il paradiso
A nostro avviso, i convertiti
rappresentano un trait d’union tra la comunità islamica ed il resto
della società ricoprendo un ruolo importante nell’Islam organizzato;
certamente, è anche grazie a loro che l’Islam si è fatto più visibile nei media e più presente alle Istituzioni.
Qual è stato l’atteggiamento della comunità nei Suoi confronti?E’
diverso l’ approccio ai temi ed alle problematiche di fede, sociali e
politiche dell’Islam di un convertito?
E’ chiaro che l’educazione ricevuta in
gioventù in qualche modo influenza l’approccio e si protrae ben oltre la
conversione. Personalmente, su molte questioni ho un approccio non dico
più razionale ma certamente più aperto rispetto a molti confratelli che
vedono ed interpretano la religione in maniera molto più rigida, con
interpretazioni che ritengo ingiustificatamente restrittive e che non
tengono in conto i mutamenti della società.
In Italia l’Islam è la seconda
religione. Sono circa 400 le moschee e i luoghi di culto islamici e sono
quasi 300 gli imam per 1.354.000 fedeli: un imam ogni 5mila fedeli. È
quanto rileva il Dossier Statistico Immigrazione 2010 redatto da
Caritas/Migrantes. A questi luoghi di culto, prosegue il Dossier, vanno
aggiunti 120 centri culturali e 275 associazioni islamiche. Si tratta di
numeri che attestano quanto l’Islam sia parte integrante della nostra
società. C’è chi parla di 10.000 chi addirittura di 60.000 convertiti. Quanti sono davvero? Un Suo commento su questi dati?
Con tutto il rispetto, devo confutare
alcuni di questi dati. In Italia, le moschee che possono davvero
definirsi tali sono solo due: quella di Roma e quella del cimitero di
Segrate a Milano. In realtà, ce ne sarebbe anche una terza a Catania,
finanziata dal colonnello Gheddafi che però non mi risulta sia stata mai
aperta. Il resto sono luoghi di culto e si attestano tra i 750 e gli
800 stando alle ultime stime fornite dal Ministero degli Interni. In
stragrande maggioranza si tratta di piccolissimi luoghi di culto anche
se alcuni sono più grandi come quello di Brescia dell’Ucoii. Quanto agli
Imam,la questione è delicata perché quelli formati per essere tali
presso l’Università Al Azhar del Cairo, che hanno una formazione
accademica mi risulta siano soltanto tre: uno a Roma, uno ad Ostia ed
uno (credo) a Torino.Il resto lo sono informalmente, sono semplicemente
coloro che guidano la preghiera. Quanto ai fedeli, si può
ragionevolmente pensare che essi siano 1.500.000 (all’incirca) mentre i
convertiti non superano le 15.000 unità, la maggior parte dei quali
rappresentano conversioni relazionali. Sotto quest’aspetto c’è da
sottolineare che molti dei convertiti motu proprio lo fanno in tarda età
per un’esigenza di ascetismo aderendo per lo più a confraternite sufi.
Quella dell’Islam in Italia è
una presenza antica che di recente ha conosciuto una accelerazione
imprevista a causa dell’immigrazione. Sono almeno 10 le
principali associazioni islamiche in Italia ufficialmente costituite.
Non esiste però una intesa (ex art.8 della Costituzione) fra Stato
Italiano e comunità islamica anche se esistono due bozze di discussione.
Esiste forse un problema di reciproca organizzazione e riconoscimento
tra le diverse comunità islamiche, un problema di rappresentanza?
Innanzitutto è utile procedere ad una
precisazione sostanziale. La maggior parte delle associazioni sono
registrate con atto notarile ma non sono riconosciute dallo Stato.
L’unica formalmente riconosciuta con DPR nel 1974 è il nostro Centro Islamico Culturale d’Italia.
Quanto alle intese esse presuppongono,
appunto, il riconoscimento e la rappresentatività dell’associazione.
Detto questo, attualmente ci sono in essere due vecchie intese – quella
con i Testimoni di Geova e con Buddisti – firmate illo tempore dal
governo D’Alema ma che tuttavia non sono mai state approvate per legge.
Berlusconi, da parte sua, si è mostrato molto attento al problema ed ha
da subito dimostrato ottime intenzioni in tal senso. Nel 2001 volle
riavviare il discorso anche con riferimento all’Islam. All’epoca,
riuscimmo a raggiungere un accordo informale con il Sottosegretario
Letta. Esso prevedeva che nel caso in cui il Centro avesse eliminato
dalla propria denominazione e dal proprio Statuto la dizione “culturale”
– in quanto le intese sono negoziate con associazioni confessionali –
ed attuato alcune modifiche statutarie si sarebbe aperto un tavolo
negoziale. Non essendo riusciti a soddisfare rapidamente queste
condizioni (che adesso lo sono) non si è riusciti a procedere in tal
senso e temo che ciò non sarà possibile in un futuro immediato. Ciò vale
più in generale anche per le altre confessioni.
Alcuni fatti di cronaca danno un immagine falsata dell’Islam.
Esiste l’impressione, anche in conseguenza di questi fatti recenti, che
un islam moderato faccia fatica ad affermarsi e che addirittura possa
esistere come tale. Qual è la sua opinione?
Il problema del difficile rapporto tra
l’islam e l’Occidente è di natura politica non di certo religiosa, così
come politiche sono le radici del fondamentalismo. Nelle forme attuali,
esso è nato nel secondo dopoguerra con la nascita di Israele e l’inizio
del conflitto israelo palestinese. In seguito, in seno all’Islam sono
nate correnti sempre più anti americane ed anti occidentali, alimentate
dal dominio economico dell’occidente che ha creato una nuova forma di
neocolonialismo che si è sostituito al vecchio colonialismo militare.
Nei paesi islamici i giovani che non hanno di fronte a loro le stesse
prospettive dei loro coetanei dei paesi sviluppati chiaramente non
crescono ben disposti nei confronti dell’Occidente. Queste sono le
ragioni che poi, purtroppo, si sono trasformate spesso in posizioni
violente e radicali. Nella dottrina islamica non esiste nulla che spinga
all’astio verso le altre religioni né, tantomeno, che induca al
proselitismo inteso come sforzo attivo di convertire qualcun altro. La
breve Sura 109 del Corano, che parla del rapporto tra le varie fedi,
conclude con le parole “a te la tua strada e a me la mia”: il
che significa la libertà, ed il diritto di andare ognuno per la propria
strada. A tal proposito, nel Corano l’espressione jihad sta a
significare lo sforzo che ciascuno deve fare per il bene ed evitare il
male. Così come non esiste il concetto di Guerra Santa. Inoltre, c’è da
aggiungere che il Corano, a differenza di quanto previsto da altre
religioni, ammette esclusivamente la guerra di difesa mentre ad esempio
secondo la Bibbia è permessa anche quella di conquista (Libro di Giosuè e
la conquista della Terra Promessa). Di conseguenza, il concetto
quaedista di Guerra Santa, di crociata contro l’occidente è una
assurdità che va contro la dottrina e la religione. Purtroppo, le
condizioni economiche e politiche della comunità internazionale sono
quelle che sono; il giorno dopo l’11 settembre Bush jr venne fuori con
la dichiarazione secondo la quale non era ulteriormente rinviabile la
soluzione del conflitto israelo palestinese. Fu l’unica volta che egli
citò il conflitto medio-orientale quale causa o concausa delle tensioni
fra Islam ed occidente viste le reazioni di una certa parte che si sono
immediatamente susseguite.
Esiste certamente un islam moderato
soprattutto tra quelle fasce non politicizzate. Purtroppo, le correnti
fondamentaliste riescono a fare proseliti e ad influenzare le masse
anche a seguito di minacce, riuscendo ad ottenere un seguito
apparentemente maggiore rispetto a quello che realmente hanno. L’islam
autentico, che rispetta la dottrina, attualmente è certamente
maggioritario seppur in difficoltà nel contenere spinte di un certo
tipo.
Negli ultimi anni si è assistito alla crescita di un fronte islamico-liberale, che chiede riforme democratiche, multipartitismo; donne e uomini condividono sempre più valori di laicità e di cultura liberale e delle libertà. D’altronde,
leggendo i grandi pensatori islamici ci si accorge che molti di questi
ritengono che l’Islam sia, innanzitutto e soprattutto, una religione del
dialogo e della fede. Qual’è il Suo parere sull’argomento e quali, a
Suo avviso, i margini futuri di sviluppo di questa corrente?
Certamente, nei paesi islamici esiste
una maggioranza silenziosa che chiede riforme, apertura, valori di
laicità e libertà che si scontrano ancora con tradizioni abbastanza
radicate. In molti paesi, anche in Iran, si stanno affermando correnti
di pensiero che distinguono anche nel Corano fra la dottrina religiosa,
ossia le Sure meccane, immutabili, e le norme racchiuse nel periodo
medinese che riguardano il sociale e la politica che non hanno a che
fare con la dottrina e che di conseguenza possono essere reinterpretate
ed adeguate alle mutate condizioni sociali. Il libanese Mohamed Sammak,
ad esempio, fa una distinzione molto precisa tra il testo del Corano e
l’interpretazione che è un’opera umana ed in quanto tale fallibile e
modificabile, che va certamente aggiornata secondo le mutate condizioni
sociali. Pensi che la stessa Sharia è ormai ampiamente modificata in
molti paesi. In Marocco, tanto per citare un esempio, è stato largamente
riformato ed innovato il diritto di famiglia che è stato adeguato a
standard quasi occidentali; in Tunisia è stata abolita la poligamia così
come in Turchia, mentre in Marocco con la riforma essa è stata quasi
abolita de facto. Nella stessa Arabia Saudita, ad eccezione dei membri
della famiglia reale, la poligamia è scarsamente diffusa. La si può
ancora trovare nei centri rurali. Dei sauditi che ho personalmente
conosciuto, operatori economici, politici, etc nessuno era poligamo.
Una questione di estrema
attualità: il divieto di indossare il niqab. La Francia ha già adottato
una legge ad hoc. In Italia sono all’esame del parlamento alcuni disegni
di legge. Modernità e tradizione, identità e futuro. E’possibile
trovare una sintesi tra diverse esigenze e come?
Quello del niqab è un discorso
altrettanto delicato. Di esso non c’è traccia nel Corano. Nel versetto
31 della Sura 24 della “Luce” è detto esclusivamente che le donne devono
stendere un velo sui seni. Ci sono però delle espressioni che si
prestano a delle interpretazioni estensive ma si tratta pur sempre di
interpretazioni. Se facciamo riferimento alla Sunna, troviamo vari
hadith che menzionano l’hidjab ma mai il niqab o il burqa. Dato che
l’hidjab è menzionato nella Sunna, personalmente reputo che sia
preferibile che le donne lo indossino. purché su base volontaria.
Paradossalmente dove il hidjab non è prescritto per legge esso porta ad
un risultato contrario a quello desiderato: anziché proteggere la
modestia delle donne attira gli sguardi su di esse.
Un’ultima battuta sul Comitato
per l’Islam. Lei si dimise nel corso della riunione di insediamento,
polemizzando sulla circostanza che due tra i più importanti temi da
affrontare, ossia la formazione degli imam e le moschee in Italia,
fossero stati affidati a relatori non musulmani. Da allora è cambiato
qualcosa?
Sul Comitato per l’Islam la mia
posizione non è cambiata. Reputo che esso non sia in grado di
ottemperare alle funzioni per cui era stato concepito.
Nuccio Franco
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