venerdì 17 maggio 2013


 


 
UN PAPATO DISASTROSO
di Franco Barbero
Don Franco Barbero interviene per i 25 anni di pontificato di Karol Wojtyla,
che definisce "un uomo generoso", di cui apprezza la passione, ma di cui non
tace gli errori.
Giovedì 16 Ottobre 2003

La gara è aperta. Chierichetti di destra e di sinistra, su tutti i video e
su tutti i giornali (le eccezioni quasi non si vedono) stanno andando a gara
nello “straparlare”, nel tessere elogi per questo pontificato che ”ha
cambiato la storia”, “si è aperto a tutte le religioni”, “ha visitato tutto
il mondo”, “ha parlato ai grandi e ai piccoli”, “si è esposto come un eroe
della pace”. E chi più ne ha più ne metta. In tutto questo interessato
esercizio di retorica ci sono parecchie omissioni, numerose menzogne, molte
dimenticanze. In questo modo si fanno tacere i fatti.

La struttura della chiesa
Non voglio certo negare la generosità dell’uomo Karol Wojtyla e le sue
intenzioni sincere. Non stiamo parlando di questo. La sua attuale sofferenza
(a parte l’uso interessato e perverso che ne fa l’istituzione ecclesiastica)
ci inclina al rispetto. Anzi, di Wojtyla mi è sempre piaciuta la passione,
anche se quasi sempre essa è stata contaminata da una cultura del dominio e
della spettacolarità.

I fatti ci dicono che in questi 25 anni il papa ha cambiato tutta la
gerarchia, ma soprattutto ha azzerato la collegialità, soffocandola sotto la
sua immagine imperiale onnipresente e sotto una curia vaticana onnipotente.
I vescovi sono stati ridotti a “caporali di giornata” perché il minimo
sgarro può segnare la destituzione, l’accantonamento o il prepensionamento.
Gli ultimi “frammenti” del Concilio sono stati sepolti sotto una montagna di
documenti vaticani.

Su questioni vitali per la testimonianza del Vangelo nel mondo di oggi
(bioetica, etica sessuale, femminismo, ministero delle donne, possibilità
delle seconde nozze, omosessualità, celibato dei preti, innovazioni liturgic
he …) questo papato ha avuto l’arroganza di porsi come detentore della
verità, lasciando in eredità una serie di pronunciamenti che potranno
degnamente figurare nell’albo familiare del “cristianesimo criminale”.

Ha avuto la spudoratezza di presentare come modello, di proclamare “santo”
Escrivà De Balaguer, un uomo autoritario, amico della dittatura,
sessuofobico. Non parliamo poi di ecumenismo: si dialoga con tutti, ma da un
trono sopraelevato. Il papato ha dovuto necessariamente “rifare i conti” con
l’ebraismo, con l’Olocausto, con l’islam e le religioni asiatiche. Tutto è
avvenuto con toni e linguaggi diplomatici, ma con l’incessante e sottile
richiamo alla indiscussa “supremazia cattolica”. La teologia della
compagnia, del “camminare alla pari” è stata totalmente disattesa. Così pure
questo papato è giunto alla scomunica ufficiale (si pensi al caso del
teologo Tissa Balasuriya) e alla defenestrazione sistematica di teologi, di
preti, di operatori pastorali mentre ha promosso ai massimi livelli della
curia romana un cardinale come Pio Laghi, grande collaboratore nello
sterminio di giovani argentini invisi alla dittatura.

Il sospetto per la libertà di ricerca e di espressione ha determinato un
atteggiamento sacrale (il sacerdozio al centro della chiesa) e
tradizionalistico, sopprimento la ricca pluralità della tradizione
cristiana. Insomma… la “struttura wojtyliana” della chiesa ha prodotto
un'amara macedonia, una velenosa miscela di patriarcalismo, di
sessuofobia-omofobia, di sacralità, di repressione, di oscurantismo. Né
possono bastare solenni confessioni dei peccati passati come “captatio
benevolentiae” se poi non avviene una reale conversione.

Non si dica che ci vorrà un altro papato per riparare i guasti di questo
“papa re e imperatore”. Potremmo trovarci qualche brutta sorpresa nei
prossimi mesi. Il gioco della successione è in atto e non promette nulla di
buono. Ma non spendo la mia speranza nel cambiamento del timoniere. Ci vuole
ben altro: è necessaria, a mio avviso, una generazione di donne e di uomini
che prendano in mano la gestione della propria fede, senza più attendere il
permesso, l’autorizzazione o la benedizione della casta gerarchica. Da oggi,
senza attendere un miracoloso domani.

Il mito del papa della pace
Questa è l’ultima favola: Wojtyla eroe della pace. Non mi sembra che un
papato di pace avrebbe diviso la chiesa in chi è dentro e chi è fuori, in
ortodossi e in eretici, in “naturali” e “contro natura”, in buoni e cattivi,
in maschi che possono esercitare il ministero e in donne che debbono
servire, in clero che comanda e laici che obbediscono… Non solo: un papa di
pace non avrebbe toccato la mano, dato la comunione e benedetto un tiranno
assassino come Pinochet.

Gesù, quando incontrava i potenti, parlava chiaro. Se tutti ora partecipano
ai festeggiamenti per questi 25 anni di pontificato, è perché, tutto
sommato, anche i più criminali non si sono sentiti profeticamente attaccati
ed evangelicamente sconfessati dalla retorica papale… A Gesù i potenti hanno
fatto ben altri festeggiamenti a Gerusalemme e sul Calvario.

Restano le parole del papa nel corso dell’ultima guerra. Parole decantate da
tutti come “straordinaria profezia di pace”. Il convegno annuale di
“Missione Oggi”, mensile dei saveriani, svoltosi a Brescia il 17 maggio, ha
analizzato le dichiarazioni delle gerarchie cattoliche sulla guerra. Le
conclusioni sono chiare: le gerarchie cattoliche non sono pacifiste.

L’agenzia Adista, in data 7 giugno 2003, riporta le affermazioni di Massimo
Tosco, uno studioso non sospetto: “Se le chiese non vogliono sfigurare il
Vangelo devono testimoniare con forza la pace, senza addentrarsi in
improbabili distinzioni, dalla legittima difesa alla necessità di disarmare
i dittatori. Le gerarchie ecclesiastiche all’inizio non erano contro la
guerra, ma solo contro la guerra preventiva. E anche successivamente, quando
hanno 'radicalizzato' le loro posizioni, non sono mai riuscite a dire no
alla guerra in quanto tale: basta leggere le dichiarazioni e gli interventi
del card. Ruini, o i documenti delle associazioni e dei movimenti ecclesiali
benedetti dalla Conferenza episcopale italiana come le Sentinelle del
mattino” (cfr. Adista 25 e 28/03). Lo stesso Giovanni Paolo II, secondo
Toschi,è su questa linea: “Il papa non ha mai pronunciato un no alla guerra
'senza se e senza ma'; ha invece sempre arricchito i suoi discorsi di
sottili distinzioni ispirate alla dottrina della guerra giusta, come in
occasione del discorso agli ambasciatori accreditati in Vaticano” (cfr.
Adista 7/03). La novità sorprendente è che, “nonostante queste distinzioni,
le parole del papa sono state interpretate come un no secco alla guerra dai
cattolici, che non hanno tenuto in nessun conto i concetti della legittima
difesa o della necessità di disarmare l’aggressore. Hanno invece, con molta
semplicità, interpretato il Vangelo dalla parte delle vittime”, facendo
passare anche il papa per un pacifista assoluto, il che non è vero.

La speranza che non muore
Oltre le ambiguità e i disastri di questo papato, resta intatta la speranza.
La chiesa imperiale e il cristianesimo del potere sono giunti al capolinea.
Le televisioni di tutto il mondo riempiranno gli schermi e diffonderanno
ovunque le immagini di un funerale faraonico e di un conclave sacro e
storico. Sarà uno spettacolo di grande smalto e di catturanti emozioni.
Solenni liturgie in cui i grandi della terra faranno adeguata comparsa. I
gerarchi vaticani, nelle loro porpore, annunceranno al mondo che lo Spirito
Santo ci regala un nuovo “vicario di Cristo” mettendo sul conto di Dio la
perpetuazione di una istituzione mondana e oppressiva come il papato.

Sono sicuro che anche nel cuore di qualche cardinale si fa strada una
profonda inquitudine. Bisogna sempre ritornare a Nazareth, sui sentieri del
Nazareno, riprendere il suo messaggio e il suo progetto di semplicità, di
amore e di giustizia. Il resto appartiene alla storia dei potenti.

Pinerolo, 16 ottobre 2003

Franco Barbero
Associazione Viottoli - Comunità cristiana di base
c.so Torino 288 10064 Pinerolo (To) -- fax 01214431148
info@viottoli.it -- http://www.viottoli.it

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