mercoledì 22 febbraio 2012

La parola scusa.... un dovere!


E adesso fate come Roberto Saviano: chiedetegli scusa. Undici mesi inchiodato all’infamante croce di sindaco amico dei boss, quando in realtà la camorra sosteneva altri politici.
Marchiato a fuoco dalle invettive dello scrittore di «Gomorra» che, però, di fronte all’evidente inconsistenza dei fatti da lui stesso raccontati, ha dovuto fare marcia indietro e ammettere l’errore. Arrestato e trattato come un appestato, con una carriera politica ridotta a brandelli e un’amministrazione comunale sciolta per un’infiltrazione mafiosa che non esiste.
Questo ed altro è capitato a Giorgio Magliocca, primo cittadino Pdl di Pignataro Maggiore, un Comune del Casertano. Le carte giudiziarie e i verbali dei pentiti lo descrivevano come un delinquente matricolato dalla faccia pulita, almeno fino a un minuto prima che il gup De Gregorio demolisse con una assoluzione piena il castello di congetture della Procura antimafia di Napoli. Il pm aveva chiesto sette anni e mezzo di carcere, ma per il giudice l’ex primo cittadino Magliocca è innocente. Sono parole campate in aria quelle contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che lo vogliono «asservito ai desiderata del clan camorristico locale, un sodalizio criminale agguerritissimo, protagonista di delitti efferati, la cui pericolosità resiste agli interventi giudiziari e grazie al quale il Magliocca ha potuto vincere ripetute competizioni elettorali». Anzi, tutta l’inchiesta è campata in aria.
E allora, uno dopo l’altro cadono i tasselli dell’accusa: non è vero che l’ex sindaco favorì i «picciotti» della cosca Ligato-Lubrano (collegata a Cosa Nostra) dandogli campo libero per devastare i beni confiscati che dovevano essere destinati a fini sociali. Non è vero che era in rapporti con il boss Raffaele Ligato che, addirittura, denunciò il sindaco alla stazione dei carabinieri perché si sentiva diffamato dai controlli dei vigili sul racket delle luminarie. E non è vero che Magliocca promise appalti e finanziamenti pubblici ai tagliagole casertani in occasione delle elezioni del 2002 e del 2006. È vero, invece, che chi lo accusava – tra cui il suo principale antagonista politico – ha mentito, denunciando di averlo visto a fantomatiche cene con padrini che, invece, marcivano in carcere, e indicandolo come candidato di un clan che, al contrario, appoggiava l’uomo del centrosinistra.
«Chi combatte la criminalità può essere ucciso in due modi: con le pallottole o con il fango», ha commentato oggi Magliocca. «Ho denunciato appalti assegnati ai parenti del boss stragista del clan dei casalesi, Giuseppe Setola, ho sempre agito per il rispetto delle regole e della legalità, soprattutto sul fronte del riutilizzo dei beni confiscati, e me l’hanno fatta pagare così, con la calunnia. Sono intristito che la mia vicenda giudiziaria sia stata strumentalizzata dal Pd per colpire l’onorevole Mario Landolfi e il sindaco di Roma Gianni Alemanno, con cui ho collaborato e che mi sono sempre stati vicini». L’ex sindaco era stato assolto, nel novembre scorso, anche dall’accusa di corruzione e voto di scambio e solo da qualche settimana aveva lasciato il carcere, dov’era entrato nel marzo 2011, per i domiciliari.
Nel 2003, l’eroe dell’antimafia di carta Saviano aveva dedicato a Magliocca, sul settimanale «Diario», uno sprezzante articolo in cui gli contestava gli stessi inesistenti reati che gli sono costati la galera, scrivendo addirittura che il padrino di Pignataro lo aveva redarguito, davanti a tutti, perché era venuto meno agli impegni presi. Messo alle strette dalla querela per diffamazione e dalle testimonianze degli investigatori, che smentivano la ricostruzione dello scrittore che, nel 2009  aveva ripreso carta e penna per scrivergli una lettera di scuse che si concludeva così: «A riprova della mancanza di qualsivoglia volontà offensiva nei Suoi confronti – aveva scritto Saviano – Le esprimo sin d’ora la mia disponibilità a prendere parte a un incontro sulla criminalità organizzata in Campania, da Lei organizzato, con la sola irretrattabile condizione che sul palco ci siano soltanto giornalisti».  (tratto da Il Giornale)



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