lunedì 4 novembre 2024

La Grande Ambizione

 


Entrando nella sala del Cinema Tibur a San Lorenzo, pensavo di trovarmi dinanzi all’ennesima pellicola veltroniana: banale, antistorica e vomitevolmente liberale.


Non è stato così e ne sono felice.


La Grande Ambizione è un film in parte sì biografico, ma profondamente politico e con una componente divulgativa di non poco conto. Il non vedere una revisione “alla PD” della figura del più popolare segretario del PCI mi ha piacevolmente sorpreso e l’interpretazione di Elio Germano è stata davvero convincente. La chicca sarebbe stata vedere Fabrizio Gifuni nel ruolo di Moro, come in Esterno Notte, ma va bene così.


Il film ripercorre gli anni forse più importanti della segreteria Berlinguer, quelli tra il 1973 e il 1978. Gli anni del Cile, dello strappo con Mosca, del Compromesso Storico e della grande avanzata comunista alle elezioni. Il 1973 è un anno particolarmente decisivo per Berlinguer. L’11 Settembre dello stesso anno un golpe militare, finanziato e supportato dalla CIA, portava alla morte di Salvador Allende, il primo socialista ad essere arrivato al potere tramite le elezioni e non tramite un processo rivoluzionario. Il fatto che una coalizione socialista e comunista democraticamente eletta fosse soggetta di un colpo di stato così violento ha legittimamente aperto in Berlinguer una riflessione, dato che il PCI era il partito comunista più grande dell’occidente.


La paura, del tutto giustificata, di uno scenario cileno in Italia alla possibile vittoria elettorale del PCI, ha convito Berlinguer della necessità di una linea politica nuova che permettesse di scongiurare il pericolo di una dittatura militare e allo stesso tempo non congelasse permanentemente il ruolo politico del PCI come eterna opposizione. L’articolo apparso su Rinascita il 12 Ottobre 1973 parla apertamente di alleanza popolare tra forze politiche egemoni nel paese, sia comuniste che di ispirazione cattolica. Le basi del compromesso storico. Si apre qui il capitolo dei rapporti con l’Unione Sovietica. Negli anni 70 il socialismo era in crescita in molte parti del mondo, le lotte anticoloniali e antimperialiste in Asia, Africa e America Latina erano in una delle loro più alte fasi.


Allo stesso tempo, soprattutto dopo l’intervento in Cecoslovacchia, l’Unione Sovietica di Brežnev era entrata in una fase di immobilismo politico, dove la preservazione del presente, nell’ottica della Guerra Fredda, vedeva come pericolose le iniziative di rinnovamento del socialismo, anche da posizioni coerenti. Nelle scene del colloquio con il presidente bulgaro Živkov e il seguente attentato dove Berlinguer quasi perse la vita, è sintetizzato bene il momento politico e ideologico che viveva il blocco socialista. L’URSS preferiva mantenere un certo controllo sui partiti comunisti occidentali e di questi il PCI era il più importante. Berlinguer aveva bisogno di un PCI più autonomo dal PCUS per attuare la linea politica dell’alleanza tra forze popolari per un governo di unità nazionale in Italia. Una prospettiva che non piaceva affatto a Mosca.


 


È importante però non farci prendere da un antisovietismo isterico, perché delle basi politiche sull’avversione della partecipazione dei partiti comunisti ai governi liberali sussistevano ed erano forti. Per i sovietici il golpe cileno era del tutto normale nell’ambito del blocco occidentale. Difatti per i comunisti sovietici la presa del potere attraverso le elezioni in paesi liberali non era possibile, in quanto il potere liberale avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di impedirlo e il Cile stava lì a dimostrarlo. Nonostante le criticità di quell’Unione Sovietica in quel contesto storico, le modalità di presa del potere per l’istituzione del socialismo era nei fatti uno delle più grandi e vere divergenze tra il PCUS e il PCI. Una divergenza politica, non una fantasiosa questione tra “buoni” e “cattivi”.


Il film di Segre, con grande accuratezza, ci offre un’ulteriore spunto di riflessione su cos’era il PCI per gli italiani. Numerose scene fanno rivivere la stretta connessione tra le classi popolari e il Partito Comunista Italiano, un rapporto così forte da poter essere considerato la vera forza del partito, che ha permesso conquiste e lotte che oggi, dopo l’assassinio del PCI nel 1989, sono state cancellate anche dagli stessi che uccisero il partito e con sé il rapporto con i lavoratori. Il PCI di Berlinguer generò quella straordinaria onda rossa del 1975 e del 1976 non perché si sia “staccato” dall’URSS o per una fantasiosa “eterodossia”, ma perché il PCI era l’organizzazione di massa che fungeva da minimo comun denominatore delle lotte, che garantiva unità e forza ai lavoratori.


“Compagno segretario, pensavamo di occupare la Tiburtina. Cosa ne pensi?”


“Occupate, il partito vi sarà accanto.”


Questo era il PCI e questo film distrugge la visione falsa che ci hanno propinato Veltroni e la sua cricca, per la quale sarebbe stata la “liberalizzazione” di Berlinguer a rendere forte il partito. Si badi, di critiche al PCI se ne possono fare e non poche, ma è profondamente sbagliato addossargli una veste borghese, tutt'al più se questo serve a dare giustificazioni politiche a tutta quella galassia extra parlamentare che ha sempre avversato il PCI, per nascondere o sminuire i propri fallimenti. La verità della storia è che nessuno si avvicina minimamente al ruolo di organizzatore unitario dei lavoratori che ha avuto il PCI.


Elio Germano interpreta molto bene la consapevolezza che Enrico Berlinguer aveva riguardo la responsabilità che il Partito Comunista Italiano aveva nei confronti dei lavoratori italiani. Una responsabilità politica che non lasciava spazio ad una purezza che non si interroga mai sulla realtà in cui si muove e gioca un ruolo meramente artistico nella politica. Il PCI non era un partito “perfetto”, molti errori sono stati fatti, a partire dal non aver agito per annientare tutte quelle correnti che aspettavano da sempre il momento buono per poter trasformare il partito e farsi aprire le porte del potere liberale del governo, senza più essere una alternativa ma solo uno dei tanti partiti di sistema. Colpe gravi che incidono ancora oggi e che assieme ad altre hanno contribuito alla polverizzazione attuale della sinistra italiana, comunista e non.


Berlinguer legittimamente, con un forte senso della realtà, ha tentato di costruire una via democratica alla presa del potere da parte dei comunisti in Italia. Una necessità storica che non poteva essere elusa. La reazione, nel finale del film, alla morte di Aldo Moro, è esemplificativa di come Berlinguer abbia preso coscienza che le sue paure riguardo l’impossibilità dell’opzione democratica. Nonostante i fortissimi dubbi e la mancanza di ingenuità, Berlinguer si è scontrato con una verità che per molto tempo era solo sventolata e mai vista all’opera in un paese come l’Italia, formalmente democratico e con una Costituzione antifascista. Il capitale non ha interesse nella democrazia se essa si contrappone al suo dominio. La via democratica all’alternativa non esiste nel mondo liberale. Questa forse è il più grande messaggio del film, è stata davvero una Grande Ambizione e nessuno dovrà mai chiedere scusa per questo.

Nicolò Monti

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