-Gea Ceccarelli- Oggi il suo nome torna a far discutere, negli ambienti dell'antimafia. Lui, Arnaldo La Barbera il questore di Palermo più volte minacciato dalle cosche, nemico di Cosa Nostra, collaboratore del Sisde, sarebbe stato implicato nei più loschi giochi di potere del biennio stragista.
"Era nelle mani dei Madonia", ha raccontato nella giornata di ieri il collaboratore di giustizia Francesco Onorato, interpellato nell'ambito del processo Borsellino Quater. Pentitosi nel 2006, ha rivelato dettagli fin'ora sconosciuti in merito al ruolo che giocò il superpoliziotto nel biennio delle stragi e oltre, quando La Barbera era titolare delle indagini sugli attentati a Falcone e Borsellino. Fu lui a trovare il colpevole perfetto, per via D'Amelio: Vincenzo Scarantino.
"All'interno delle celle dell'Ucciardone, a Palermo, i boss si mettevano a ridere commentando il modo in cui, a processo, venivano messi imputati persone fuori diCosa nostra”, ha rivelato Onorato, ascoltato dai giudici. "La Barbera c'ha i corna dure, riesce a portare in una strada diversa questa indagine" sostenevano i capimafia in carcere.
“Quando Scarantino collaborava", ha aggiunto Onorato, "si parlava di questo sia con Pino Galatolo che con qualche altro uomo d'onore". Si diceva "che La Barbera usava lo Scarantino per parare altre persone, portando una strada diversa da quella che poi realmente era. Eravamo nella stessa sezione nel '95-'96 io e Pino Galatolo, fratello di Enzo e rappresentante della famiglia dell'Acquasanta”.
Prima di adesso, il collaboratore non aveva mai accennato ad alcun nesso tra La Barbera e Scarantino.“Me ne sono ricordato un anno e mezzo fa. Poi quando uno ha occasione di parlare ne parla…”.
E l'ha fatto, aprendo nuovamente il capitolo di La Barbera "dominus" del più grande depistaggio sulle stragi di mafia di cui si abbia memoria. Un depistaggio che aveva già denunciato, ai tempi, Giovanni Brusca: "Mi hanno detto che una notte prelevarono Scarantino dall'Asinara, lo caricarono su un elicottero e, sorvolando il Tirreno, minacciarono di gettarlo giù”, raccontò. “A bordo di quell’elicottero c’era il dottore La Barbera”, aggiunse.
Scarantino stesso, negli anni, ha avuto modo di denunciare le vessazioni a cui era stato sottoposto per addossarsi la responsabilità della strage. "A me a Pianosa mi fanno urinare sangue, mi facevano delle punture di penicillina, mi stavano facendo morire…". Secondo i suoi racconti, a sottoporlo alle torture era proprio La Barbera, per convincerlo a dichiarare il falso.
Lo fece. Si accusò e altri sette innocenti vennero condannati per la strage di via D'Amelio. Poi arrivò Gaspare Spatuzza e riaprì, di fatto, le indagini. I sette vennero assolti, il castello di carta crollò. I colpevoli erano ancora sconosciuti e si dovette riprendere con la ricerca della verità.
Quella che cercano ancora adesso i giudici nisseni. La Barbera, ha raccontato loro il collaboratore di giustizia, "non lo volevano toccato". Neanche quando "aveva voltato le spalle a Cosa Nostra": a quel punto, infatti, Salvatore Biondino, reggente di San Lorenzo, chiese di eliminare il questore: "Aveva ammazzato due rapinatori mentre nessuno si poteva permettere, all’infuori di Cosa nostra, di uccidere a Palermo, neanche un poliziotto". Era l'estate del '92 e, a vedersi incaricato dei pedinamenti a La Barbera era stato proprio Onorato. I Madonia, però, si opposero, e tutto saltò.
Le dichiarazioni di Francesco Onorato si configurano fondamentali, nella ricostruzione del vero volto di La Barbera. Impossibile, infatti, dimenticare come lo stesso collaboratore, partecipò all'assassinio di Emanuele Piazza e al fallito attentato all'Addaura. In entrambi i casi, il nome del superpoliziotto rispunta, ora con fattezze inquietanti.
In merito all'attentato a Falcone, è necessario chiamare in causa l'ex boss di AltofonteFranco Di Carlo: secondo le sue ricostruzioni, infatti, la primavera antecedente a quel 21 giugno '89, si trovava in carcere in Inghilterra. Qui, lo raggiunsero uomini dell'intelligence per domandargli un aiuto per "far allontanare il giudice da Palermo, dove stava facendo troppi danni". Tra i presenti, anche La Barbera: "lo riconobbisuccessivamente, vedendo la foto sui giornali; era il capo della Mobile di Palermo."
Ed è necessario anche ricordare come, poco tempo dopo il fallito attentato, vennero uccisi in circostanze misteriose i due cacciatori di latitanti Emanuele Piazza, al cui omicidio partecipò appunto Onorato, e Nino Agostino. Il secondo, in particolare, venne freddato assieme alla moglie incinta mentre stava indagando sui candelotti di esplosivo ritrovati sulla spiaggia di fronte alla villa di Falcone. Subito si parlò di undelitto passionale. La pista venne avallata anche da La Barbera. Fu il pentito Oreste Pagano, a raccontare un'altra versione: Agostino era stato eliminato perché “aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della questura”.
Chi siano questi “componenti” non è dato saperlo: certo è che subito dopo l’assassinio dell’agente, La Barbera inviò un suo uomo di fiducia a compiere una perquisizione non autorizzata in casa della vittima, facendo sparire documenti che Agostino stesso aveva indicato come importanti al fine dell’emersione della verità.
Nello stesso periodo, il capo della Mobile era anche il responsabile della sicurezza di Falcone. A lui si rivolgevano gli uomini della scorta del giudice, per chiedergli di rafforzare i sistemi di sicurezza, di adeguare le misure. "Ricevevamo sempre risposte negative, era come sbattere contro il muro", ha raccontato Luciano Tirindelli, scampato all’eccidio di Capaci. Tanto più che il 23 maggio del '92, Falcone saltò in aria.
Il 19 luglio successivo toccò a Borsellino.
La verità è ancora tutta da scrivere, ripartendo proprio da La Barbera.
http://www.articolotre.com/2014/10/via-damelio-scarantino-e-la-barbera-onorato-il-questore-era-uomo-dei-madonia/
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