mercoledì 1 ottobre 2014

In 30 per l’addio al generale Delfino
la rabbia dei figli


Il figlio: «Mi meraviglio che il comandante dell’Arma non abbia mandato nemmeno un biglietto di condoglianze». Il parroco nell’omelia: «Nell’ultima confessione mi ha ribadito che la sua coscienza era pulita»

di Pino Casamassima





foto Cavicchi
foto Cavicchi

Si sono svolti in maniera quanto mai sobria i funerali dell’ex generale Francesco Delfino, scomparso due giorni fa dopo una lunga malattia, a Santa Marinella, sul litorale romano, dove risiedeva da tempo in una struttura per anziani. È così calato il sipario su una figura controversa, salita prima ai massimi onori, e poi finita nel fango. Un’escalation che, partendo dalla natìa Platì, in Calabria, l’aveva proiettato nel firmamento dell’Arma dei carabinieri attraverso più azioni: dal caso Calvi, all’arresto di Totò Riina, dalla lotta alla sovversione armata delle Brigate rosse, a quella dell’eversione neofascista, passando per la strage di Brescia. Poi, nel 1997, viene rapito l’industriale Giuseppe Soffiantini, e gli avvenimenti successivi avrebbero precipitato il generale nella disgrazia professionale e morale: tre gradi di giudizio accerteranno infatti la sua truffa ai danni della famiglia dell’industriale manerbiese.

In 30 ai funerali del generale Delfino

In 30 ai funerali del generale Delfino

In 30 ai funerali del generale Delfino

In 30 ai funerali del generale Delfino


Un miliardo di lire dell’epoca raccolti per la liberazione del congiunto. A distanza di anni, Soffiantini ha ribadito che di Delfino lui non s’era mai fidato, forse anche per quel che gli aveva confidato la moglie di suo figlio Carlo: quella Ombretta Giacomazzi che aveva incrociato la strada dell’ancora capitano Delfino all’epoca della strage di Brescia. Dai familiari di Soffiantini, a quelli di Delfino le cui ceneri, dopo i funerali, hanno preso la via di Rho, dove l’ex generale aveva messo su famiglia dopo che nel 1957 aveva conosciuto e sposato Carla Valsesia, un’insegnante di lettere. Ed è il comprensibile amore familiare a far parlare i figli Stefania e Carlo, che nel giorno dell’estremo saluto al padre hanno duramente commentato l’assenza dello Stato e dell’arma dei carabinieri. Fra le poche persone presenti - non più di una trentina - solo tre carabinieri, e tutti in forma privata: due suoi ex colleghi in pensione, e il comandante della locale stazione dei carabinieri. 
«Mi meraviglio - ha detto Andrea Delfino - che il generale Gallitelli, comandante generale dell’Arma, non abbia avuto la sensibilità di mandare nemmeno un biglietto di condoglianze: sarebbe stato un atto doveroso nei confronti di chi ha speso tutta una vita per lo Stato».

Sua sorella Stefania rincara la dose, ricordando come il lavoro di suo padre sia servito per assicurare alla giustizia terroristi e mafiosi. E a una precisa domanda sui segreti e i misteri che l’ex generale avrebbe preferito portare con sé, ha escluso che potessero essercene. Per quanto riguarda la strage di piazza Loggia, Stefania ha sottolineato che suo padre ne era uscito assolutamente pulito: «È stata riconosciuta la sua trasparenza. Con tutte le sue forze ha sempre e solo servito uno Stato che nemmeno umanamente ha voluto rendergli onore, latitando sia durante il corso della malattia, sia in questa giornata». A testimoniare che Delfino si è accomiatato dalla vita senza nessuna macchia sulla coscienza, anche don Augustim Barbut, il parroco romeno della Parrocchia di Santa Marinella, che durante l’omelia funebre ha rivelato come nell’ultima confessione l’ex generale gli avesse voluto ribadire che la sua coscienza era pulita, e che a giudicare le azioni da lui compiute nel corso di un’intera vita sarebbe stato non un giudice, ma il Giudice: quello supremo e - soprattutto - infallibile. Una delle azioni molto umane dell’ex generale è un solido edificio che sarebbe stato costruito con i soldi del sequestro Soffiantini: una villa a Meina, sul lago Maggiore. Per quei soldi i giudici condannarono l’ex generale, mettendo sia l’Arma dei carabinieri, sia lo Stato nella condizione di prendere le distanze da chi - oltre a servirli - se n’era servito. 

http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/14_settembre_06/30-l-addio-generale-delfino-rabbia-figli-f70aed0a-35e0-11e4-bdcf-fc2cde10119c.shtml

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