sabato 4 ottobre 2014

Il detenuto più "pericoloso"? E' quello che conosce e sa far valere i suoi diritti.


Un mio articolo pubblicato la settimana scorsa su "Gli Altri" e citato dalla rassegna stampa di Radio Radicale.

                        

Ce lo chiede l'Europa", il mantra che i tutti i Governi che sono succeduti usano per giustificare le politiche di "lacrime e sangue". Questa è l'Europa del mercato unico, dei tecnocrati e dell'esautorazione del potere politico al quale gli rimane esclusivamente la gestione repressiva dello Stato.
La crisi democratica è evidente, e per questo come reazione aumentano i nazionalismi e populismi di matrice xenofoba e securitaria.

Ma c'è anche l'altro volto dell'Europa che mira però a difendere la concezione del diritto, e per questo, attraverso la Corte di Strasburgo, ci bacchetta e condanna in continuazione. In questo caso i nostri governanti, per questioni vigliaccamente elettorali, fanno orecchie da mercante o, nel caso migliore, prendono provvedimenti insufficienti.

Adriano Sofri , in un suo prezioso scritto, cita un'intervista apparsa su Le Monde nei confronti di Jean-Marie Delarue, "Controllore generale dei luoghi di privazione della libertà", carica istituita in Francia nel 2008 (in Italia ancora stiamo aspettando l'istituzione del garante nazionale dei detenuti).
Illustrandone il sesto rapporto, all'ultimo anno del suo mandato, Delarue spiega che il detenuto che oggi "bisogna far tacere a tutti i costi" è il "procedurista", quello deciso a far uso di tutte le procedure, consentite dalla legge, quello che presenta esposti e denunce contro tutto ciò che nella condizione del carcere viola i suoi diritti.

In Italia, grazie soprattutto agli interventi dei Radicali, alcuni detenuti hanno imparato ad utilizzare l'arma non violenta: quella di rivendicare i propri diritti attraverso le vie legali. Sono loro i più pericolosi per il sistema visto che riescono a colpire la parte più sensibile dello Stato: i soldi dei contribuenti. E grazie alle loro denunce, il problema vergognoso delle nostre carceri è diventato una questione europea.

In questo mese c'è una scadenza importante perché il 28 maggio termina l'anno concesso all'Italia dalla stessa Corte di Strasburgo per cancellare la condizione "inumana" delle sue 205 carceri. Nel maggio 2013 la Cedu aveva condannato l'Italia a risarcire con 100 mila euro ben sette detenuti a Busto Arsizio e a Piacenza, sottoposti a "condizioni inumane e degradanti, e assimilabili alla tortura": i reclusi disponevano di soli 3 metri quadrati a testa.

L'allora governo italiano riuscì ad ottenere una proroga ottenendo la sospensione di altri 8mila ricorsi pendenti contro il sovraffollamento. Ora il tempo è scaduto e i dati sono sconfortanti visto che i decreti contro il sovraffollamento sono stati insufficienti (altro che svuota carceri come paventavano i giustizialisti creando allarmismo in cattiva fede) e recentemente il Consiglio d'Europa ha denunciato che l'Italia, quanto a sovraffollamento, è seconda solo alla Serbia.

Questa è la nostra situazione vergognosa del sistema carcerario, e se vogliamo evitare l'ulteriore condanna (che ci andrà a costare dai 100 ai 300 milioni di euro) l'unica strada immediata è quella di varare l'amnistia e l'indulto, accompagnandoli con riforme strutturali: quando una situazione è in stato comatoso, prima si pensa a salvare la vita (amnistia) e subito dopo la terapia (riforme). Ma il Governo Renzi non lo farà mai, soprattutto quando c'è un'altra imminente scadenza: quella elettorale. E si sa, difendere le condizioni inumane delle persone confinate nelle celle, non porta voti.

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