domenica 23 marzo 2014

Perché i banchieri non vanno mai in prigione?

Perché i banchieri non vanno mai in prigione?

Davvero interessante l’articolo, pubblicato dal sito Basta!, di Eric Toussaint, ricercatore presso l’Università di Liegi e presidente del Comitato per l’annullamento del debito del Terzo mondo (CADTM). L’accademico belga si pone una domanda alla quale sembra difficile rispondere in maniera sensata, soprattutto in tempi di sfiducia e di magra come questi: “Perché le banche sono troppo potenti per essere condannate quando violano la legge?”.  

Toussaint sostituisce il vecchio adagio “Too Big To Fail” di bushiana memoria con un ironico “Too Big To Jail”, ovvero “Troppo grandi per andare in galera”. L’invito del professore, rivolto ai governi di tutto il mondo, è quello di punire i responsabili della crisi economica globale del 2008, la truppa di banchieri e finanzieri che si sono arricchiti con le disgrazie altrui: “È vero, il governo statunitense ha lasciato fallire Lehman Brothers, ma non ha chiuso nessun’altro istituto d'affari, non ha ritirato alcuna licenza bancaria, infine non ha smantellato per via giudiziaria i nuclei di potere presenti all’interno delle cerchie finanziarie”. Nessuno in Occidente ha preso decisioni di questo tipo, esclusa l’Islanda, che ha condannato (a pene relativamente esigue, per un massimo di cinque anni) Larus Welding, Sigurdur Einarsson e Hreidar Mar Sigurdsson, responsabile del tracollo bancario dell’isola.

La lista dei crimini perpetrati dagli sciacalli della finanza è molto lunga e comprende reati di vario tipo, dalla truffa al riciclaggio di denaro sporco, dalla frode fiscale in larga scala alla manipolazione concertata dei tassi d’interesse (Euribor, Libor ecc.). Nel giugno 2013, il procuratore generale degli Stati Uniti Eric Holder, interrogato da una commissione del Senato, ha ammesso candidamente che “le banche e gli istituti finanziari sono difficili da perseguire a causa della loro grandezza. D’altra parte – ha continuato Holder – è impossibile incolparli anche con prove a carico, poiché punirli significherebbe avere forti ripercussioni negative sull’economia nazionale”.

Toussaint poi spiega come le banche agiscano spesso in bande organizzate (o cartelli), abusando del loro potere intriso di cinismo. L’esempio calzante è quello della banca svizzera UBS – istituto simbolo del segreto bancario – che protegge gelosamente da anni i nominativi dei suoi clienti, ostacolando in questo modo gli sforzi dei governi (pochi, in realtà) per combattere l’evasione fiscale internazionale. Ma è noto come le banche non vadano fisicamente nei tribunali, perché fanno ricadere la responsabilità dei loro misfatti sulle vittime di turno, i trader. Infatti gli alti dirigenti, in caso di palese e accertata violazione, sono si costretti a lasciare il loro incarico ma non sempre sono tenuti ad affrontare un processo vero e proprio.

Il docente belga conclude il suo intervento elencando delle specifiche richieste che mettano fine alla disparità di trattamento davanti alla giustizia di un cittadino comune e di un banchiere spregiudicato: “Bisogna essere radicali con i colpevoli: ritirare le licenze d’esercizio agli istituti di credito incriminati, vietare alcune operazioni finanziarie rischiose, perseguire secondo la legge i dirigenti e i grandi azionisti”. 

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6664&pg=7206

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