La logica del copyright è ormai decotta
La tentazione di considerare il free software e l’open source come metafore della società è forte. Il modo con il quale le logiche del profitto e del dominio abbracciano il web è noto, ma sappiamo bene che esistono anche gli spazi che consentono a chiunque di riutilizzare, condividere e adattare contenuti e programmi grazie alle organizzazioni di free software. Così come per resistenza nella sempre più violenta crisi economica globale si diffondono sacche di autogestione e solidarietà inedita anche gli utenti del web si allontanano dai sistemi di produzione e distribuzione basati sulle relazioni di mercato. In qualche modo le difficoltà incontrate dalla dittatura del profitto nel controllare il web hanno anticipato le rotture con il liberismo, le sperimentazioni di cooperazione diffuse, anche se poco visibili, in altri pezzi di società. Se davvero «la logica del copyright è ormai decotta», come sostiene Davide Lamanna della cooperativa romana Binario etico in questa intervista, allora le ragioni della speranza, nonostante le crisi in atto, ci sono tutte.
Davide, la prima domanda è inevitabile: come vivono le imprese che si occupano di software libero le crisi in atto?
Penso che le imprese che operano nel frees software abbiano risentito meno della crisi, che ha investito tutti i settori dell’economia. Anche il settore dell’Information Technology, generalmente più vivace, ha segnato il passo. La flessione non si riscontra, però, per chi fa free software. Questo non tanto per via della gratuità dei mezzi di produzione, cioè il software, quanto piuttosto per l’innovazione che queste imprese sono state in grado di esprimere. La logica del copyright è ormai decotta. Il free software la sovverte utilizzando il copyright stesso per affermare la volontà dell’autore di software di diffondere le proprie opere liberamente e non quella di terzi, che ancora pretendono anacronisticamente di gestirla! La condizione affinché ciò avvenga è che sia mantenuta inalterata la modalità di diffusione aperta e libera, nel passaggio di mano in mano. In altri termini, chiunque è invitato ad usare e modificare nel modo che più ritiene opportuno i software, purché nessuno provi a fare il furbo, imponendo la chiusura anche solo ad alcune sue parti, modificate o meno. In questo modo il software ha la possibilità di moltiplicarsi, arricchirsi, migliorarsi, fondersi a decine dimigliaia di altri software e diventare un bene comune all’insegna dell’abbondanza e non della scarsità, come avviene nell’economia capitalistia. Ciò che le imprese vendono è il servizio ad esso associato, per chi non ha le capacità o il tempo per occuparsene in proprio. La potenza scatenata da questo modello è formidabile, ha creato le condizioni per una rivoluzione che sta smottando via gigantesche fette di economia della rendita e ha aperto la strada al proliferare di esperienze economiche locali, dinamiche e vincenti, anche in tempo di crisi.
Ci spieghi in parole semplici se ci sono proposte economiche e politiche da adottare a livello locale o nazionale per sostenere il vostro settore?
Certamente. Sono ormai più di dieci anni che nella Pubblica Amministrazione si parla di introduzione di open source e free software. Ormai non è più un dibattito, ma un dato acquisito anche dai più conservatori tra gli addetti ai lavori. Ci si domanda perché ancora non avviene, quanto meno in modo consistente. Perché le economie della rendita che fanno capo al software proprietario sono dure a morire. Muovono interessi economici giganteschi. Parliamo di imprese multinazionali possedute dagli uomini più ricchi del mondo. È impensabile che mollino l’osso tanto facilmente. In più hanno dalla loro imponenti risorse economiche, con le quali scatenano potenze di fuoco mediatico devastanti. La verità è che hanno le ore contate. Basterebbe un po’ di coraggio, quanto meno per affermare che nei bandi di gara non deve assolutamente comparire il nome di prodotti commerciali, anche se talmente diffusi da essere, quasi per antonomasia, «gli» strumenti o «i» formati a cui riferirsi. Questo è illegale, eppure viene ancora fatto. Con coraggio dovrebbe anche essere suggerito che il free software va sempre preferito ad altre soluzioni, ogni volta che ciò è possibile, vale a dire praticamente sempre, perché ormai non ci sono quasi più ambiti scoperti in cui il software proprietario è l’unica soluzione. Questo è stato fatto nella Regione Puglia, ad esempio. Speriamo che ai proclami facciano seguito azioni concrete e che queste possano essere poi imitate da altre amministrazioni pubbliche.
Come nasce la vostra realtà e quali sono state le motivazioni principali che vi hanno portato a scegliere questa attività economia?
Noi siamo nati da un’esperienza associativa in Ingegneria Senza Frontiere di Roma, dove alcuni di noi si sono impegnati sui temi del recupero di hardware obsoleto attraverso il software libero, con progetti di cooperazione nel Sud del Mondo, non solo in senso geografico, infatti alcuni di questi hanno interessato la periferia romana. Durante queste attività ci siamo trovati a lavorare a stretto contatto di gomito con gli attivisti romani del software libero e del trashware. In particolare, nel 2004 siamo stati ospitati dal centro sociale Strike, nei laboratori del BugsLab, dove abbiamo condotto ricerche supportate anche dall’Università La Sapienza, seppur non economicamente.
Quali difficoltà state incontrando in questo periodo?
Oggi, dopo sette anni di attività economica non siamo messi troppo bene. Ci siamo scontrati con difficoltà che non abbiamo previsto. Abbiamo commesso errori imprenditoriali gravi, per inesperienza. Ci stiamo riprendendo con una fatica micidiale. Ma non demordiamo. Siamo ancora convinti che ci siano ampi margini di miglioramento delle nostre prestazioni economiche. In questo periodo siamo rimasti senza una sede, per essere stati cacciati dalla Città dell’altra economia attraverso l’utilizzo della forza pubblica. Faticosamente siamo riusciti a trovare una collocazione per i nostri uffici grazie a Lynx, società che fa free software nel settore dell’E-Learning, che ci offerto un aiuto concreto, con l’idea di rafforzare le nostre relazioni economiche, già ottime.
Spiegaci meglio che tipo d’impresa avete costituito e quali obiettivi vi siete dati.
Noi siamo una società cooperativa. Lo scopo dell’impresa è creare opportunità di lavoro autogestito dai lavoratori stessi. Tutti i lavoratori sono soci della cooperativa. I nostri obiettivi sono di fare impresa nel settore del software libero, in particolare in quello che oggi viene definito, non senza qualche astuzia commerciale forse di troppo, Green-IT, cioè l’uso di soluzioni software che, oltre che aperte e libere, promuovono una logica di riuso e non di spreco, di risparmio di risorse energetiche e, più in generale di sostenibilità ambientale. O almeno, noi il Green-IT lo intendiamo così. Se ci sono in giro furbi che fanno greenwashing o millantano soluzioni ecologiche inesistenti, non è un nostro problema, non più di quanto lo sia di tutti e tutte. Noi cerchiamo di lavorare seriamente e siamo convinti che prima o poi verremo ripagati per la nostra serietà.
Pensi che oggi questa scelta di lavorare nel settore del software libero sia sufficiente per definire la qualità e i valori di un’attività economica come alternativa alle logiche del mercato?
Più che sufficiente, direi che è necessaria! E’ impensabile per qualunque impresa alternativa alle logiche di mercato prescindere dai fondamenti del free software. Certamente attraverso la sua adozione e promozione, ma andrei anche oltre e direi che l’approccio del free software dovrebbe essere un pilastro fondante di qualunque relazione altreconomica. Perché parla di lavoro e non di rendita. Di bazaar e non di cattedrali. Di creatività e non di proibizione. Di libertà e non di controllo. Di collettivo e non di individuale. Di attribuzione e non di proprietà. Di autodeterminazione e non di gestioni terze. Di condivisione e non di speculazione. Chi non si riconosce in questi principi, non sta facendo altra economia.
Come siete organizzati, come si svolge il vostro lavoro quotidiano?
Abbiamo un ufficio, dove riceviamo i nostri clienti ed eseguiamo le lavorazioni. Poi c’é un’officina, dove recuperiamo l’hardware che viene buttato via troppo in fretta.
Come vivete il rapporto sostenibilità economica e dimensione politico sociale della vostra esperienza?
Siamo molto lontani da una reale sostenibilità economica. Ma non molliamo perché siamo ostinati come militanti, anche se sappiamo che quando si fa economia le idee politiche vanno messe sullo sfondo, piuttosto che sbandierate inutilmente. La politica non è il nostro core business, anche se quello che facciamo è profondamente politico.
Che relazione avete con il movimento del software libero e con le altre imprese che si rifanno al questi valori? Vi sentite parte di questo movimento?Assolutamente sì, siamo parte di questo movimento e in questi primi anni di attività abbiamo raggiunto una notorietà eccezionale al suo interno. Le relazioni sono ottime e a «maglie», nel senso che la rete che unisce i vari nodi del free software ha percorsi fittissimi e ridondati. È una questione di linguaggio e di approccio. Una volta chiarito che noi facciamo economia, all’interno del movimento le persone sanno come collocare la nostra azione e non si ingenerano equivoci. Siamo anche parte della Rete italiana open source, di recente costituzione, che raccoglie imprese che, come noi, fanno economia attraverso il free software.
Come cercate di coinvolgere i cittadini consumatori nella vostra attività e che rapporti avete con il territorio?
Attraverso la comunicazione che avviene principalmente attraverso la partecipazione ad eventi, cioé meeting, conferenze, fiere, che organizziamo direttamente noi o altri. Questo ci ha portato a ricevere una attenzione mediatica sorprendente: radio, giornali, televisioni, c’è molto interesse verso quello che facciamo, il che ci fa piacere e incrementa ulteriormente la nostra notorietà. Siamo molto legati al territorio di Roma, la città dove operiamo. E questo è interessante, perché non era voluto. La nostra «glocalità» si gioca molto sull’antinomia web-globale, Roma-locale. Se lo paragoniamo con altri settori, forse quello delle rinnovabili ha caratteristiche simili.
Progetti per il futuro?
Dare alla nostra impresa un’immagine maggiormente professionale. Avere la capacità di rinnovarci rispetto all’avanzamento tecnologico e ai cambi di paradigma tecnologici, che avanzano così rapidamente. Si pensi all’avvento del mobile e del Cloud Computing, per non parlare degli ambiti nuovi su cui ci si sta cimentando ultimamente, gli open data e le Smart Cities. Vogliamo poter dire sempre la nostra sull’etica e sulla sostenibilità ambientale, forti della nostra esperienza sul campo.
http://comune-info.net/2012/10/8000/
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