Atto di guerra. E’ così che un economista francese, Jacques Sapir, ha definito la minaccia del blocco monetario da parte dell’Eurozona, e in particolare di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, nei confronti della banca centrale e tutto il sistema finanziario di Cipro. E’ sotto questa minaccia che il presidente cipriota ha accettato il nuovo piano presentato da Eurogruppo, Banca centrale europea e Fondo Monetario Internazionale, la cosiddetta Troika.
Non sappiamo ancora quali saranno le reazioni a Cipro; al momento il piano prevede che i depositi superiori a 100 mila euro saranno penalizzati, così come i detentori di obbligazioni privilegiate della Banca Popolare di Cipro (Laiki Bank), che verrà chiusa.
La minaccia che ha portato all’accordo equivale ad un vero e proprio blocco economico decretato dalla BCE. Infatti la misura più grave avrebbe sospeso le transazioni delle banche cipriote con il resto dell’Eurozona, condannando così ad una morte rapida le aziende, bancarie o meno, cipriote o meno, che operano a Cipro. E’ evidente la gravità della minaccia fatta da Mario Draghi nei confronti della popolazione di Cipro e nei confronti del Parlamento nazionale che aveva respinto il precedente testo di accordo predisposto dalla Troika.
Il messaggio di Draghi equivale ad un ultimatum, che mette fine a tutte le illusioni sulla democrazia e la partecipazione popolare. Chi si illudeva sulla possibilità di un uso diverso delle istituzioni, chi credeva alla favola della sovranità popolare, riceve dai fatti di Cipro l’ennesima smentita.
Ma c’è un altro risvolto ancora più grave, continua Jacques Sapir, ed è che la decisione di minacciare Cipro non è stata presa all’unanimità, ma è una decisione con cui Mario Draghi “ha affermato al resto del mondo che le decisioni non sono state prese dall’Eurogruppo o dall’Unione Europea, ma soltanto da lui stesso, funzionario designato e non eletto, irresponsabile nel senso più politico del termine. La natura profondamente tirannica delle istituzioni attuate dentro il quadro europeo si rivela pienamente con questo incidente. I grandi discorsi sulla cooperazione e sulla competenza cedono il posto alle relazioni fredde sulla forza ed il sentimento di potere. Si mette fine all’ipocrisia delle varie dichiarazioni europee che parlavano di un accordo deciso all’unanimità (con la pistola alla tempia).” E continua “è nella natura delle cose che la tirannide chiama violenza”, riferendosi anche alla tradizione di violenza politica a Cipro.
Il quadro che Sapir della situazione cipriota e di come si è arrivati a questa conclusione è condivisibile, ma fa anche luce sui meccanismi che generano e amplificano le crisi finanziarie.
Ancora una volta non ci troviamo di fronte alla “mano invisibile” dei mercati, ma a precise scelte dei governi europei e dei ministri delle finanze; che operano tenendo presente la stabilità dei paesi più forti e scaricando sui ceti popolari i propri errori. Il ruolo dei governanti non è certo quello di re travicello, ma di despoti che agiscono infischiandosene delle regole, dei sacri principi, della pace e della solidarietà.
Come si evolverà la situazione? Per rispondere a questa domanda bisogna capire che cos’è Cipro.
La Repubblica di Cipro estende la sua sovranità sull’isola, a parte le due aree di Akrotiri e Dekhelia, che sono rimaste sotto la sovranità britannica ed ospitano basi militari del Regno Unito; in realtà il 36% dell’isola costituisce la Repubblica turca di Cipro del Nord, riconosciuta dalla sola Turchia, che quindi non fa parte dell’Unione europea e tanto meno dell’euro.
Questa situazione è il risultato della lotta per l’indipendenza, che si concluse nel 1960 con il Trattato di Londra e Zurigo, che riconosceva anche alle potenze garanti – Grecia, Turchia e Gran Bretagna – il diritto di intraprendere azioni, congiunte o meno, in caso di modifica di quanto stabilito dal trattato. E’ quello che è accaduto ai tempi dell’Enosis (unione) di Cipro alla Grecia, quando il regime fascista dei colonnelli greci favorì un colpo di stato a Cipro, con conseguente invasione da parte della Turchia, a tutela della minoranza turco-cipriota. Da allora Cipro è divisa dalla linea verde di armistizio, ed è una delle piaghe aperte del Mediterraneo.
Ma che cosa ha spinto l’Unione europea a mettere all’ordine del giorno la questione delle banche cipriote? La crisi trova origine nella ristrutturazione del debito greco e nei tagli imposti ai creditori privati nella primavera del 2012; i titoli del debito greco in mano alle banche cipriote hanno improvvisamente perso di valore. Oggi le banche cipriote hanno attività pari a 7,5 volte il Prodotto Interno Lordo di Cipro
; è una grossa cifra, rispetto alla media dell’Unione europea che è del 3,5, ma è equivalente a quella di Malta o dell’Irlanda, e largamente inferiore a quella del Lussemburgo. Nel Granducato il rapporto tra attività delle banche e PIL è 22 a 1!
La crisi era prevedibile ed annunciata: nel giugno 2012 le autorità cipriote avevano preannunciato ai partner europei le conseguenze che poteva avere sulle banche dell’isola la ristrutturazione del debito greco, ma non si è fatto niente. Il governo cipriota aveva chiesto aiuti per 17,5 miliardi di euro, ma l’Unione Europea ha rinviato la decisione.
L’altro attore della crisi cipriota è la Russia. Cipro è infatti un’importante piazza finanziaria per Mosca: non si tratta tanto dei depositi, sui 90 miliardi di euro di depositi nelle banche cipriote, quelli ascrivibili a persone fisiche e giuridiche domiciliate in Russia o nella Comunità di Stati indipendenti assommano a 20 miliardi.
Cipro svolge un ruolo importante nelle transazioni finanziarie con la Russia: numerose società russe hanno conti a Cipro, con cui effettuano dei regolamenti o percepiscono somme da clienti nell’area euro. Questi movimenti sono stimati pari a 250 miliardi di euro.
Ecco che allora basta dare un’occhiata alla carta geografica per scoprire un altro fatto. Cipro è a 500 chilometri dall’Egitto, a 70 dalla Turchia e a 100 dal Vicino Oriente, e Vicino Oriente vuol dire Siria, dove si combatte una guerra che vede da una parte ribelli appoggiati dagli emiri del Golfo, da decenni a libro paga della famiglia Windsor, dall’altra il dittatore Assad, appoggiato dalla Russia. La crisi cipriota cade a fagiolo per colpire la Russia, senza tener conto delle ripercussioni sull’autonomia del governo cipriota, e sull’uso della basi britanniche per un attacco al governo di Damasco.
Dietro quindi le convulsioni della crisi finanziaria fa capolino lo scontro fra le grandi potenze per spartirsi le zone di influenza. Ancora una volta la crisi economica, la finanza sono armi in mano dei governi per terrorizzare i popoli e per combattersi a vicenda. Il quadro internazionale è un elemento irrinunciabile per comprendere le varie situazioni locali.
Fonte:http://www.umanitanova.org/n-12-anno-93/al-centro-dei-piani-di-guerra
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