di Lorenzo Baldo - 29 aprile 2013
Caltanissetta. Nell’aula bunker si è tornato a parlare della scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Oggi è stata la volta del giornalista del Corriere della Sera, Felice Cavallaro, tra i primissimi ad arrivare in via D’Amelio il 19 luglio 1992. Il 23 febbraio 2006 Cavallaro era stato già sentito dagli inquirenti sulla vicenda del ritrovamento della valigetta del giudice da cui era stata trafugata la sua agenda personale. La deposizione odierna del giornalista ha ripercorso quindi i punti salienti del verbale del 2006, con l’aggiunta di qualche “non ricordo” in merito a stralci di articoli o di libri da lui stesso scritti. «Giunto al palazzo dove abita la madre del dottore Borsellino – aveva raccontato il cronista nel 2006 – ho visto Ayala che usciva gravemente turbato dal giardinetto antistante l'edificio dove poi appresi essere stati rinvenuti i resti del dottore Borsellino. Davanti al giardinetto, in mezzo alla strada vi era un'autovettura che appresi successivamente essere del dottore Borsellino che appariva con lo sportello posteriore sinistro aperto». Il particolare della portiera aperta aveva temporizzato l'avvenimento in sé ponendolo successivo al racconto dell'agente di scorta di Ayala, Rosario Farinella, che per primo si era fatto aiutare da un vigile del fuoco ad aprire l'auto di Paolo Borsellino.
Caltanissetta. Nell’aula bunker si è tornato a parlare della scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Oggi è stata la volta del giornalista del Corriere della Sera, Felice Cavallaro, tra i primissimi ad arrivare in via D’Amelio il 19 luglio 1992. Il 23 febbraio 2006 Cavallaro era stato già sentito dagli inquirenti sulla vicenda del ritrovamento della valigetta del giudice da cui era stata trafugata la sua agenda personale. La deposizione odierna del giornalista ha ripercorso quindi i punti salienti del verbale del 2006, con l’aggiunta di qualche “non ricordo” in merito a stralci di articoli o di libri da lui stesso scritti. «Giunto al palazzo dove abita la madre del dottore Borsellino – aveva raccontato il cronista nel 2006 – ho visto Ayala che usciva gravemente turbato dal giardinetto antistante l'edificio dove poi appresi essere stati rinvenuti i resti del dottore Borsellino. Davanti al giardinetto, in mezzo alla strada vi era un'autovettura che appresi successivamente essere del dottore Borsellino che appariva con lo sportello posteriore sinistro aperto». Il particolare della portiera aperta aveva temporizzato l'avvenimento in sé ponendolo successivo al racconto dell'agente di scorta di Ayala, Rosario Farinella, che per primo si era fatto aiutare da un vigile del fuoco ad aprire l'auto di Paolo Borsellino.
«Per quanto posso ricordare – aveva continuato Cavallaro – l'autovettura non era in fiamme e nemmeno da essa si levava fumo. Io e il dottore Ayala ci fermammo per qualche momento vicino all'autovettura di cui ho detto scambiandoci commenti sull'accaduto». «A questo punto – aveva ricordato il giornalista del Corriere – vidi una persona ancor giovane di età che indossava abiti civili con una camicia estiva e senza giacca il quale prelevava dall'autovettura del dottore Borsellino una borsa di cuoio che era posata sul pianale posteriore sinistro, dietro lo schienale dell'autista. La persona di cui ho detto prese la borsa e stava per consegnarla al dottore Ayala il quale, per quanto possa ricordare, non arrivò neanche ad impugnarla saldamente ma nel momento in cui ne sfiorava il manico venne preso dal dubbio di non essere a ciò autorizzato, dato che non rivestiva più la qualità di magistrato». «Vidi pertanto il dottore Ayala, quasi con lo stesso movimento, consegnare la borsa ad un ufficiale dei carabinieri in divisa che si avvicinò in quel momento». Gli inquirenti avevano chiesto quindi a Cavallaro ulteriori dettagli sul carabiniere in divisa che si avvicina a loro. «L'ufficiale – aveva risposto il cronista – indossava la divisa estiva dei carabinieri completa della giacca. Si trattava di un colonnello o di un tenente colonnello perché le spalline portavano il contrassegno di una torre e comunque certamente non si trattava di un capitano perché non aveva le tre stelle che io riconosco. Dopo che il colonnello prese in consegna la borsa non ci siamo più interessati della questione perché il dottore Ayala riteneva di avere fatto quanto necessario consegnando il reperto ai carabinieri». A quel punto i magistrati avevano mostrato una foto in bianco e nero di Giovanni Arcangioli in via d'Amelio chiedendo se fosse in grado di riconoscere nell'immagine mostratagli la persona che aveva estratto dall'auto la borsa del giudice Borsellino. Cavallaro però aveva riferito di non essere in grado di riconoscerla anche perché «la persona indicata nella fotografia ha un distintivo delle forze dell'ordine» e lui non ricordava che la persona vista in quel frangente «recasse su di sé un tale contrassegno». «Chiarisco – aveva ribadito l'inviato del Corriere – che io all'epoca dei fatti non conoscevo il capitano dei carabinieri Arcangioli che, invece, ho avuto modo successivamente di conoscere sia pure superficialmente. Pertanto la mia affermazione di poco prima va interpretata nel senso che io ho riconosciuto nella fotografia l'immagine del capitano Arcangioli ma, come ho detto, non lo identifico con la persona che estrasse dall'autovettura la borsa del dottore Borsellino». «Chiarisco ancora – aveva quindi concluso Cavallaro – che per quanto ho potuto vedere, il colonnello dopo avere ricevuto la borsa dal dottore Ayala si allontanò con la borsa stessa, nel senso che in mia presenza non la restituì alla persona che l'aveva estratta dalla macchina».
Anni dopo era stato lo stesso Cavallaro a raccontare in un'intervista gli attimi cruciali di quella domenica di fine luglio del '92 in via d'Amelio aggiungendo il particolare di avere tenuto anche lui per pochi istanti la borsa di Paolo Borsellino. «Erano già trascorsi tre quarti d’ora dall’esplosione – aveva raccontato nel 2009 il cronista del Corriere al collega di Livesicilia che lo stava intervistando – e la portiera posteriore della macchina di Borsellino era spalancata. Lì, tra il sedile anteriore e quello posteriore c’era la sua borsa. A un certo punto un agente in borghese la prese e vedendomi, forse mi credeva un uomo della scorta di Ayala, me la diede in mano. Solo pochi attimi. Mi girai verso Ayala, vedendo un carabiniere in divisa, fu lo stesso Ayala che disse: “Ma questa dovrebbe tenerla lei”. Fu così che la consegnammo. Quando fu ritrovata mancava l’agenda rossa di Borsellino».
Di fronte al suo “non ricordo” in merito alla sua conoscenza immediata della presenza dell’agenda rossa all’interno della valigetta del giudice l’avvocatoFabio Repici (legale di parte civile per il fratello del giudice Borsellino), ha consegnato al teste un suo articolo del Corriere della Sera del 26 luglio 1992. Lo stesso Cavallaro ha riletto il passaggio saliente: “Non è l’unico buco nero. C’ è pure quello dell’ agenda di Borsellino. E’ sparita? A sera una Tv attribuisce alla famiglia la notizia del ritrovamento, ma in Questura non si retrocede dal ‘no comment’ ed ogni dubbio resta”, ammettendo di non essersene ricordato. In antitesi con quanto dichiarato dall’ex capitano Giovanni Arcangioli (che aveva affermato di aver aperto la borsa del giudice davanti a Giuseppe Ayala e ad un altro magistrato per verificare la presenza o meno della sua agenda rossa), Felice Cavallaro ha negato decisamente di aver assistito all’apertura della valigetta.
Anni dopo era stato lo stesso Cavallaro a raccontare in un'intervista gli attimi cruciali di quella domenica di fine luglio del '92 in via d'Amelio aggiungendo il particolare di avere tenuto anche lui per pochi istanti la borsa di Paolo Borsellino. «Erano già trascorsi tre quarti d’ora dall’esplosione – aveva raccontato nel 2009 il cronista del Corriere al collega di Livesicilia che lo stava intervistando – e la portiera posteriore della macchina di Borsellino era spalancata. Lì, tra il sedile anteriore e quello posteriore c’era la sua borsa. A un certo punto un agente in borghese la prese e vedendomi, forse mi credeva un uomo della scorta di Ayala, me la diede in mano. Solo pochi attimi. Mi girai verso Ayala, vedendo un carabiniere in divisa, fu lo stesso Ayala che disse: “Ma questa dovrebbe tenerla lei”. Fu così che la consegnammo. Quando fu ritrovata mancava l’agenda rossa di Borsellino».
Di fronte al suo “non ricordo” in merito alla sua conoscenza immediata della presenza dell’agenda rossa all’interno della valigetta del giudice l’avvocatoFabio Repici (legale di parte civile per il fratello del giudice Borsellino), ha consegnato al teste un suo articolo del Corriere della Sera del 26 luglio 1992. Lo stesso Cavallaro ha riletto il passaggio saliente: “Non è l’unico buco nero. C’ è pure quello dell’ agenda di Borsellino. E’ sparita? A sera una Tv attribuisce alla famiglia la notizia del ritrovamento, ma in Questura non si retrocede dal ‘no comment’ ed ogni dubbio resta”, ammettendo di non essersene ricordato. In antitesi con quanto dichiarato dall’ex capitano Giovanni Arcangioli (che aveva affermato di aver aperto la borsa del giudice davanti a Giuseppe Ayala e ad un altro magistrato per verificare la presenza o meno della sua agenda rossa), Felice Cavallaro ha negato decisamente di aver assistito all’apertura della valigetta.
A un certo punto il pm Nico Gozzo ha mostrato al teste le foto di Giovanni Arcangioli con una pettorina azzurra e un distintivo mentre reggeva la valigetta del magistrato, Cavallaro, ha risposto prontamente rimarcando quanto già detto a verbale: “Io non ricordo la presenza di Arcangioli. Anzi, devo dire di averlo conosciuto dopo gli eventi, un mese dopo. Escludo che quella borsa sia finita nelle mani di Arcangioli in quel contesto”.
Secondo la ricostruzione del cronista del Corriere, dopo aver sentito l’eco della bomba e aver osservato la colonna di fumo salire dalla zona della fiera del Mediterraneo, la moglie di Ayala risultava in casa tanto che gli aveva risposto al telefono. Una volta di più l’avv. Repici ha evidenziato un contrasto tra le dichiarazioni odierne del teste e quanto scritto dallo stesso Cavallaro e Ayala nel libro “La guerra dei giusti” (pubblicato nel ’94 dalla Rizzoli). “Non ricordavo il fatto che Natalia Jung fosse giù per strada e che evidentemente sia risalita in casa quando ha ricevuto la mia telefonata mentre Ayala andava verso via D’Amelio…”, ha risposto Cavallaro dopo aver riletto le pagine 34 e 35 del suo libro. “Adesso che l’ho letto ricordo questo particolare – ha ulteriormente sottolineato Cavallaro –, la signora Natalia dopo il boato e dopo l’incontro con Giuseppe Ayala risalì in casa e io lì la trovai quando telefonai…”. “Nel senso che al momento del boato non era in casa ed era appena andata via?”, ha chiesto l’avv. Repici. “Si… come è scritto qui stava per andare a trovare la madre…”, ha risposto Cavallaro. Dettagli. Ma non del tutto insignificanti.
La deposizione di Felice Cavallaro verrà messa a confronto con le dichiarazioni di Giovanni Arcangioli e Giuseppe Ayala prossimi a salire sul pretorio. E lì si potranno finalmente mettere a confronto in un’aula di giustizia le diverse versioni dei fatti. Da sottolineare che prima della deposizione di Cavallaro ha testimoniato Rita Borsellino, sorella del magistrato (successivamente anche il marito, Renato Fiore), che ha risposto alle domande dei procuratori Lari e Gozzo sulla presenza delle famiglie Vitale e Sprio (risultate poi vicine a Cosa Nostra) all’interno del palazzo di via D’Amelio dove tuttora vive l’eurodeputato. Durante la deposizione l’on Borsellino ha raccontato del rapporto di amicizia tra suo fratello e il maresciallo Carmelo Canale sottolineando poi come lo stesso Paolo Borsellino fosse risentito del fatto che, dopo la strage di Capaci “qualcuno si impossessasse della figura di Falcone dicendo di essere l’unico amico…”. “E’ chiaro – ha ribadito Rita Borsellino – che si riferisse ad Ayala”.
Lorenzo Baldo (AntimafiaDuemila)
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