lunedì 14 maggio 2012

Mahmoud Hashemi Sharoudi

L’Ayatollah Ali Khamenei | di: wikimedia commons 
Quando le ultime truppe statunitensi hanno lasciato l’ alla fine del 2011, l’incognita costituiva una delle principali fonti di preoccupazione per l’amministrazione USA. Come avrebbe reagito lo Stato iracheno una volta lasciato da solo a confronto con la potenza persiana, da sempre interessata ad esercitare la sua influenza su Baghdad? A quattro mesi dal ritiro statunitense, Ahmadinejad non sembra essere ancora riuscito ad ottenere il controllo sperato sull’Iraq. Pur mantenendo forti legami con l’Iran, la nuova leadership irachena pare più intenzionata ad affermarsi come potenza regionale, piuttosto che a vivere del riflesso dell’ingombrante vicino.
Al tempo della dittatura sunnita di Saddam Hussein, l’Iraq costituiva per l’Iran sciita il principale ostacolo all’espansione nell’area del Golfo. Nel 2003 la caduta del regime di Saddam e la successiva ascesa al potere di partiti e coalizioni di confessione sciita offrì a Teheran una prima opportunità per reimpostare le relazioni con il suo vicino. Opportunità che è divenuta ancora più ghiotta ora che gli americani hanno lasciato, almeno materialmente, campo libero.
L’Iran ha tentato di estendere la sua influenza in Iraq non solo sul piano politico, ma anche su quello religioso (i due piani nella concezione sciita iraniana sono strettamente collegati fra loro). La massima autorità religiosa irachena è al momento l’ottantunenne Ayatollah Al-Sistani, la cui scuola di pensiero rifiuta l’ingerenza diretta degli esponenti religiosi nella vita politica del Paese professata invece dagli iraniani e si limita a detenere il ruolo di guida “spirituale”.
Di recente l’Ayatollah Mahmoud Hashemi Sharoudi, esponente di spicco del clero iraniano che in passato è stato prima leader del movimento iracheno SCIRI (Supreme Council for the Islamic Revolution in Iraq) e poi figura di punta del sistema giudiziario nazionale, ha aperto un suo ufficio a Najaf. Najaf è la città dove lo stesso Al-Sistani risiede ed è tradizionalmente considerata il centro del potere sciita in Iraq, oltre che una delle principali mete di pellegrinaggio per l’intero mondo islamico. Lo spostamento del Grand Ayatollah verso l’Iraq indica con certezza che l’Iran sta, più o meno silenziosamente, preparando il terreno per un futuro successore di Al-Sistani più affine alle proprie vedute.
L’ascendente esercitato dall’Iran nella vita politica irachena è particolarmente evidente nella corrente sciita minoritaria ed estremista guidata da Moqtada al-Sadr, che durante l’occupazione statunitense in Iraq con le sue milizie, “l’esercito del Mahdi”, ha dato del filo da torcere tanto agli stranieri, di cui si è sempre proclamato fiero oppositore, quanto ai propri avversari politici. E’ fuor di dubbio che, nonostante il suo continuo appello al nazionalismo e all’indipendenza dell’Iraq, dietro alcune scelte politiche di vi sia l’influenza iraniana. Il partito sadrista ha giocato, ad esempio, un ruolo determinante nella ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq, opponendosi a qualunque variazione del SOFA (Status of Forces Agreement) che avrebbe permesso agli americani di prolungare la loro permanenza sul territorio iracheno. Considerato l’attuale scenario politico interno dell’Iraq, che vede al-Maliki ai ferri corti tanto con l’opposizione Iraqiya quanto con i curdi, il movimento sadrista riveste un ruolo privilegiato: è al contempo componente indispensabile per la maggioranza di governo e ambita potenziale alleanza strategica per le altre compagini politiche.

I rapporti di Maliki con Teheran, che pure hanno radici profonde  – non va dimenticato che il partito di Maliki, al-Dawa, negli anni ’70 al tempo del regime baathista aveva la propria base in Iran – sono frenati dal timore che Baghdad venga considerato dagli altri Paesi del Medio Oriente (e non solo) unicamente come una pedina nelle mani dell’Iran; accusa mossa allo stesso Maliki anche sul piano della politica interna dai partiti di opposizione. E’ in questa chiave di lettura che va interpretato il mancato invito dell’Iran a presenziare al summit della Lega Araba, tenutosi a Baghdad alla fine del mese di marzo.
E’ però pur sempre vero che, per quanto l’Iraq si voglia riscattare dall’immagine di Stato burattino, l’Iran è un prezioso alleato sul piano economico, secondo solo alla Turchia come volume di affari. Le notizie di nuovi accordi economici tra i due Paesi si rincorrono in continuazione. Nel marzo scorso, nel corso di un incontro svoltosi a Teheran, il ministro dell’Economia iraniano Shamseddin Hosseini e il suo corrispondente iracheno Rafi Hiyad al-Issawi hanno siglato gli ennesimi accordi volti a sancire un’intensificazione degli scambi tra i due Paesi. In quest’occasione, il ministro iracheno non ha mancato di sottolineare come, anche alla luce del ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq, le relazioni economiche tra Baghdad e Teheran siano destinate a crescere e svilupparsi nei prossimi anni.
Al-Maliki è stato in visita ufficiale in Iran domenica 22 aprile, come dettagliatamente riportato nel suo sito ufficiale. Il premier ha ribadito, in accordo con il presidente Ahmadinejad e il capo del parlamento Ali Larijani, l’importanza di implementare gli accordi bilaterali e i memorandum di intesa siglati tra i due Paesi, con particolare attenzione a quelli che riguardano l’economia e il commercio. I tre hanno anche discusso dell’eventualità di una fornitura energetica all’Iraq da parte dell’Iran.
Maliki ha avuto un colloquio anche con Saeed Jalili, segretario generale iraniano del Consiglio Supremo per la Sicurezza e rappresentante iraniano nei negoziati sul nucleare, in vista dei prossimi incontri tra l’Iran e i 5 membri permanenti del Consiglio delle Nazioni Unite (più la Germania) che si terranno proprio a Baghdad il 23 maggio prossimo. Al-Maliki ha incontrato anche l’Ayatollah Khamenei, che non ha mancato di esprimere la sua soddisfazione per il ritiro delle truppe statunitensi. Il sito del premier non riporta, però, un eventuale incontro con l’Ayatollah Sharoudi: significativo, alla luce della sopramenzionata espansione di quest’ultimo verso l’Iraq, ma da non pubblicizzare eccessivamente per non scontentare l’ala moderata irachena fedele ad al-Sistani.
L’ultima visita di al-Maliki a Teheran risaliva all’ottobre del 2010. In quell’occasione al-Maliki aveva la necessità di affermare la sua posizione politica di maggioranza dopo il poco soddisfacente esito delle elezioni del marzo precedente. Oggi, a un anno e mezzo di distanza, la situazione è poco differente: Teheran ha trovato nuovamente un Maliki che deve fronteggiare una certa instabilità politica interna e che cerca, come diversivo, di affermarsi sul piano internazionale.
Per il premier iracheno l’Iran non costituisce pertanto, o soltanto, un prezioso alleato diretto, quanto piuttosto una vetrina, un’occasione per guadagnare dei punti a livello internazionale. Solo in questo modo al-Maliki può pensare di proporsi come interlocutore e mediatore d’eccezione con uno degli Stati più ambigui e problematici degli ultimi tempi.




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