Se c'è un aspetto che ci ha da sempre incuriosito riguardo i cliché calcistici social, è la speranza atavica del Sassuolo retrocesso in B. Infatti, passata la sbornia della squadra piccola che arriva "di rincorsa" con un progetto e una proprietà facoltosa (gli Squinzi) nel calcio che conta, gli emiliani sono diventati la rappresentazione perfetta del male che attanaglia il calcio moderno (ancor più che italiano). In sequenza: squadra senza identità, senza stadio, senza tifosi, senza ambizioni, plusvalenzificio e succursale delle big di Serie A. Roba che se ci fosse stato il Sassuolo al posto di Barabba, molto probabilmente Gesù sarebbe stato salvato dalla folla.
Ecco, senza volerci confondere con la folla sbraitante, preferiamo contestualizzare le undici stagioni in Serie A, andando ad individuare con più interesse ciò che è andato storto nella gestione del Sassuolo. 460 mln di € sono i ricavi da calciomercato del Sassuolo da quando è in A. 450 mln i costi. 10 mln di utile in 11 con 7 stagioni di A chiuse con un mercato più oneroso delle entrate. Insomma, una macchina da player trading che non ha creato valore (come nel caso dell'Udinese), ma che si è mantenuta in equilibrio. Un equilibrio sottile, dove la qualità dei calciatori in entrata ed in uscita ha fatto la differenza, specie nella stagione appena conclusa. Un crollo spiegabile solo nella qualità povera della rosa, per una classifica che ha quasi ricalcato la prima salvezza nella massima serie.
Difficile capirne le motivazioni, se non nella scelta della proprietà di riequilibrare una macchina inceppata, con 3 bilanci su 4 dal 2020 chiusi in perdita nonostante il sostegno della proprietà con la sponsor di casa Mapei (seconda fonte di ricavi del club). Una strategia però rischiosa, perché operante sul materiale umano e, forse, troppo confidente del fatto di essere ormai una realtà da metà classifica e di essere in grado di pescare i calciatori funzionali ad ottenere la permanenza tranquilla in A.
Intorno a questa evidenza si possono poi innestare i risultati sportivi ottenuti in poco più di un decennio nel calcio che conta, la qualificazione in Europa, gli allenatori lanciati, i risultati del settore giovanile (2 trofei di Viareggio e un campionato Beretti), tanti giovani italiani lanciati (Berardi, Raspadori, Scamacca, Frattesi su tutti), le ombre sull'acquisizione dello stadio, il rapporto mai sbocciato con Reggio Emilia (e vorremmo anche vedere, data la presenza forte del club cittadino), sassolesi stessi desiderosi di tornare allo storico Ricci e una grande domanda finale da porre al pubblico che ci legge: è davvero il Sassuolo il problema del calcio italiano piuttosto che un ecosistema che spinge chi ha i soldi ad investirli in piccole realtà, senza pressioni e senza sovrastrutture e ambizioni eccessivamente onerose da dover mantenere anche in caso di crisi dei progetti tecnici?
Pasini che preferisce dilettarsi con la FeralpiSalò anziché rilevare il Brescia è l'esempio perfetto di quanto affermato. La famiglia De Laurentiis si sta rendendo altresì conto di cosa voglia dire vivere la complessità di due realtà capoluogo di regione. Due facce della stessa medaglia che dovrebbero fare riflettere più della retrocessione del Sassuolo
Nessun commento:
Posta un commento