giovedì 30 novembre 2023

L'eredita' di Fermi

 


Agli inizi degli anni Cinquanta si stava per compiere una delle più grandi avventure scientifiche italiane dello scorso secolo. Raccogliendo l’eredità che Fermi aveva lasciato, gli sforzi della fisica italiana erano concentrati sulla costruzione di un grande acceleratore di particelle, l’elettrosincrotrone, e la fondazione di un Laboratorio Nazionale dove far confluire i giovani ricercatori.


Tuttavia, Il decennio successivo vide nascere a Roma una nuova Scuola, quella della fisica della materia condensata (campo che si occupa di studiare le proprietà della materia, con un interesse particolare rivolto alla fase liquida e a quella solida) di cui Carlo Di Castro fu uno dei suoi maggiori esponenti.


Di Castro è attivo principalmente nel campo della meccanica statistica, della fisica a molti corpi e della materia condensata, dando contributi fondamentali nella sua disciplina, ad esempio aprendo la strada all’approccio del cosiddetto gruppo di rinormalizzazione dei fenomeni critici, estendendolo poi ai liquidi quantistici di Bose e ai liquidi di Fermi-Luttinger. Attualmente è professore emerito all’Università La Sapienza di Roma.


Nato il 14 agosto del 1937 da una famiglia di origine ebraiche, si scontrò già in tenerissima età con la crudeltà del regime dato che solamente un anno dopo furono promulgate in Italia le leggi razziali. Come ha ricordato:


“I miei primi ricordi sono quelli di un bambino prematuramente invecchiato, con il peso del mondo sulle spalle, preoccupato per il destino dell’umanità. Quando avevo sei anni siamo dovuti fuggire da casa e nasconderci sotto falso nome, vivendo nella costante paura di essere traditi. [..] Ricordo quando entrai per la prima volta in una scuola dopo la liberazione per sostenere un esame di ammissione alla seconda elementare, poiché mi era stato impedito di frequentare la prima. Sebbene fosse stato difficile per me, non essendo mai andato a scuola mentre mi nascondevo, ho sempre pensato a quanto deve essere stato difficile per i miei fratelli maggiori essere stati espulsi nel 1938. Da allora ho vissuto con l’idea che si può essere inghiottita dalle tenebre in qualsiasi momento. Sono convinto che il percorso professionale che ho scelto sia legato alla ferma convinzione che la paura di ciò che ci circonda, la paura dell’ignoto, debba essere superata attraverso la conoscenza e la ragione.”


Dopo aver frequentato il liceo classico, si trovò di fronte all’inevitabile bivio della scelta universitaria. Nonostante la sua formazione fosse più umanistica, l’indecisione era tra la filosofia e la fisica. Il padre, che non era molto felice né di una né dell’altra, lo spinse a cercare una soluzione e i due trovarono nell’ingegneria il giusto compromesso. Dopo aver concluso il biennio, la “fortuna, o sfortuna dal punto di vista di mio padre” volle che le lezioni di ingegneria non partissero nel mese di novembre ed iniziò così a frequentare i corsi di fisica, decidendo alla fine di fare il passaggio di facoltà. Non era una scelta completamente fuori dal mondo: basti pensare che la quasi totalità del gruppo dei Ragazzi di Via Panisperna proveniva da ingegneria.


Le materie che più lo interessavano erano la meccanica statistica e la fisica teorica della materia condensata, che era un campo di ricerca pressoché ignorato in quegli anni a Roma perché molti erano impegnati nello studio della fisica delle particelle. Il corso di meccanica statistica era tenuto dal “brillante e stimolante” Bruno Touschek (che contribuì in maniera decisiva a quella rivoluzione prima accennata) “che non insegnava in maniera tradizionale, ma piuttosto insegnava come un fisico teorico avrebbe dovuto affrontare i problemi, usando immaginazione, tecnica ed entusiasmo”. Nel 1959, deciso a fare una tesi in fisica teorica, chiese consigli a Marcello Cini, allora capogruppo della sezione di fisica teorica. Cini, che non poteva suggerire un argomento specifico, disse che stava per arrivare da Padova Giorgio Careri, che era impegnato in ricerche sperimentali sull’elio superfluido 4He. Cini fu comunque suo relatore, mentre l’esaminatore era Touschek che scrisse un commento sulla tesi con il suo inimitabile stile: “con i migliori complimenti dall’avvocato del diavolo”. Il risultato finale, non pubblicabile perché risultati simili erano già stati presentati sulla rivista Physical Review, incentivò lo studio di questo campo della fisica teorica che fino ad allora non aveva avuto un grande spazio.


Spostatosi a Birmingham per fare il dottorato, tornò in Italia (nonostante ci fosse la possibilità di continuare gli studi negli Stati Uniti) nel 1965 nella sezione dell’INFN di Roma “beneficiando ancora una volta della lungimiranza di Amaldi nell’aprire l’Istituto a giovani ricercatori di altri campi e nel cercare di ricostruire la fisica nel suo insieme”. Nel 1969 divenne libero docente in fisica teorica, ricomprendo la cattedra dopo la dipartita di Persico. Di Castro ricordò:


“È stata una bella esperienza per me, perché mi è piaciuto introdurre argomenti che non erano mai stati insegnati prima a Roma. Non so se anche gli studenti si siano divertiti, ma mi hanno fatto un’ottima impressione.”


Il lavoro suo lavoro, insieme alle collaborazioni con Giovanni Jona-Lasino e Claudio Castellani sono difficili da riassumere e sono molto tecniche, ma è sufficiente pensare che Di Castro ha tenuto più di 120 conferenze internazionali e ha pubblicato più di 160 lavori.


In foto Di Castro (a destra) che consegna la Laurea Honoris Causa a Karl Alexander Müller (Premio Nobel per la fisica nel 1987) durante la cerimonia tenuta alla Sapienza nel 1993.

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