La madre, che era mafiosa, arrivò persino a distruggerle la lapide a martellate. L’aveva ripudiata molto tempo prima.
Rita Atria, da viva e da morta, venne odiata da tutta la mafia. Dalla madre, dai compaesani, dai parenti. Persino dai mafiosi carcerati che quando seppero del suo suicidio applaudirono da dietro le sbarre.
Aveva 17 anni quando si uccise, era una collaboratrice di giustizia. Affezionatissima a Borsellino che la chiamava “la mia picciridda”, aveva deciso, da giovanissima, di rompere l’omertà che la legava alla mafia che faceva parte della sua famiglia da sempre. E aveva parlato, dando informazioni preziose e quindi un grande contributo al lavoro contro la mafia.
Quando Borsellino – che era come un padre per lei – venne ucciso, lei ebbe un crollo. Si sentì sola, distrutta, e tutto si incuneò in una situazione già pesante, dato che la famiglia già la odiava. Si tolse la vita lanciandosi da un palazzo la settimana dopo, era il 26 luglio 1992.
Non poté riposare neppure dopo la morte.
Ma noi la ricordiamo per il suo coraggio e il suo valore. Per aver scelto la parte giusta. E lo facciamo con queste sue ultime parole che annotò nel suo diario: “Forse un mondo onesto non esisterà mai. Ma chi ci impedisce di sognare? Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo".
A lei, il ricordo di tutti.
Leonardo Cecchi
Nessun commento:
Posta un commento