mercoledì 13 agosto 2014

Chiara che alleva 60 mucche e produce formaggio in Tanzania

Laureata, ha 32 anni, da quattro abita a due giorni di autobus da Dar es Salaam e lavora al progetto “Un bicchiere di latte per i bambini di Hanga” gestendo una mandria e producendo formaggio

PADOVA. Ha 32 anni, Chiara Minuto, padovana, bella assai, maniere semplici, gentilezza frizzante di simpatia, l’energia di un cuore intelligente e appassionato. Da quattro anni Chiara fa un lavoro antico: gestisce un allevamento di mucche. Da sola. Una mandria di 60 capi. E produce pure il formaggio. Vabbè, e che sarà? Sarà che lei tutto ciò lo fa al sud della Tanzania, due giorni di bus dalla ex capitale Dar es Salaam su una strada sterrata che nella stagione delle piogge si allaga e chissà se si passa. E sarà che lei ha imparato lo swahili.
Il “suo” villaggio, in un meraviglioso altopiano di terra rossa e vegetazione boschiva bassa, si chiama Hanga, 8 mila anime, capanne di terra e paglia, qualche volta di mattoni. Povertà. I pochi che hanno la fortuna di lavorare, operai, mettono in tasca 45 scellini tanzaniani (30 euro), gli altri si arrangiano, se riescono. A 50 chilometri da Hanga sorge un monastero benedettino dove la regola “ora et labora” convive in naturale armonia con l’anima africana, ché tutti i monaci sono locali. Quell’abbazia nacque nel 1957, voluta da tal vescovo Eberhard con la specifica esigenza, accolta, di interpretare la regola benedettina in un modo più vicino alla cultura autoctona. Nel monastero 500 bimbi vanno a scuola, ci sono il dispensario dove fan da medici alcune donne del paese con un po’ di formazione, laboratori artigianali e una piccola azienda zootecnica dove nel 2003 c’erano quattro vacche quattro e manco troppo in salute. Passò dì lì, nomen omen, il professor Arcangelo Gentile, docente a Veterinaria a Bologna, con la moglie e collega Stefania Testoni (lavorava a Padova, è mancata due anni fa e con grande passione si è spesa per questo progetto) ed altri colleghi e mise in piedi il progetto “Un bicchiere di latte per i bambini di Hanga”. Ovvero acquistò vacche da latte e andando su e giù e mandando lì anche i suoi studenti a fare esperienza, ha fatto funzionare la stalla: risultato, i bimbi di Hanga e mezzo villaggio hanno il loro bicchiere di latte quotidiano. Ed è qui, nel 2010, che comincia la storia africana di una ragazza padovana, Chiara, allora ventottenne. Una storia da raccontare tappa dopo tappa, senza fretta. A ritmo africano, appunto.
Chiara, partiamo dall’inizio. A quando ti sei laureata.
«Ho studiato “Sicurezza igienico sanitaria degli alimenti”, laurea triennale a Legnaro. E la specialistica a Veterinaria a Bologna. Poi ho lavorato in giro, anche allo Zooprofilattico di Padova e alla succursale di Vicenza, ma mi stavano uccidendo la voglia di fare con la mancanza di prospettive, la poca voglia di rinnovarsi, non riuscivo a fare ricerca».
Lavoro deludente e niente prospettive. Cosa hai fatto?
«Sono andata a Bologna dal mio professore e gli ho detto: sono stanca, voglio cambiare. Uno dei miei sogni è l’Africa. E lui: c’è un docente che con la moglie ed altri ha un progettino in Tanzania...».
E nella tua vita è entrato un Arcangelo...
«Il professore con il suo gruppo a Hanga aveva comperato vacche di buona genealogia da latte: voleva aiutare il villaggio e far uscire i suoi studenti dal chiuso della facoltà, mandarli a fare esperienza nel mondo. Mi ha guardato e mi ha detto: tu non sei una veterinaria, cosa ti faccio fare? Vabbè, vai lì e fai il formaggio. E io sono partita subito, per tre mesi, come volontaria. In seguito il professor Gentile mi ha chiesto di rimanere, retribuita. Sono rimasta quattro anni, e ci resterò per altri tre»
Raccontaci di quando sei sbarcata in Tanzania, la prima volta, da sola.
«In aeroporto, a Dar es Salaam, sono arrivati i frati a prendermi. Il mio inglese era pessimo, continuavo a rispondere yes a tutto per non fare brutta figura ma non capivo niente, e così è stato per il primo mese: un tutt’uno di situazioni imbarazzanti. Comunque, quella sera di fine luglio siamo saliti in auto e dopo 17 ore di auto siamo arrivati».
Arrivati dove?
«Al monastero dei benedettini vicino a Hanga dove da allora abito. Ho la mia stanzetta con il bagnetto. Luce e acqua ci sono quando ci sono. E’ la zona foresteria, dove stanno anche i professori o gli studenti, o i volontari quando vengono e chiunque arrivi lì».
A quel punto ti sei trovata a gestire la stalla da sola?
«C’era fra’ Nolasco che seguiva le vacche ma erano l’ombra di loro stesse. Poi è morto e mi ha affiancato Ireneus, uno dei frati giovani. E ci sono degli stallieri. Ho cominciato a fare il formaggio. E anche a fare le cartelle da appendere in stalla per ogni vacca, diciamo al posto dei microchip di qui, per monitorarle, sapere quanto camminano al giorno, se tanto sono in calore, se poco possono essere malate. Quando vengono montate e via. Come facevano i nostri vecchi. Nella stagione delle piogge produciamo 80-100 litri di latte al giorno, se è secco 30-50. E’ destinato ai bambini della scuola, e per gli altri del villaggio che arrivano a prenderlo con i secchi; quel po’ che avanza lo vendiamo la mattina dopo al mercato»
Produci formaggio a sud della Tanzania?
«
Sì. E’ una produzione incostante perché nei mesi di secca non avanza latte anche per il formaggio. I frati e i bambini delle scuole lo apprezzano molto, i locali preferiscono il formaggio fresco ma io lo faccio assaggiare, metto i cartelli e faccio tipo degustazioni itineranti nel villaggio e un po’ alla volta...».
Come si svolge la tua giornata?
«
Mi alzo alle 7.30, faccio colazione con i frati: latte che mungo io, buonissimo, un profumo che senti da lontano, riso, zuppa di fagioli e ceci. Poi vado in stalla, parlo con i lavoratori: un po’ alla volta ho cominciato ad apportare cambiamenti ma solo quanto ho imparato a comunicare. E a capire che dietro ogni cosa, magari per me sbagliata, c’era una spiegazione. Un problema a monte da risolvere prima. Esempio: il letamaio era troppo vicino alla stalla: spostiamolo, facile. Ma se l’unica carriola, molto pesante, è mezza rotta non si può fare troppa strada...».

http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2014/08/10/news/chiara-che-alleva-60-mucche-e-produce-asiago-in-tanzania-1.9740369

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