Una molecola contenuta nella salsa di soia può curare l’HIV (Aids)
UN COMPONENTE IL NOTO CONDIMENTO ORIENTALE È EFFICACE CONTRO L'HIV
Virologi statunitensi trovano nella salsa di soia giapponese una molecola capace di bloccare la diffusione del virus HIV, che causa l’AIDS. Questa sostanza è risultata 70 volte più potente nel combattere il virus che non il più noto farmaco utilizzato a oggi per il trattamento, e a cui il virus diviene resistente
LM&SDP
Un componente la salsa di soia è stato trovato essere 70 volte più potente che un noto farmaco contro il virus dell'HIV. Photo Credit: MOs810, Wikimedia Commons
Il virus dell’HIV – che è anche causa dell’AIDS – si può comportare come alcuni batteri, divenendo resistente ai farmaci che dovrebbero debellarlo. Questo, secondo gli scienziati, è il prezzo del successo quando si tratta di curare l’HIV.
La resistenza è una grande, serio problema. Come per i batteri che resistono agli antibiotici, i virus che divengono resistenti ai farmaci rendono impossibile curare la malattia, portando, nella gran parte dei casi, i pazienti alla morte.
E’ il caso dei trattamenti con il Tenofovir, uno dei farmaci più utilizzati contro l’HIV. Il virus che causa l’AIDS diviene in molti casi resistente al farmaco, per cui la cura fallisce. Conscio di questo problema, il virologo Stefan Sarafianos del Bond Life Sciences Center dell’Università del Missouri ha condotto uno studio in cui si è scoperto che una molecola contenuta nella salsa di soia giapponese è 70 volte più potente del Tenofovir nel bloccare la diffusione del virus HIV. Questa molecola è chiamata “EFDA”.
La resistenza è una grande, serio problema. Come per i batteri che resistono agli antibiotici, i virus che divengono resistenti ai farmaci rendono impossibile curare la malattia, portando, nella gran parte dei casi, i pazienti alla morte.
E’ il caso dei trattamenti con il Tenofovir, uno dei farmaci più utilizzati contro l’HIV. Il virus che causa l’AIDS diviene in molti casi resistente al farmaco, per cui la cura fallisce. Conscio di questo problema, il virologo Stefan Sarafianos del Bond Life Sciences Center dell’Università del Missouri ha condotto uno studio in cui si è scoperto che una molecola contenuta nella salsa di soia giapponese è 70 volte più potente del Tenofovir nel bloccare la diffusione del virus HIV. Questa molecola è chiamata “EFDA”.
«I pazienti HIV trattati con Tenofovir possono sviluppare la mutazione K65R RT che causa un fallimento di questa prima linea di difesa – ha spiegato nel comunicato UM il prof. Sarafianos – Non solo l’EFDA funziona contro l’HIV resistente, ma funziona anche 10 volte meglio sul virus selvatico dell’HIV che non è diventato Tenofovir resistente».
Il team di ricerca coordinato dal dott. Sarafianos ha trovato che l’EFDA viene attivata più facilmente dalle cellule e non è disgregata più velocemente dal fegato e i reni, come accade con i farmaci esistenti.
«Questi due motivi – sottolinea Sarafianos – la rendono più potente di altri farmaci, pertanto il nostro compito è quello di osservare le caratteristiche strutturali che lo rendono un farmaco eccezionale».
La storia dell’EFDA è piuttosto curiosa. E’ infatti stata scoperta per caso dall’azienda che produce questo tipo di salsa di soia, la Yamasa. Nel 2001, durante un normale processo per migliorare il sapore della salsa, si è trovato che questo esaltatore di sapidità rientrava in una famiglia di composti analoghi, chiamati “nucleosidici”, che sono molto simili ai farmaci esistenti per l’HIV e altri virus. I campioni di questa molecole inviati per ulteriori test hanno confermato la potenziale utilità dell’EFDA contro l’HIV, cosa che ha dato vita a più di un decennio di ricerca per individuare ciò che rende così speciale questo composto.
L’attività dell’EFDA si contraddistingue per l’unione con una classe di composti chiamati “inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa” (NRTI), che comprendono otto tipi di farmaci anti-HIV, si legge nel comunicato UM. Come tutti i NRTI, l’EFDA dirotta il processo che l’HIV utilizza per diffondersi,ingannando un enzima chiamato “trascrittasi inversa” (RT).
L’RT aiuta a costruire il nuovo DNA dal RNA dell’HIV, ossia l’assemblaggio dei blocchi nucleosidici in una catena. Poiché EFDA assomiglia a uno di quei mattoni, RT viene ingannato e indotto a utilizzare l’impostore. Quando questo accade, il codice del virus non può essere aggiunto al DNA e i globuli bianchi lo attaccano.
«I NRTI sono chiamati terminatori di catena – precisa Sarafianos – perché bloccano la replicazione della catena del DNA, e una volta che questi sono incorporati il virus si trova in un vicolo cieco».
A dare manforte al team del prof. Sarafianos nell’esplorare il potenziale della molecola, e in questa ricerca, c’è anche l’Università di Pittsburgh, nella figura del biochimico Michael Parniak, e Hiroaki Mitsuya del National Institutes of Health. Il prof. Mitsuya aveva già dato una mano a scoprire i primi tre farmaci per il trattamento dell’HIV e Parniak ha trascorso anni valutando trattamenti per l’HIV utilizzando colture di globuli bianchi del sangue.
«Vogliamo capire quanto tempo l’EFDA rimane nel sangue e nelle cellule – spiega Parniak – Se comprendiamo strutturalmente perché questo farmaco è così potente, la possibilità di sviluppare magari molecole aggiuntive altrettanto potenti e una combinazione di queste molecole, potrebbe essere un successone».
Ma la cura non è tutto, ricordano i ricercatori. Come sappiamo, l’arma più potente è sempre la prevenzione.
«L’unico modo che abbiamo per fare la differenza con l’HIV è la prevenzione. Se siamo in grado di prevenire la trasmissione, questo approccio potrebbe fare una differenza enorme nel ridurre al minimo la continua diffusione della malattia, in combinazione con le terapie esistenti per le persone già infettate», conclude Parniak.
Il team di ricerca coordinato dal dott. Sarafianos ha trovato che l’EFDA viene attivata più facilmente dalle cellule e non è disgregata più velocemente dal fegato e i reni, come accade con i farmaci esistenti.
«Questi due motivi – sottolinea Sarafianos – la rendono più potente di altri farmaci, pertanto il nostro compito è quello di osservare le caratteristiche strutturali che lo rendono un farmaco eccezionale».
La storia dell’EFDA è piuttosto curiosa. E’ infatti stata scoperta per caso dall’azienda che produce questo tipo di salsa di soia, la Yamasa. Nel 2001, durante un normale processo per migliorare il sapore della salsa, si è trovato che questo esaltatore di sapidità rientrava in una famiglia di composti analoghi, chiamati “nucleosidici”, che sono molto simili ai farmaci esistenti per l’HIV e altri virus. I campioni di questa molecole inviati per ulteriori test hanno confermato la potenziale utilità dell’EFDA contro l’HIV, cosa che ha dato vita a più di un decennio di ricerca per individuare ciò che rende così speciale questo composto.
L’attività dell’EFDA si contraddistingue per l’unione con una classe di composti chiamati “inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa” (NRTI), che comprendono otto tipi di farmaci anti-HIV, si legge nel comunicato UM. Come tutti i NRTI, l’EFDA dirotta il processo che l’HIV utilizza per diffondersi,ingannando un enzima chiamato “trascrittasi inversa” (RT).
L’RT aiuta a costruire il nuovo DNA dal RNA dell’HIV, ossia l’assemblaggio dei blocchi nucleosidici in una catena. Poiché EFDA assomiglia a uno di quei mattoni, RT viene ingannato e indotto a utilizzare l’impostore. Quando questo accade, il codice del virus non può essere aggiunto al DNA e i globuli bianchi lo attaccano.
«I NRTI sono chiamati terminatori di catena – precisa Sarafianos – perché bloccano la replicazione della catena del DNA, e una volta che questi sono incorporati il virus si trova in un vicolo cieco».
A dare manforte al team del prof. Sarafianos nell’esplorare il potenziale della molecola, e in questa ricerca, c’è anche l’Università di Pittsburgh, nella figura del biochimico Michael Parniak, e Hiroaki Mitsuya del National Institutes of Health. Il prof. Mitsuya aveva già dato una mano a scoprire i primi tre farmaci per il trattamento dell’HIV e Parniak ha trascorso anni valutando trattamenti per l’HIV utilizzando colture di globuli bianchi del sangue.
«Vogliamo capire quanto tempo l’EFDA rimane nel sangue e nelle cellule – spiega Parniak – Se comprendiamo strutturalmente perché questo farmaco è così potente, la possibilità di sviluppare magari molecole aggiuntive altrettanto potenti e una combinazione di queste molecole, potrebbe essere un successone».
Ma la cura non è tutto, ricordano i ricercatori. Come sappiamo, l’arma più potente è sempre la prevenzione.
«L’unico modo che abbiamo per fare la differenza con l’HIV è la prevenzione. Se siamo in grado di prevenire la trasmissione, questo approccio potrebbe fare una differenza enorme nel ridurre al minimo la continua diffusione della malattia, in combinazione con le terapie esistenti per le persone già infettate», conclude Parniak.
http://www.lastampa.it/2014/05/12/scienza/benessere/medicina/una-molecola-contenuta-nella-salsa-di-soia-pu-curare-lhiv-aids-DxIUuuit3FviQknLZe2veM/pagina.html?ult=3
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