Ricostruire insieme la città
A Roma 17 e 18 gennaio 2014 si terrà il secondo Convegno annuale della Società dei Territorialisti/e si chiama “Ricostruire la città”. Nella due giorni ci saranno divese occasioni di confonto sui processi di urbanizzazione contemporanea che sembra abbiamo sepolto l’idea di città. La domanda chiave su cui tutti convergeranno è questa: è ineluttabile questo destino catastrofico di urbanizzazione del mondo?
di Società dei Territorialisti/e
Un celebre motto che risale all’epoca della formazione dei primi comuni italiani ed europei recitava che: l’aria della città rende liberi. Con tale espressione, originariamente, si alludeva al fatto che i servi della gleba potevano affrancarsi dalla loro condizione di schiavitù se avessero trovato lavoro in città. Questa frase assunse una valenza più estesa e, insieme più politica, allorquando Karl Marx la utilizzò contro le tesi prodotte dall’ideologia antiurbana (Fourier, Sant-‐Simon, Cabet, Godin, Owen, Babeuf) che vedevano nella città il luogo della corruzione, del malaffare, degli avvocati disonesti e dei banchieri corrotti.
Al contrario, il filosofo di Treviri vedeva nelle prime città industriali il luogo di emancipazione degli individui finalmente sottratti al destino di idiotismo rustico. La città industriale (o moderna) diventava così il luogo della concentrazione delle singole persone, il luogo dell’incontro, della socializzazione. Essa è, in primo luogo, comunità degli uomini liberi. Marx interpreta e anticipa i nuovi tratti della modernizzazione: il processo di concentrazione urbana è letto come condizione necessaria, storica. Si annuncia l’idea di Progresso contro le forme di produzione pre-‐capitalistiche di cui erano espressioni la campagna e il borgo medioevale.
La storia della città moderna diventa storia di urbanizzazione della campagna, e non più relazione di interscambio fra città e campagna. Nella fase preindustriale la città europea ha rappresentato uno degli esiti più riusciti della coevoluzione fra natura e cultura, dell’uso sapiente delle risorse ambientali, territoriali e paesaggistiche nel costruire una “seconda natura” più complessa e al tempo stesso più fragile della prima. Lo sviluppo delle forze produttive crea la nascita di un paesaggio urbano fino ad allora sconosciuto. La città moderna nasce infatti con la rivoluzione industriale, con l’avvento della Grande Fabbrica localizzata sul territorio, con lo sfruttamento delle miniere da cui estrarre le materie prime, con lo sviluppo dei commerci, con le banche, con le società di mutuo soccorso, le istituzioni pubbliche, con le prime forme di welfare. A questa città è stato dato il nome di “moderna”.
Nella seconda metà del secolo scorso assistiamo a una gigantesca mutazione del mondo, che ha comportato il superamento della città moderna. Soprattutto è la de-‐territorializzazione della Grande Fabbrica fordista a riverberarsi direttamente sulla organizzazione fisica e sociale della città. La città fordista si scompone e esplode nel territorio nelle macrofunzioni dettate dal sistema della grande fabbrica, seppellendo città, borghi, paesaggi agrari, culture, comunità. La civiltà delle macchine compie il suo cammino di separazione tra cultura e natura.
Il predominio dell’economia delinea direttamente i nuovi paesaggi della contemporaneità, del suo vivere e del suo abitare; esso travalica lo spazio dei confini (morfologici, ecologici, sociali), condiziona le forme viventi e sostituisce la politica nel conferire senso (o non-‐senso) al territorio. Il processo di urbanizzazione contemporanea travalica le regole della città moderna producendo una periferia sconfinata. Oggi la metà della popolazione mondiale vive in queste urbanizzazioni e le previsioni ufficiali prevedono, con una loro crescita esponenziale nel sud e nell’est del mondo, che essa raggiunga i sei miliardi e 400mila abitanti inurbati al 2050. Al tempo stesso l’emigrazione dai paesi poveri verso le megacities riproduce la categoria della periferia al livello planetario. L’intero pianeta diventa un’immensa meta-‐città che-‐si-‐fa-‐mondo.
Questo processo di urbanizzazione globale nei nostri territori europei, in stasi demografica, si chiama ha assunto i connotati di una metropolizzazione dei sistemi regionali: un continuum indifferenziato di funzioni e flussi che va dal centro verso i comuni limitrofi annullando confini, campagne, limiti riconoscibili, presenze, comunità. Una globalizzazione territoriale sotto forma di un rullo compressore che riduce ad unicum un paesaggio fatto di memorie, storie, vissuti, diversità come fosse un territorio di attraversamento senza più soste, senza più segni di identità.
E tuttavia questa tendenza non solo non viene ostacolata, contrastata, combattuta da chi ritiene che le diversità, i luoghi, le identità, i modelli socioculturali e perfino le lingue locali e i dialetti siano patrimoni indiscutibili di ricchezza culturale, antropologica, sociale, ma anzi essa viene teorizzata e accolta come evento progressivo. L’urbanizzazione omologante del mondo diviene un destino considerato ineluttabile dell’umanità. Nessuno nota lo strano paradosso per cui da una parte gli stessi sostenitori di questo termine-‐ concetto si prodigano nel predicare una politica di arresto di consumo del suolo e, dall’altra, sostengono le ragioni di una tale anonima mostruosità che fa letteralmente sparire ogni traccia di territorio agricolo a favore di un tessuto indifferenziato di abitazioni, centri commerciali, snodi intermodali, magazzini, depositi di stoccaggio, banche, agenzie immobiliari, meri aggregati di servizi e di funzioni favorendo una vera e propria ideologia di un ulteriore crescita.
Le megalopoli del sud e dell’est del mondo -‐ le cui immagini, fatte di grattacieli, slums, favelas, sono del tutto estranee alla cultura storica occidentale (anche se sono il prodotto della globalizzazione occidentale)-‐ sanciscono la morte della ville, in quanto spazi seriali indifferenziati, decontestualizzati, senza servizi, senza urbanità. Inoltre la crescita delle megacities, con miliardi di inurbati dalle campagne che non produrranno più cibo, si accompagna al processo in corso di riduzione mondiale dei terreni fertili, accentuando in modo insostenibile una contraddizione già oggi insanabile. Il secondo Convegno annuale della Società dei Territorialisti/e si chiama “Ricostruire la città” perché riteniamo che i processi di urbanizzazione contemporanea abbiano sepolto l’idea di città e intende rispondere alla seguente domanda: è ineluttabile questo destino catastrofico di urbanizzazione del mondo?
Intende perciò affrontare le questioni sollevate sollecitando contributi che configurino esperienze e percorsi alternativi e innovativi di varia natura, che si interessano tanto delle forme quanto dei processi di ricostruzione della città, come ad esempio: favorire un rapporto di coevoluzione e di cura tra insediamento umano ed ambiente; ritrovare gli equilibri ecosistemici che legavano la città con la propria base ambientale (approccio bioregionale) che permetta di chiudere i cicli vitali (dell’acqua del cibo, dell’energia, dei rifiuti) e di produrre nuovo territorio; riportare le dimensioni urbane ad essere compatibili sia con la soddisfazione di questi cicli vìtali, sia con relazioni sociali di prossimità, partecipazione e autogoverno; ricostruire la qualità della vita urbana anche mediante cinture agricole peri-‐urbane produttrici di cibo sano a km zero e estesi parchi agricoli multifunzionali; ridefinire e riqualificare i margini urbani; salvaguardare le città dalle conseguenze sempre più catastrofiche del dissesto idrogeologico e dai cambiamenti climatici; evitare che si producano aree di abbandono anche attraverso regole di “ricostruzione”, il recupero dei saperi edilizi e urbanistici, il ripristino di regole dell’abitare.
Giocano un ruolo non secondario nel superamento del modello metropolitano i processi e le pratiche di riappropriazione, di costruzione, autocostruzione e autorganizzazione degli abitanti; la sperimentazione di modelli inclusivi ed efficaci di partecipazione alla progettazione, alla pianificazione e alla definizione di politiche pubbliche; l’uso di strumenti interattivi e di facilitazione; la sperimentazione di reti e di economie alternative e di prossimità, così come la produzione di qualità estetiche, relative anche ai processi integrati e partecipati dell’arte pubblica.
La Call for Poster intende proporre collettivamente un’alternativa possibile ai problemi sollevati, chiedendo di contribuirvi con contributi che mostrino, il più possibile in forma integrata e dialettica, teorie, strumenti, azioni e casi di studio che siano di aiuto non solo al progresso della scienza, ma anche agli attori istituzionali, politici, economici, culturali e sociali che intendono rendere efficace il cammino verso la “ricostruzione della città”.
Per informazioni: societadeiterritorialisti.it
Foto tratte da Dispatchwork: Ricostruire le città con la street art
http://comune-info.net/2014/01/ricostruire-la-citta/
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