Contadini e filiere corte
Nei nonluoghi del mercato globale, tra l’appiattimento dei gusti e “l’importante è consumare”, si insinua un ritorno alla terra, come dimostrano i dati Istat sull’agricoltura, in particolare quella contadina. Per questo sempre più gruppi di cittadini e organizzazioni mettono legna al fuoco del progetto di riconversione agricola: parlano di filiere alimentari sostenibili, chilometro zero e alleanze tra produttori e consumatori.
di Angelo Mastrandrea
Non poteva avere obiettivo più diretto, l’annuale convegno della Società dei territorialisti (nei giorni scorsi si è svolto quello del 2014, Ricostruire insieme la città), svoltosi a Milano alla fine di maggio: “Ritorno alla terra”. I territorialisti non sono post leghisti né ideologi del Nimby – acronimo di “not in my backyard”, “non nel mio giardino” –, appendice estrema e conservatrice della resistenza all’apertura delle frontiere geografiche e culturali. Sono architetti, ingegneri, docenti universitari, attivisti neoruralisti. Un po’ seguaci del filosofo della “decrescita” Serge Latouche, un po’ teorici dell’alleanza tra produttori e consumatori, tutti proiettati verso un modello di sviluppo eco-compatibile, si definiscono “entomologi del territorio”.
Per questo si pongono agli antipodi rispetto ai nonluoghi del mercato globale, all’appiattimento dei gusti e dei consumi, alla globalizzazione che sotterra ogni identità. In questo momento, sono la punta teorica avanzata di un fenomeno che, nella crisi del neoliberismo, prende sempre più piede: quello del ritorno alla terra, appunto. Per inquadrarlo al meglio è necessario fare un po’ di conti: la Cgil e Sbilanciamoci hanno stimato nel 25% la perdita di produzione industriale in Italia dal 2008 a oggi; viceversa, ci dice l’Istat, in agricoltura le assunzioni sono aumentate del 3,8% rispetto allo scorso anno. In questo quadro, il biologico fa registrare addirittura un +10% di fatturato: basta farsi un giro nei mercatini bio di mezza Europa, specie nei paesi del Nord dove la diffusione di questi prodotti è di massa, per rendersi conto di come il cibo italiano sia diffuso.
Se si pensa che nel 1860, al momento dell’unificazione, l’Italia era un paese che viveva al 90% di agricoltura, e di come la “civiltà contadina” di cui tesseva le lodi il poeta-scrittore-politico Rocco Scotellaro sia stata spazzata via a partire dal dopoguerra, potremmo essere di fronte, oggi, al primo segnale di inversione di tendenza. I territorialisti, dal canto loro, mettono legna al fuoco del progetto di riconversione agricola: parlano di filiere alimentari sostenibili, chilometro zero e alleanze tra produttori e consumatori. Propositi tanto affascinanti quanto realizzabili, a Nord, se si pensa che l’Expo 2015 di Milano avrà come tema portante l’alimentazione, tra i consulenti scientifici c’è l’ecologista indiana Vandana Shiva e un po’ di risorse stanno andando alla ristrutturazione delle vecchie cascine lombarde, alcune inglobate nello sprawl urbano, altre tuttora in aperta campagna.
Anche a Roma, la città d’Europa con più terreni agricoli, si sta affermando un movimento di “nuovi contadini” che formano cooperative e si attrezzano a coltivare in maniera attenta alla salute e al territorio. (…) “Questo settore è per sua natura precario. Su un milione e centomila lavoratori, solo centomila hanno un contratto a tempo indeterminato”, mi spiega Davide Fiatti della Flai Cgil. La seconda è l’accesso alla terra: è forse esagerato affermare che siamo in una situazione analoga a quella dell’immediato dopoguerra, prima della riforma agraria, però gli intoppi, per un giovane che voglia mettersi a fare questo lavoro, sono notevoli.
( …) In Francia il problema è stato affrontato dando in comodato d’uso gratuito per due anni le terre incolte nelle mani dello Stato, e altrettanto si potrebbe fare da noi. I benefici potrebbero essere notevoli: stando alle stime della Confederazione italiana agricoltori (Cia), dall’agricoltura potrebbero nascere 150mila nuovi posti di lavoro, offrendo uno sbocco alla crisi occupazionale dei giovani.
La Coldiretti si spinge persino più in là: i nuovi occupati potrebbero essere 200mila. Già nel 2012, a fronte di una recessione in quasi tutti i settori produttivi, quello agricolo è andato in controtendenza, facendo registrare una crescita dell’1,1 del Pil. (…)
Lo scorso 10 maggio le organizzazioni che ne fanno parte – tra le quali l’Aiab, le associazioni Terra e Da Sud, la Flai Cgil – hanno manifestato su un terreno di 22 ettari, di proprietà del comune, a Borghetto San Carlo, sulla via Cassia. L’obiettivo dei manifestanti era di far sì che il comune lo affittasse a una cooperativa di giovani agricoltori. (…)
Nei Distretti di economia solidale (Des), molto attivi in particolare in Brianza, i gruppi di acquisto (Gas) fioriti in risposta alla crisi ma anche all’esigenza di consumare prodotti a chilometro zero e con garanzie di qualità, si incontrano con i coltivatori, accorciando drasticamente la filiera produttiva e sperimentando un modello mutualistico. L’obiettivo – rilanciato al convegno annuale della Società dei territorialisti – è quello di creare una Rete nazionale di economia solidale, esportando il modello in tutto il paese. (…)
L’articolo completo è su rassegna.it
http://comune-info.net/2014/01/agricoltura-e-nuvoi-contadini/
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