sabato 1 marzo 2014

House of Cards, la serie tv che fa crollare i castelli di carta della politica

Distribuita su Netflix, è ora disponibile la seconda stagione: 13 episodi tutti da gustare, di cui qualcuno diretto da Kevin Spacey, il Frank Underwood della serie, e da Robin Wright, la moglie del deputato.







Gianmaria Tammaro Gianmaria Tammaro



House of Cards, la serie tv che fa crollare i castelli di carta della politica.
«La democrazia è sopravvalutata», sguardo fisso in camera, faccia abbronzata, pettinatura perfetta; Frank Underwood è nel mezzo di uno dei suoi monologhi: tete-a-tete col pubblico, all’oscuro degli altri protagonisti di House of Cards, tono profondo e modi affabili da cicerone. È questo il segreto del successo della serie tv targata Netflix, la prima nel suo genere: i suoi personaggi e la sua sceneggiatura. I suoi dialoghi attenti e studiati, l’interpretazione da manuale – granitica – dei suoi interpreti, e una regia attenta, furba, che sa dove fermare (o non fermare) l’attenzione della camera. In principio voluta da Kevin Spacey e David Fincher, ora uno dei prodotti più visti ed apprezzati del piccolo schermo (intesto, stavolta, come computer). Netflix lo manda in onda; il formato è innovativo: puoi, se vuoi, scaricare tutte le puntate in una volta sola. È, in altre parole, la risposta allo streaming illegale, ai vari Torrent e Limewire. È il colpo di mano – la trovata geniale che inverte le parti.
Kevin Spacey è il protagonista. Nei panni del deputato Frank Underwood, racconta la scalata verso il potere e il successo: dalle chiavi del Congresso alla Stanza Ovale della Casa Bianca. Al suo fianco, c’è la bellissima Robin Wright, vincitrice del Golden Globe per la Migliore interpretazione femminile in una serie tv. E tanti altri attori, tra cui Kate Mara, che fanno risplendere House of Cards di luce propria: un gioiellino che riesce ad unire cinema d’autore (David Fincher è, insieme ad Aaron Sorkin, creatore a sua volta della serie The Newsroom, la mente dietro a The Social Network), innovazione e talento – puro e semplice. La prima stagione è durata tredici episodi, ciascuno della durata di circa cinquanta minuti. Stessa cosa la seconda, disponibile su Netflix dallo scorso 14 Febbraio (il tweet di Obama, «domani ricomincia House of Cards. No spoiler», è stata probabilmente la migliore pubblicità che si potesse avere). La storia gira tutta attorno al personaggio di Frank Underwood, alla politica – quella sporca: quella che «o la va o la spacca» – e al potere. Non importa come, chi, quando e dove; l’unica cosa che conta è il successo. Chi perde nel duro gioco di Palazzo non ha una seconda possibilità: una visione viscerale della vita. Come, ovviamente, della politica stessa.


Remake (perché riprende l’idea di una serie british) e allo stesso tempo originale, una Washington DC senza veli, musa tra le muse, il bianco del marmo e il rosso del sangue – perché sì, c’è anche il sangue. Appena due stagioni e House of Cards è già cult: in primis per la bravura di Kevin Spacey, un Riccardo III perfetto ed eterno che con il suo meta-teatro (o in questo caso: meta-tv) coinvolge e trascina lo spettatore nei meandri più estremi e bui della storia – quando la sua voce tuona, noi tremiamo; quando il suo viso arrossisce per la rabbia, cominciamo ad avere paura. E in secundis per il personaggio di Frank Underwood: cinico, egocentrico; pronto a tutto pur di ottenere quello che vuole non esiterebbe in nessuna azione – nessuna. È la politica come la vogliamo – volenti o no – oggi; la politica come forse, purtroppo, sarà ancora.

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