Cécile Kyenge è nata a Kambove in Congo 49 anni fa, vive da anni a Castelfranco dell’Emilia assieme alla sua famiglia, è medico oculista e impegnata politicamente nel Pd. Ci vuole poco a sapere qualcosa di lei, basta andare su internet e digitare il suo nome, anche perché è deputato e quindi una sua, ancorché sintetica, scheda, si trova molto facilmente. Invece, i telegiornali di ieri e i giornali di questa mattina, tutti in coro, preferiscono definirla, in alcuni casi esultando in altri annunciando ferro e fuoco, la ministra “di colore”.
Si dirà: in qualche modo bisogna pure che si capisca che per il nostro paese si tratta della prima ministra non bianca. E alcune definizioni del passato – cito per tutti “negro” – fortunatamente sono state bandite anche in Italia. E allora, come altro definire la signora Cécile Kyenge?
Vorrei in ogni caso mettere in guardia i giornalisti e in generale chi usa espressioni di questo tipo del fatto che, se la nuova “moda” è quella di definire fisicamente i ministri (anche se solo per sottolinearne i caratteri di novità), la china è tutta in discesa. Infatti, l’ex ministro dell’integrazione (parola a sua volta che molti, e io con loro, giudichiamo inappropriata e volgare) avrebbe tranquillamente potuto essere definito un “senza colore”, o “scolorito” o ancora “decolorato”, e non sono mancati i ministri “nani”, quelli “storpi” o con altre menomazioni fisiche, i ministri calvi, quelli “panzoni”, quelli con le gambe storte e quelli con i capelli rossi. Insomma, se si volesse cedere alla tentazione di definire i ministri del nuovo governo in base alle caratteristiche fisiche dei suoi componenti, ci sarebbe da divertirsi.
La verità è che, nel momento in cui Enrico Letta ha annunciato il nome della nuova ministra dell’integrazione (scusate la parola), si è scelta la strada più “naturale”, quella dello stigma “etnico”. Per evitare scivoloni razzisti sarebbe bastato andare a leggere quello che in proposito dice l’Accademia della Crusca: “L’espressione ‘di colore’ – da molti ritenuta neutra e priva di connotazione negativa – è stata in anni recenti messa sotto accusa… In attesa di uno studio che dell’espressione ci fornisca, tanto in diacronia quanto in sincronia, contesti, occorrenze e co-occorrenze, frequenze d’uso, si fa strada la sensazione che il significato di ‘di colore’ – eufemismo adottato per sostituire l’offensivo negro – invece di essere percepito come neutro, metta l’accento proprio sulla caratteristica (il colore della pelle) che si vorrebbe non evidenziare e non discriminare. E quindi si tende a preferire ‘nero’, in generale, per indicare tutte le gradazioni più scure del colore della pelle…. Il punto vero è che – al di là di opzioni più o meno accettate – sarebbe meglio specificare il colore della pelle solo se effettivamente necessario ai fini della comprensione del messaggio o dell’informazione che si vuole trasmettere. Non certo per nascondere una caratteristica fisica; semmai – al contrario – per non rimarcarla quando non serve. Come si fa, d’altronde, comunemente, con tutte le altre pigmentazioni: quante volte ci è realmente capitato, o ci capita – e la domanda è retorica – di dover specificare che qualcuno è ‘bianco’, o appartiene al gruppo dei ‘bianchi’?”.
Inutile ricordare che negli Stati Uniti, dove di queste questioni se ne intendono, il termine “coloured”, usuale fino agli anni sessanta o settanta, è ormai considerato un insulto, e che le dizioni correnti, per le diverse provenienze geografiche della popolazione, sono “african american”, “native american” e, perfino, “italian american”. Dunque, chi avrebbe bisogno di “integrazione” – all’uso corretto delle parole – sono i giornalisti che ripetono “di colore”.
Post scriptum. Mentre stavamo mettendo nel sito questa nota, un uomo ha sparato a due carabinieri davanti a Palazzo Chigi, episodio su cui è subito cominciata la speculazione attorno a chi – il Movimento 5 Stelle – ha “creato il clima”, ecc. (e il M5S si è subito prodotto in una tipica “excusatio non petita”: ma noi siamo pacifici, e così via). Ma il dettaglio interesssante, a proposito del colore, è che secondo le primissime notizie delle televisioni lo sparatore era “un cittadino maghrebino”, cioè arabo, nordafricano. Si è saputo poi che si tratta di una persona originaria della Calabria, di Rosarno. Come mai si è diffusa, a caldo, la notizia che si trattasse di un maghrebino? Qual è la differenza di “colore” tra un arabo e un calabrese?
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