lunedì 1 aprile 2013

La volta che feci piangere il Califfo

Franco Califano (Ansa)


Ho trovato questa intervista inedita che feci a Franco Califano esattamente nove anni fa. Approfitto di questo spazio per pubblicarla. Racconta un Califfo diverso da come lo conosciamo. E forse non sta male in questo blog che di solito è dedicato ad altro, ma parla pure sempre di cose che non sono come sembrano.
Milano, 2004. «Io so’ stato Califano prima di essere Califano.  Quando non ero famoso, con le donne ci davo già da tutte le parti. Intanto, ero bello da far rabbrividire. E poi, ci sapevo fare come pochi. Io so quanto è importante la passione, so che richiede applicazione e io, modestamente, mi applico. Se vado a letto con una donna, lascio il segno. Mi sono fatto la fama di amatore andando con donne bellissime e facendo quello che dovevo fare. A Roma si dice: “Fatti il nome e fregatene” e io così ho fatto. Io, che sono stato bellissimo, oggi sono un uomo affascinante, una specie di Flavio Briatore della canzone». Franco Califano si interrompe: «Spenga quell’aggeggio. Alle donne non concedo di intervistarmi col registratore, la mia voce costa».
Cominciamo bene: il Califfo è proprio lo spaccone che mi aspetto. Non quello delle imitazioni di Fiorello («Ao’, me so’ svegliato alle quattro e ho svuotato il frigorifero» e via così), quanto l’ultimo sciupafemmine  in un mondo, a suo dire, di uomini-femminucce. A 65 anni, ha scritto tremila canzoni e ha amato, parola sua, altrettante donne. Ora è tornato con un disco-antologia.  Chiedo: che effetto le fa essere un’icona trash? «Dipende: se trash me lo dice una donna bella, mi sta bene; se me lo dice un uomo, non so se sono contento. E c’è trash e trash: Er Piotta e i nuovi coatti so’ trash, ma nun c’hanno grazia».

“Tutto il resto è noia…”
«… No, non ho detto gioia, ma noia, noia, noia». Impossibile  non avere queste parole in testa mentre vai a intervistare Califano. Io (ingenua!) non avevo mai capito che è «noia tutto, tranne il sesso». Io (ingenua!) pensavo che, se uno è spaccone, lo rimane sempre. Invece eccolo, Califano, parla di depressione e di crisi di panico, di acciacchi e di delusioni, confessa che sogna una donna che sia per sempre. Racconta di essersi lasciato da poco con Monica Ciccolini, trentacinquenne ex consigliere regionale di Forza Italia in Lazio: «È la prima volta che faccio sei mesi di castità», confessa. «Non è che stavo male per Monica, ma avevo le crisi di panico, ero al primo gradino della depressione. Il giorno del mio compleanno, sono venuti a casa nipoti e amici. Io mi sono chiuso dentro una stanza e non volevo più uscire. Io che so’ cantante  so’ nato per sta’ tra la folla, avevo paura della gente». Lui non sa darsene una spiegazione e minimizza: «Le malattie nervose quando arrivano, arrivano. Per fortuna, sono guarito prendendo mezza pillola al giorno». La spiegazione dei suoi malesseri, però, la capirò più avanti. Quando (beata ingenuità!) farò una domanda che non dovevo fare.
 Ha vissuto spericolatamente
È stato in galera due volte, tre anni in totale, indagato con Walter Chiari e poi con Enzo Tortora. L’hanno accusato (e assolto) quasi di tutto: «Sfruttamento della prostituzione e pedofilia, associazione per delinquere e spaccio internazionale di droga… Un grosso mafioso non c’ha la reputazione che c’ho avuto io», commenta. «Ho pagato per la mia faccia da colpevole». È stato poco attento a chi frequentava, sì, ma si difende: «A me non m’hanno mai trovato niente e so’ venuti a perquisirmi mille volte». Beata ingenuità, insisto su questo tasto, sulla vita notturna e i boss della mala, sulla cocaina e sulle condanne e finisce che lo devo riportare dal suo manager mentre sta male, si agita, ha una specie di tachicardia e le lacrime agli occhi: «Ancora con queste storie? Perché nessuno mi chiede quanto so’ stato male quando è morta mamma? Perché è una cosa delicata e non fa parlare». Però viene fuori il Califano più vero, quello che dice, tenerissimo: «Questa è la prima volta che una casa discografica mi mette su un aereo e mi manda a Milano, mi prende un albergo e mi fa incontrare tanti giornalisti.  Da anni pubblicavo con le etichette indipendenti e non mi sentivo considerato. A me una spinta non l’ha mai data nessuno». Ora si spiegano meglio gli attacchi di panico, l’ansia per una svolta tanto importante. Questo è il Califano che sa intristirsi: «Ho perso un fratello di 40 anni per un tumore e lo stesso mese se n’è andato suo figlio:  aveva 22 anni e la leucemia. Mia cognata passa la giornata sulle due tombe. Gira svanita e mi telefona: dice che il marito vuole che io preghi. Ma non puoi credere a Dio quando si prende tuo fratello e tuo nipote così. E non puoi credere a quello che dice la Chiesa quando sei stato in collegio coi preti». È il Califano che ricorda l’infanzia: «Eravamo poveri, ma non come i poveri di oggi con la parabola sul balcone. Perciò i miei mi mandarono in istituto». Uno pensa che già allora sognava di fare il cantante, macché: «Pensavo ai miei genitori che mi mancavano, mica sognavo».

Ha scritto venti album
E ha preso una laurea honoris causa in filosofia  all’università Costatinian University di New York per «aver scritto una delle più belle pagine della canzone italiana». In tanti dissero che se l’era inventata e ancora gli brucia: «Prima che a me, l’hanno dato a Edoardo De Filippo e al presidente della RepubblicaFrancesco Cossiga e nessuno ha detto “bah”. A me mi hanno invitato, ho fatto due anni di esami a distanza». Ora il «Prevert di Trastevere» ha firmato un contratto con la Bmg e il suo album Luci della notte viene distribuito dalla Virgin  in 330mila edicole. È il contratto più importante che abbia mai firmato: «Merito dei giovani che mi adorano. I TiromancinoFrankie Hi-nrgGianluca Grignanisono miei fan». E infatti, in questo disco, Grignani ha scritto Cammino in centro,Federico Zampaglione dei Tiromancino canta con lui L’ultima spiaggia. Racconta Franco, gongolante: «Mi hanno mandato in quella trasmissione di giovani, come si chiama. Pip of Pup?». Si impappina. Confessa che in tv è riuscito a dire Top of the pop solo perché c’era scritto sul pavimento. Che con l’inglese non va d’accordo, nonostante la laurea a New York.

Ora cerca una donna per la vita
«Adesso cerco sentimento e una storia seria», confida. Delle sue tante donne ne ricorda poche: «Qualche mese fa, mi sono presentato a una e si è offesa: eravamo stati insieme sei mesi, non una sera! E solo sette anni prima!». Un po’ spacconeggia («Cerco la donna della vita da sempre, per questo le ho provate tutte»), un po’ è stanco e non perché sta invecchiando («invecchierò cinque minuti prima di morire», giura), ma perché delle donne non ne può più: «Mi hanno perseguitato. Venivano di notte sotto casa, lasciavano marito e figli. Dopo 15 anni che c’eravamo lasciati, ancora telefonavano. Un inferno»! Ricorda le pratiche estreme, come quando se ne stava in agguato sull’armadio, fingendo di leggere il giornale e la sua donna si spogliava di sotto. «La più vecchia con cui sono stato aveva 35 anni, la più giovane 14 quando io ne avevo 30. E ultimamente ne ho avuta una di 19». Tutte avrebbero fatto follie: «Con una, 15 anni fa, ho fatto l’amore il giorno del matrimonio, con l’abito bianco e nel bagno dell’albergo. Lei aveva 22 anni, io 50 e l’avevo vista solo due volte. Poi lì so’ scattati gli sguardi e ci siamo infilati nel bagno». Sarebbe stato anche con una suora, su un letto di ospedale mentre era malato, e la sventurata per penitenza dopo si ritirò in clausura. Però ammette: «Ne ho amate solo quattro. L’ultima è Monica, è finita perché abitavamo lontani: io ai Castelli Romani, lei all’Olgiata. Non riuscivamo più a vederci. La prima è Dominique Boschero, un’attrice francese di una bellezza straordinaria. Fu la mia fortuna: stavo con lei e mi cadevano ai piedi tutte, non gliè pareva vero di soffiare l’uomo a una dea così. Le altre due so’ sconosciute».

Deluso anche dal figlio adottivo
I figli non gli mancano. «Silvia, di 47 anni, è come se non mi fosse figlia. Sua madre era incinta quando l’ho lasciata e me l’ha fatta conoscere 14 anni dopo. Come potevo affezionarmi?». Poi c’è Enrico Giarretta, il figlio adottivo che… non ha mai adottato. «È la prima volta che ne parlo, ma quel ragazzo di 26 anni che mi ero messo in casa e al quale volevo dare il mio nome mi ha dato una delusione e l’ho dovuto cacciare. Suonava nel mio locale e io, per non farlo  tornare la notte a Ladispoli, l’avevo ospitato e mi era diventato caro. Però, prima che firmassi le carte, ho scoperto che non era sincero». Una delusione, l’ennesima. Ma il Califfo sa vedere il bicchiere pieno: «Come la conosco io la vita, non la conosce nessuno. Perciò parlarne nelle canzoni è la cosa che so fare meglio di tutti», riflette. L’importante è non perdere l’animo da poeta e il Califfo crea versi senza sosta, per la musica, come per far colpo sulle donne.  Un esempio? «“Incontriamoci tra le mie braccia”. Poi c’è la sottomarca: “Incontriamoci tra le mie gambe”». Però sulla cover del disco c’è la versione nobile: «Incontriamoci nella mia anima e vi convincerò».

PER NIENTE CANDIDA / Candida Morvillo

Candida Morvillo Nata a Sorrento, vivo a Milano, ma anche un po’ su aerei, treni e nuvole. Quando in piena Tangentopoli ho cominciato a scrivere sui giornali, credevo che mi sarei occupata di cronaca e giudiziaria per tutta la vita. Invece, ho cominciato a scrivere di persone e personaggi, scoprendo che siamo tutti un romanzo che merita di essere raccontato e prendendo atto che, tuttavia, nelle interviste, preferisco la circonvenzione di capace. Scrivo anche di molte altre cose, prevalentemente futili, ma solo all’apparenza. Non posso fare a meno di scrutare i tempi che corrono, interrogarli, smontarli e illudermi di capire che cosa ne resterà e dove ci stanno portando.

Nessun commento:

Posta un commento