domenica 1 giugno 2014

Il pallone americano

Calcio. Cellino cede il Cagliari a un fondo statunitense. È solo l’ultimo esempio di una serie di transazioni che stanno portando molte squadre di calcio italiane in mani straniere
 La noti­zia è che la Serie A il gio­cat­to­lone ince­rot­tato pieno di debiti e dagli impianti (vedi stadi) vetu­sti, inte­ressi ancora. Almeno a impren­di­tori, gruppi finan­ziari che arri­vano da Stati uniti, Indo­ne­sia, Rus­sia, India. In pochi giorni, por­tati a casa il Cagliari e il Bari. Con una cor­data russa che a suon di rubli avrebbe messo sotto tiro la Lazio di Clau­dio Lotito. Ma allora il nostro cal­cio è malato o no? Di sicuro ha ancora molta strada da per­cor­rere per recu­pe­rare ter­reno con gli altri tor­nei d’Europa. C’è un deserto che divide il nostro movi­mento da Pre­mier Lea­gue e Bun­de­sliga su stadi di pro­prietà dei club – la legge Melan­dri ha pro­dotto poco, men­tre i club inglesi, per esem­pio sanno come divi­dere per bene la torta dei diritti tele­vi­sivi e sfrut­tare il brand. Punti dolenti nella vita quo­ti­diana dei club che si riflet­tono sulla scarsa com­pe­ti­ti­vità delle ita­liane nelle Coppe europee.
E i numeri pub­bli­cati dalla rivi­sta For­bes nelle scorse set­ti­mane su introiti e valore del mar­chio dei club mon­diali (avanti Real Madrid e Bar­cel­lona, assieme a Bayern Monaco e inglesi, con ita­liane a rin­cor­rere) non fanno che con­fer­mare quanto sapeva Mas­simo Cel­lino che ha tra­slo­cato l’attività in dire­zione Leeds, Inghil­terra. Ven­duto il Cagliari dopo 22 anni a un fondo a stelle e stri­sce rap­pre­sen­tato dal mana­ger ita­liano Luca Sil­ve­strone e dal pro­get­ti­sta sta­tu­ni­tense Dan Meis (costruirà anche lo sta­dio della Roma), Cel­lino invece ha acqui­sito il 75% delle quote azio­na­rie del Leeds, uno dei club con più sto­ria nel Regno Unito, spro­fon­dato nelle serie minori. Con gli inglesi, tifosi del club com­presi, che nulla hanno fatto per oscu­rare il loro disap­punto sul suo arrivo, per i pro­blemi con la giu­sti­zia avuti in pas­sato. L’ex patron del Cagliari ha fatto inten­dere che il Leeds sarà per lui come una Fer­rari, men­tre il Cagliari è stata un’utilitaria su cui mon­tare pezzi-calciatori a poco prezzo (Radja Naing­go­lan alla Roma l’ultimo caso), per poi smon­tarli e riven­derli in cam­bio di asse­gni a vari zeri. Con le ultime sta­gioni a tinte tra­gi­co­co­mi­che soprat­tutto per la que­stione sta­dio. Iso­lani dislo­cati a Trie­ste, prima e poi nella vicina Is Are­nas per una sola sta­gione, per poi tor­nare al Sant’Elia, rigo­ro­sa­mente vuoto.
In pra­tica il Cagliari ha gio­cato due sta­gioni senza tifosi. Cel­lino ha detto che il sistema cal­cio in Ita­lia gli ha impe­dito di cre­scere. In attesa dei suoi risul­tati Oltre­ma­nica, allora per­ché que­sto inte­resse per le società ita­liane? Cosa spinge robu­sti gruppi finan­ziari, fondi d’investimento a rischiare milioni di euro in un Paese dalla fisca­lità così alta sul costo del lavoro? Forse, i mar­gini di cre­scita, la cicli­cità del cal­cio che pre­sto potrebbe ricol­lo­care l’Italia dove era in pieni anni Novanta, tra finali di Cham­pions Lea­gue e Coppe Uefa sol­le­vate al cielo. Assieme all’indubbia visi­bi­lità che regala il pal­lone ita­liano. Anche all’estero, dove domina la Pre­mier Lea­gue. Que­sto spie­ghe­rebbe l’acquisizione del Bari, pochi giorni dopo quella del Cagliari: il gruppo – ancora ignoto, men­tre i tifosi baresi festeg­giano in piazza — che sta die­tro all’ex arbi­tro Gian­luca Papa­re­sta, capace di stac­care un asse­gno di 4 milioni di euro per rile­vare il club, conta inve­sti­tori indiani, russi e pro­ba­bil­mente irlan­desi. Tran­sa­zione che ha decre­tato la fine della lunga era di Vin­cenzo Matar­rese, fra­tello di Anto­nio, potente del cal­cio ita­liano ed ex pre­si­dente della Figc. Non fini­sce qui. Nelle serie minori al Monza è finito l’anno scorso l’imprenditore anglo-brasiliano Arm­strong Emery. Men­tre a Vene­zia — dopo la fine dell’era Zam­pa­rini e il tra­collo in Lega Pro — da tre anni c’è il russo Yuri Kora­blin. Senza dimen­ti­care che il resty­ling delle pol­trone pre­si­den­ziali ha toc­cato anche big del nostro movimento.
Erick Tho­hir si è assunto l’onere di ripor­tare in auge l’Inter di Mas­simo Moratti dopo alcune sta­gioni ano­nime, pro­met­tendo di ren­derla un super brand a Oriente. E il primo passo è stato l’accordo decen­nale con Nike e l’apertura di store in Cina. Prima dell’Inter è finita in mani estere la Roma. Da Tho­mas Di Bene­detto a James Pal­lotta, il gruppo sta­tu­ni­tense che ha rile­vato la società dopo un paio di sta­gioni nega­tive attra­verso inve­sti­menti sui gio­vani, con l’abile stra­te­gia di mer­cato di Wal­ter Saba­tini, ha imboc­cato la strada migliore, sfio­rando lo scu­detto, riaf­fac­cian­dosi alla Cham­pions Lea­gue. Soprat­tutto, chiu­dendo l’accordo per un nuovo sta­dio tar­gato Roma. È que­sto il «segreto di Pul­ci­nella» per mol­ti­pli­care ricavi dei club, fonte di red­dito ine­sau­ri­bile e per­met­tere mer­cato di qua­lità e conti in ordine. Lo sa bene Aure­lio De Lau­ren­tiis, da anni in lotta con le isti­tu­zioni cit­ta­dine per giun­gere alla con­ces­sione del San Paolo alla società azzurra. Almeno in Inghil­terra così fun­ziona. Il club gial­lo­rosso ha pure chiuso un ricco accordo con la Nike, arric­chito con la Wolk­swa­gen il port­fo­lio degli spon­sor. Sino al lan­cio del mar­chio Roma sul mer­cato Usa, varato col totem Fran­ce­sco Totti in copertina.

Certo, si tratta di altri piani indu­striali di impatto diverso rispetto a quelli di alcuni ric­coni che hanno invaso con euro, petrol­dol­lari la Pre­mier Lea­gue prima, la Ligue1 da un paio di anni. Prima il miliar­da­rio ame­ri­cano Mal­com Gla­zer, morto pochi giorni fa, che nel 2005 acqui­siva il Man­che­ster Uni­ted in piena era Fer­gu­son, tra titoli nazio­nali e Coppe. Due anni prima, il petro­liere russo Roman Abra­mo­vich met­teva le mani sul Chel­sea, che in dieci anni ha messo assieme tutto quello che c’era da vin­cere. Poi è arri­vato il Man­che­ster City dello sceicco Bin Zayed, sino al Paris Saint Ger­main di Al Thani e il Monaco del milio­na­rio russo Dmi­tri Rybo­lo­vlev, autore di un colpo da 60 milioni di dol­lari cash per acqui­stare l’attaccante colom­biano Rada­mel Fal­cao. Altre cifre per il cal­cio ita­liano, la cui gestione appare vec­chia nella con­du­zione e mal­ge­stita men­tre il pal­lone mon­diale dise­gna altre tra­iet­to­rie. Ma stra­na­mente tira ancora. Eccome.

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