ARTSPIA - ERA LA BIENNALE DEI PIU' GIOVANI E SCATENATI EUROPEI MA A SAN PIETROBURGO TRA FOLLE DI GITANTI, POTENZA DELL'HERMITAGE E ARTISTI BRAVISSIMI MA CONSOLIDATI, COSA RESTA DI "MANIFESTA"?
Una guida russa di fronte alla scultura di Katharina Fritsch dice in italiano a una comitiva di anziani connazionali: “Fate finta che quella roba non c'è e concentratevi sul boudoir. Questa schifezza l'hanno messa adesso, ma poi si leverà”. Fiumi di turisti corrono per il Palazzo d'Inverno passando indifferenti davanti ai Bruegel e Rubens, figuriamoci Yasumasa Morimura o Gerhard Richter.
Alessandra Mammi per Dagospia
Quando, qualche anno fa, fu deciso di portare Manifesta10 a San Pietroburgo e celebrare lì il Ventennale della biennale-simbolo dell'Europa post-muro, non era ancora successo niente. L'idea che la rassegna dei più giovani e scatenati artisti europei, ogni volta in una diversa città, uscisse dai confini dell'Unione e fosse tenuta da un padre nobile come KasperKönig invece che da un team di curatori emergenti, sembrava la soluzione giusta per tanta data. E poi unire i due compleanni (il ventesimo per Manifesta e il 250mo per l'Hermitage) avrebbe rafforzato il messaggio mediatico tra il grande e classico museo che si apriva al futuro e la giovane manifestazione che consolidava la sua crescita.
Del resto nel momento in cui furono presi accordi non era ancora salite agli onori della cronaca le violente censure, leggi omofobiche, Pussy Riot, crisi ucraina e annessione della Crimea. E poi la cosa che emozionava di più l'organizzazione era poter inserire le opere nel più straordinario museo del mondo, l'Hermitage, sotto la benedizione di Mikhail Piotrovski. il più potente direttore del mondo che dirige quel regno quasi per diritto dinastico essendo figlio di Boris Piotrovski precedente direttore del magnifico museo che restò in carica fino al giorno della sua morte.
Poi è successo tutto e alcuni artisti europei hanno cominciato a dubitare che andare in Russia fosse questa grande idea, quelli russi (per non parlare degli ucraini) chiesero boicotaggi e la mostra fu più volte a rischio, fino comunque a prendere un aspetto molto differente dalle premesse.
Il risultato di questa difficile gestazione è stato in fondo un compromesso. Nessuna sperimentazione ardita, ma artisti consolidati, sale monografiche, opere che in alcuni casi erano già state presentate in altre sedi. Gran parte della rassegna poi si svolge nel General Staff Building il nuovo spazio che l'Hermitage ha dedicato all'arte contemporanea e non nelle sale del Palazzo d'Inverno dove i pochi sparuti artisti di Manifesta devono essere cercati con determinazione da detective. Niente segnaletica, poca collaborazione dei custodi che evidentemente non condividono l'intrusione.
Una guida russa di fronte alla scultura di Katharina Fritsch dice in italiano a una comitiva di anziani connazionali: “Fate finta che quella roba non c'è e concentratevi sul boudoir. Questa schifezza l'hannomessa adesso, ma poi si leverà”. Fiumi di gitanti in visita corrono per il palazzo passando indifferenti davanti ai Bruegel e Rubens, figuriamoci Yasumasa Morimura o Gerhard Richter. Si fermano solo estasiati nella sala del trono dove le guide danno il meglio di sé nel raccontare la storia di Caterina di tutte le Russie.
Tra la mostra congelata nel nuovo edificio e quella annientata dalla potenza del palazzo, Manifesta ( e dispiace dirlo per un uomo che merita tutta la nostra stima come Kasper König) non ne esce tanto bene. La salvano alcuni eventi paralleli che invece trovano in luoghi abbandonati della città l'ambiente più naturale per una biennale di questo tipo. E soprattutto la salvano gli artisti. Alcuni in particolare. Prima di tutto,Paola Pivi che lontano dall'establishment ha scelto un centro alternativo il Kuryokhin art Center per installare il suo studio di registrazione perfettamente equipaggiato e aperto gratuitamente a tutti, purchè siano disposti a comporre musica inserendo versi di animali. Si chiama GRRR-JAMMING-SQUEAK. I risultati sono eccellenti e a Rotterdam dove lo mise in piedi per la prima volta fu un successone.
Lara Favaretto è tra i pochi che riesce a tener testa al Palazzo d'Inverno: là nella sala delle sculture romane, invasa dai suoi blocchi di cemento ognuno testimone di un gesto. Graffiare, strappare, plasmare, schiacciare, lisciare …una complessa riflessione sulla scultura come lavoro fisico.
Si renda poi omaggio a Thomas Hirschhorn che nel General Staff Building risponde alla retorica magniloquenza della nuova ala contemporanea dell'Hermitage dedicando agli artisti della avanguardie sovietiche un edificio crollato, alto almeno 15 metri, pieno di detriti intorno, che lascia intravedere cose e stanze dove scorreva un'altra vita, un'altra storia,un'altra Russia.
Poeticamente Marlene Dumas affida la sua protesta ai ritratti di grandi artisti, scrittori e filosofi russi e gay. Da Nureyev a Diaghilev, una serie di carte appese con spilli, liquidi acquerelli, delicati come un sussurro ma forti e chiari nel messaggio.
Menzione speciale aErik Van Lieshout, fantastico come sempre e artista non celebrato quanto meriterebbe. Interessato come al solito ad aspetti della vita e della storia che sfuggono ai più questa volta Erik ha dedicato il suo lavoro ai gatti dell' Hermitage. Perchè bisogna sapere che ai tempi dell'imperatrice Elisabetta il Palazzo d'Inverno era funestato da topi e che per risolvere il problema fu introdotta nei bassifondi dell'Hermitage un'intera comunità di gatti che veniva curata,coccolata e servita .Nel periodo sovietico però i gatti furono vittima di una spending review che tagliò fondi e sussistenza fino poi ad essere decimati durante l'assedio di Leningrado. Dopo la seconda guerra mondiale altri gatti furono introdotti nelle cantine del palazzo e ancora esistono e resistono. Erik però ha voluto lavorare per loro, chiudendosi nel basement per più giorni e costruendo nuove casette, cucce, facendo loro ritratti, inventando un habitat molto gattaro e chiedendo la collaborazione dei custodi. Il tutto testimoniato da un meraviglioso, ironico intelligente ed esilarante docu-film che parlando di gatti parla di libertà di espressione, creatività e diritti civili fino a trovare il suo punto più alto nell'intervista a un infastidito Piotrovski : “Direttore, ma cosa fai lei davvero per i gatti dell'Hermitage?”.
http://www.dagospia.com/rubrica-31/arte/artspia-era-biennale-piu-giovani-scatenati-europei-ma-san-79912.htm
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