PANCHO VILLA
È una beffa morire al volante di un’automobile, dopo una vita passata in groppa a un cavallo per correre dietro alla Rivoluzione e regalare la libertà e l’indipendenza al suo popolo. Pancho Villa è il simbolo stesso della Rivoluzione messicana: l’uomo che ha incarnato il sogno di riscatto dei campesinos (contadini), il loro affrancamento della condizione di una sudditanza quasi tramandata di padre in figlio.
La figura di rivoluzionario di Villa fu ingigantita dai media americani, che all’inizio sostennero la sua lotta contro il generale Porfirio Diaz, che teneva il Messico sotto un tallone di angherie e sopraffazioni. A contrapporsi a Diaz c’era Francisco Madero, un ricco possidente che gli americani appoggiavano, ma che poi, una volta al potere, tradì le aspettative di tutto il popolo e dello stesso Villa, instaurando di fatto una dittatura.
Questa nuova situazione vide Villa – fortemente appoggiato dalla popolazione più umile e indifesa del Messico – impegnato su due fronti: oltre a combattere Madero, il rivoluzionario messicano dovette infatti vedersela anche con un nemico potente come gli Stati Uniti. Una lotta su due fronti che proseguì anche quando Madero fu assassinato e scalzato dal generale Victoriano Huerta. Tornato sulle montagne di Chihuahua, Villa riuscì a fronteggiare non solo l’esercito regolare messicano, ma anche l’offensiva americana, sebbene Washington non si sia fatto scrupoli a usare perfino l’aviazione contro di lui. Nonostante le pesanti perdite subite, e il fatto che i comandanti ai suoi ordini fossero stati tutti eliminati, Villa, che però poteva sempre contare sul sostegno del popolo, riuscì a fronteggiare il nemico anche quando Emiliano Zapata, l’altro capo rivoluzionario che combatteva nel Sud del Paese, rimase ucciso.
Nel frattempo Huerta era stato scalzato da Venustiano Carrana, più docile alle direttive americane. Quando fu assassinato anche questo presidente e salì al potere Adolfo de la Huerta, Villa negoziò la resa in cambio di una amnistia per sé e i suoi uomini. Era il 1920, e dopo una vita passata fra polvere di selciati e da sparo, montagne inospitali e agguati compiuti e scampati, arrivava anche per lui il merito “riposo del guerriero”. Ma non aveva fatto i conti con un destino che pretendeva una fine coerente con una vita segnata dalla violenza.
Nel momento in cui si apprestava a lasciare in auto Hidalgo del Parral, una cittadina a Nord del Messico dove si era recato per incontrare la sua donna e partecipare al battesimo del figlio di un suo uomo, Villa finì crivellato di colpi di fucile. I sicari, mentre sparavano, gridavano: “Viva Villa!”. Una frase che per una volta era un segnale di morte, non l’esultazione per le sue gesta. Mentre tutto il Messico dei campesinos che aveva visto in lui l’uomo della Provvidenza lo piangeva, si rincorrevano le voci su chi avesse voluto la sua eliminazione e perché. Si disse che l’omicidio era stato ordito per sbarrargli la strada a una probabile candidatura alla presidenza del Messico. Altri giurarono che andasse tutto ricondotto a una faida familiare nata durante la Rivoluzione.
Fatto sta che la sua morte così spettacolare contribuì a blindare l’immagine di Villa in una dimensione rivoluzionaria. E, come si sa, spesso gli eroi muoiono di morte violenta e anche giovani: Panche Villa aveva solo 45 anni.
CriniStoria
Nessun commento:
Posta un commento