Martina Comparelli, portavoce del movimento, è delusa dal fatto che episodi come le alluvioni nel nord Europa finiscano spesso per diventare campanelli d'allarme da relegare nel dimenticatoio. E si scaglia contro la politica europea e italiana: "Il nostro un governo ambientalista? Ci abbiamo sperato, adesso siamo solo scettici", dice al fattoquotidiano.it
Le inondazioni che hanno sconvolto Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo sono solo l’ultimo esempio, l’ennesimo allarme lanciato dalla natura sui rischi legati all’emergenza climatica. Una situazione alla quale la politica, strangolata tra la necessità di una reale transizione green auspicata anche dalle istituzioni europee e gli interessi economici (e quindi politici) in ballo, non riesce a far fronte, incapace di attuare delle soluzioni che la scienza ha già messo a disposizione. “Abbiamo ancora bisogno di vedere queste cose per capire che certi eventi saranno sempre più frequenti e imprevedibili – dice a Ilfattoquotidiano.it Martina Comparelli, portavoce del movimento Fridays for Future Italia – Sembra che i politici proprio non lo capiscano. Invece comprendono benissimo, anche quelli del nostro governo, ma sono troppo legati a interessi che lottano contro una vera e possibile transizione ecologica”.
In questi momenti gli occhi del mondo sono su ciò che è accaduto
dopo le alluvioni in Nord Europa. Le vittime, i danni, ma spesso a
rimanere sotto la polvere, nel lungo periodo, sono le cause. Rischia di
essere solo uno dei tanti campanelli d’allarme finiti poi nel
dimenticatoio?
Verrebbe da dire di sì, non più tardi di un anno fa abbiamo
vissuto le alluvioni a Palermo, in casa nostra. E cosa è successo in
questo anno? C’è stata forse una spinta verso una vera e convinta
transizione ecologica nel nostro Paese? Continuiamo a parlare di
idrogeno, di gas, di agricoltura intensiva, di consumo del suolo: niente
di questo ha a che vedere con le energie rinnovabili. Noi come
attivisti non avremmo nemmeno bisogno di gridare o dire niente, è la
natura stessa che ce lo sta dicendo: “Non esiste più un posto sicuro nel
mondo, nemmeno quelli dove vivono i ricchi”.
Ciò che più colpisce, oltre alla potenza distruttrice, è che
un evento del genere si sia manifestato in un Paese, la Germania,
considerato all’avanguardia sulla manutenzione del paesaggio.
In queste ore siamo rimasti in contatto con gli attivisti
tedeschi e belgi. Il mito tedesco della tutela del paesaggio deve anche
essere ridimensionato, perché loro stessi mi parlavano di scarsa
manutenzione e argini lasciati al loro destino, ad esempio. Detto
questo, un conto è la tutela del paesaggio, che deve esserci per
limitare al massimo eventi come quello accaduto in questi giorni,
un’altra è però il controllo delle emissioni. Se tuteli il tuo paesaggio
ma non limiti le emissioni, le conseguenze sono inevitabili. E la
Germania, come molti altri Paesi, questo non lo sta facendo.
Nonostante questo, nelle istituzioni, sia a livello nazionale
che europeo, c’è chi ancora cerca di mettere un freno, dei paletti alla
transizione ecologica. Voi come movimento come avete intenzione di
agire?
Continuando con ciò che abbiamo fatto fino ad oggi: fare più rumore
possibile. Sarà un autunno ricco di scioperi globali. Poi ci sarà la Cop
in Europa e dobbiamo farci sentire. Ma l’obiettivo non è fare casino,
ma soprattutto sensibilizzare chi non è in piazza: quelli sono voti da
poter togliere ai politici che non si interessano all’ambiente.
Quando si è insediato, il nostro governo si è autodefinito
“ambientalista”. A cinque mesi dall’insediamento vi trovate d’accordo?
Quando ho sentito quelle parole pronunciate dal presidente del Consiglio
ero scettica ma speranzosa. Oggi mi rimane solo lo scetticismo. Sono
stati investiti troppi pochi soldi nelle infrastrutture green, abbiamo
sentito il ministro Cingolani parlare addirittura di “bagno di sangue”
in riferimento alla transizione ecologica, piano che lui, in quanto
guida dell’omonimo ministero, dovrebbe invece spingere. A differenza di
quello che queste persone vogliono farci credere, le soluzioni esistono e
sono anche semplici, ma le complichiamo forse proprio con l’intento di
mantenere lo status quo. Si parla di tecnologie ancora sperimentali, che
non esistono, come la fusione nucleare, mentre le soluzioni le abbiamo
già in casa e sono le rinnovabili.
A proposito del ministro Cingolani, è stato uno degli esponenti
del governo che più di tutti si è esposto per mettere dei paletti alla
transizione ecologica, anche contestando alcune indicazioni dell’Ue. Lo
ha fatto sulla plastica monouso e, più recentemente, sulla conversione
all’elettrico delle auto supersportive. Lo considerate adatto al ruolo
che ricopre?
C’è tanta delusione. Quando è stato nominato ministro abbiamo visto uno
scienziato ed eravamo speranzosi. Finalmente un approccio scientifico al
tema dell’ambiente. Ma presto abbiamo capito che non conta essere
scienziati se poi lavori per interessi diversi da quelli della scienza.
Protegge gli interessi dell’industria, non spinge per una vera e
radicale transizione nascondendosi dietro alle minacce ai lavoratori
delle aziende che andrebbero riconvertite.
Il lavoro è spesso lo spauracchio agitato per giustificare le
mancate riforme. Anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha
detto che la transizione ecologica non deve essere uno “shock” per il
sistema economico.
I lavoratori non devono essere terrorizzati dalla possibile perdita del
lavoro, ma coinvolti nel processo di transizione e tranquillizzati. Sono
l’azienda stessa o lo Stato a decidere se lasciare tutti a casa o
coinvolgere i lavoratori, non la transizione in sé. Su questo punto noi
cerchiamo di mettere sempre l’accento, le persone devono capire che il
loro nemico non sono l’ambiente o le politiche ambientali, ma chi decide
di contrapporre a queste il lavoro, un ricatto per mantenere lo status
quo.
Come movimento chi vorreste come ministro di una vera transizione ecologica?
Non facciamo nomi per non dare adito a speculazioni di tipo politico.
Personalmente penso a uno scienziato, un climatologo, una personalità
che conosca bene le cause e i pericoli legati al cambiamento climatico.
La scienza deve essere presente. Quindi uno scienziato al servizio della
scienza, non degli interessi politici ed economici.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/07/18/fridays-for-future-alluvioni-grido-di-allarme-della-natura-ma-la-politica-si-nasconde-dietro-i-posti-di-lavoro-cingolani-una-delusione-scienziato-che-tutela-gli-interessi-delle-aziende/6265484/
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