lunedì 19 luglio 2021

E' morto La Bruna custode di tanti misteri

 


ROMA (g.m.b.) - Il capitano dei carabinieri Antonio La Bruna è morto l' altra notte d' infarto nell' ospedale di Bracciano. Aveva 73 anni e qualche anno fa era andato in pensione col grado di colonnello. Aveva però sempre continuato a essere "il capitano La Bruna". Così - con grado e cognome - è stato indicato in migliaia di atti giudiziari e di articoli di giornale. Dagli anni ' 60 agli anni ' 80 non c' è stato mistero italiano nel quale non sia comparso con qualche ruolo. E' stato come il sale nel ricettario della strategia della tensione. Una presenza costante ma sempre di seconda fila. Sempre agli ordini di qualcuno, e con compiti precisi: una vita da mediano dei Servizi. Antonio La Bruna, originario di Napoli, vi entrò nel 1967, giusto in tempo per annusare i superstiti miasmi del tentato golpe del 1964 (quello del generale De Lorenzo) e per vivere dietro le quinte il clima preparatorio della strage di Piazza Fontana (1969). Ebbe un ruolo negli sviluppi di entrambe le vicende. Quanto al golpe del 1964, si occupò di "ripulire" una serie di bobine con testimonianze di alti ufficiali più imbarazzanti per i vertici dello Stato. E quanto alla strage di piazza Fontana, curò tra l' altro la fuga dall' Italia di alcuni neofascisti ricercati, tra i quali il celebre Guido Giannettini. Fu quest' ultimo episodio a renderlo famoso. Suo malgrado. Nel 1976 - assieme al suo dirigente e protettore, il generale Gian Adelio Maletti - fu arrestato. E da allora in poi la vita del "capitano La Bruna" non fu che un girovagare tra una procura e l' altra. Fino all' ultimo. "Negli ultimi tempi - ha detto il giudice istruttore milanese Guido Salvini dopo aver avuto la notizia della morte - aveva cominciato ad accennare ad alcune missioni svolte in Grecia e in Svizzera". Già, perché il capitano La Bruna - a dispetto della sua aria anonima, da mezzemaniche più che da 007 - era un vero agente speciale. Sapeva parlare quattro lingue, e aveva una capacità di infiltrazione che gli consentì di fare alcuni scoop spionistici di alto livello. Il più importante nel 1974 quando raccolse, in una serie di bobine registrate (una delle sue passioni) le prove che nel 1970 era stato tentato un vero e proprio golpe che prevedeva tra l' altro l' arresto dell' allora capo dello Stato, Giuseppe Saragat, con la collaborazione di Licio Gelli. Gelli che (al pari di Mino Pecorelli) ben conosceva: il nome di La Bruna, infatti e forse anche "ovviamente", compare nell' elenco della loggia P2. Ma era un ufficiale dei carabinieri per il quale l' "obbedir tacendo" era più che un motto: era un ordine. S' adeguò alle ragioni di opportunità politica che suggerirono di non consegnare quei nastri ai giudici. Lo fece solo nel 1991, probabilmente dopo aver tirato un bilancio amaro della sua vita e della sua carriera spezzata dalle inchieste giudiziarie. L' incontro col giudice Salvini lo convinse a collaborare con la magistratura e a parlare. Stava anche scrivendo un libro di memorie intitolato "Agli ordini dello Stato". E forse pensava al suo cieco obbedire a quegli ordini quando con disincanto napoletano, in una intervista di pochi anni fa, disse: "Ho mantenuto a lungo il silenzio perché, malgrado ciò che si può pensare di me, ho sempre creduto all' etica professionale. E forse sono stato anche un po' fesso".

 

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/01/28/morto-la-bruna-custode-di-tanti.html

Contrada71 

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