Era il 2 ottobre del 1977.
I
Los Angeles Dodgers dominavano il campionato di MLB, la Major League
Baseball, la massima competizione del baseball statunitense. Dusty Baker
era a 29 fuori campo in stagione: quando realizzò il trentesimo lo
stadio esplose in un’ovazione. Lui corse verso la panchina dove sedeva,
tra gli altri, Glenn Burke, 25 anni, con le mani aperte verso di lui.
Glenn, non sapendo cosa fare, gli diede uno schiaffo su una delle mani
aperte. Quello che oggi è conosciuto come “dare il cinque” nacque in
quel momento, “inventato” da questo afroamericano originario di Oakland.
Oggi è un gesto di uso comune, ma al tempo divenne prima un’esultanza
tipica dei Dodgers, poi un simbolo di riconoscimento per la comunità
omosessuale statunitense. Perché Glenn Burke non fu solo la prima
persona a dare il cinque, ma anche il primo giocatore di baseball a
dichiarare apertamente la propria omosessualità, causando un vero e
proprio terremoto nel mondo del baseball e dello sport a stelle strisce.
“Arrivarono ad offrirmi 75 000 dollari affinché io sposassi una donna,
tacendo il fatto di essere gay. Rifiutai con sdegno.”, dirà in seguito
Glenn. “Un giornalista mi intervistò, quando gli dissi che ero gay mi
rispose “no, questo proprio non posso scriverlo”.. La sua carriera,
iniziata in maniera promettente, all’improvviso prese una brutta piega.
Venne mandato via dai Dodgers. “Motivi tecnici”, dissero, ma tutti
sapevano che l’omosessualità era la vera causa. Eppure i suoi compagni
lo sapevano, il suo manager lo sapeva. Ma il problema stava nel fatto
che lo aveva dichiarato: quello no, non poteva essere accettato. Andò
nella squadra di Oakland, la sua città. I suoi compagni arrivarono ad
evitare di fare la doccia con lui. Giocò pochissimo, il manager che
arrivò nel 1980 lo definì senza mezzi termini “a faggot”, un fro*io. Poi
arrivò anche un infortunio, gamba rotta in tre punti, e la carriera di
Glenn Burke terminò lì. Proseguì a giocare in competizioni amatoriali o
dedicate appositamente al mondo omosessuale, si trasferì a San
Francisco, ma non fu più lo stesso. Nella sua vita arrivò la povertà, la
droga, i furti. Iniziò a vivere per strada finché sua sorella non andò a
recuperarlo e lo riportò ad Oakland. Era il 1994 e Glenn Burke si trovò
di fronte una nuova sfida: aveva contratto l’HIV. Aveva lottato contro i
pregiudizi, l’omofobia e l’odio ma contro la malattia non potè fare
niente. Morirà il 30 maggio 1995 all’età di 42 anni. Nell’anno
precedente la sua morte scrisse la sua autobiografia. “Nessuno può più
dire che un gay non può giocare in Major League”, scriverà, “perché io
sono gay e ce l’ho fatta”.
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